27 aprile 2023

Prospettiva Pasolini (5 marzo – 30 giugno 2022)

 

Prospettiva Pasolini (5 marzo – 30 giugno 2022)

a cura di Simone Casini, Carlo Pulsoni, Roberto Rettori, Francesca Tuscano

Perugia, Morlacchi Editori, 2023

 

Il volume, nato come catalogo della mostra omonima e del ricco programma delle iniziative promosse a Perugia per celebrare il centenario pasoliniano, ospita anche un’ampia sezione di saggi e intende offrire «una rassegna esaustiva del vasto arcipelago dell’arte pasoliniana» (Roberto Rettori, Saluto istituzionale, p. 10) e una testimonianza dell’amore di Pasolini per l’Umbria e dell’«incredibile ruolo culturale che hanno avuto luoghi come Assisi e Spoleto nella riflessione artistica e ideologica di uno dei lettori più profondi, e ancora necessari, del nostro tempo» (Francesca Tuscano, Le ragioni di una mostra, p. 11).

 

Un nucleo di saggi appare incentrato sui rapporti tra Pasolini e altri importanti scrittori e intellettuali del suo tempo.

Nel primo contributo, per esempio, Francesca Tuscano ricostruisce il vincolo di amicizia profonda che legò il poeta umbro Sandro Penna e Pasolini; due anime unite dalla poesia, dall’amore per gli ultimi, dalle scorribande notturne nella Roma proletaria e dall’omosessualità come marchio di diversità, ma irrimediabilmente distanti nel temperamento: puro, ascetico, santo e «felice perché diverso» il primo (così si legge nella prefazione pasoliniana alla seconda edizione delle poesie di Penna), disperato e tormentato dal senso di colpa per lo scandalo dell’omosessualità il secondo (p. 150). Il “gran rifiuto” di Penna che non volle interpretare Giotto nel Decameron non incrinò il rapporto tra i due amici, come testimoniano la bellissima lettera scritta da Pasolini nel 1970 (qui riportata integralmente) e la dichiarazione del 1975 in Quasi un testamento: «In Italia il più grande poeta è Sandro Penna».

Nel saggio in cui ricostruisce il complesso rapporto tra Pasolini e Pound, Carlo Pulsoni sottolinea l’iniziale avversione del poeta friulano per quest’ultimo (e il rifiuto di firmare l’Appello per la liberazione di Ezra Pound pubblicato da Vanni Scheiwiller), individua il punto di svolta nell’incontro in occasione della Settimana della poesia di Spoleto del 1965, e ricorda l’intervista del 1967 in cui Pasolini, parafrasando la poesia dedicata da Pound a Whitman, propone all’antico nemico di passare dall’odio («ti detesto ormai da troppo tempo») all’«amicizia» (p. 172).

In Pasolini, Pound, Jakobson e la Realpolitik, Francesca Tuscano connette poi alla lettura e allo studio delle opere di Jakobson e dei Formalisti l’«evoluzione linguistica e intellettuale» (p. 177) che portò Pasolini a comporre i Versi fàtici e poi enfatici, poesia in forma di conversazione impossibile a tre in cui i due scrittori russi Andrej Sinjavskij e Jurj Daniel, confinati in un lager siberiano, e il poeta americano Ezra Pound, rinchiuso in un manicomio, scambiandosi battute sul freddo stabiliscono una connessione sul tema della comune prigionia.

Il legame profondo di Pasolini con Alberto Moravia è invece al centro dell’intervento di Simone Casini. «Diversi e addirittura opposti, quindi complementari» (p. 208) per ispirazione, temperamento, formazione, interessi e sessualità, i due scrittori si conobbero nei primi anni Cinquanta e rimasero vicini, sostenendosi a vicenda nelle alterne difficoltà e condividendo riflessioni, esperienze, viaggi. La «casa bifronte» che i due abitarono a Sabaudia, in particolare, «sembra riassumere in immagine il lavoro che procede parallelo, comune, solidale» perché «nonostante le differenze degli stili di vita e delle abitudini, l’intesa era più che mai salda e profonda, sul piano per entrambi essenziale dello sforzo creativo» (p. 213). Un’amicizia che ha il suo culmine nel commosso elogio funebre pronunciato da Moravia nel 1975.

Il contributo di Chiara Moretti arricchisce il volume con il ricordo privato che Ezio Gribaudo ha custodito dell’incontro con Pasolini e con il ritratto che lo scrittore volle donare spontaneamente all’artista ed editore recentemente scomparso.

 

Alcuni contributi sono accomunati dall’intento di illustrare il legame di Pasolini con l’Umbria, con alcuni luoghi simbolo e con alcune figure importanti della scena culturale e artistica della regione.

Porta la firma di Carlo Pulsoni e di Francesca Tuscano l’articolo La “Settimana della poesia” (Spoleto 1965) in cui rivive, grazie anche agli stralci delle cronache locali e ai ricordi dei protagonisti, l’evento poetico che portò a Spoleto più di venti poeti da svariati continenti, da Pound a Pasolini, da Quasimodo a Ted Hughes, da Neruda a Evtushenko.

È ancora Francesca Tuscano, in Pasolini e Assisi, a sottolineare l’importanza dell’incontro con la Pro Civitate Christiana di don Giovanni Rossi e dei soggiorni ad Assisi per la genesi e la realizzazione dei film Il Vangelo secondo Matteo e Uccellacci e uccellini. Pasolini, non credente ma animato da un profondo senso del sacro, in un’intervista affermò di voler proporre, con la figura di Cristo, un modello antitetico alla «vita come si sta configurando all’uomo moderno, la sua grigia orgia di cinismo, glorificazione della propria identità nei connotati della massa, odio per ogni diversità, rancore teologico senza religione» (p. 161). Lo stesso si può dire per Francesco che «in Uccellacci e uccellini è figura della Chiesa che si apre al linguaggio comune […] tra marxismo e cristianesimo» (p. 164).

Giuseppe Moscati si concentra poi su una lettura di Pasolini attraverso il grande intellettuale umbro Aldo Capitini, ideatore della Marcia per la pace, e individua due punti di contatto nell’«attenzione di entrambi al carattere popolare di una festa» che mirava a ribaltare il concetto militare e violento della marcia e nella «vicinanza» ai poveri, ai deboli e agli esclusi (p. 168).

Strettamente connessa al territorio umbro è anche la testimonianza che Vittoria Corallo offre della produzione del cortometraggio Del mio paese popolato come un poema, che ha coinvolto gli studenti del Laboratorio teatrale universitario da lei diretto. Con il progetto si è inteso «evocare lo sguardo di Pasolini», che «posandosi sui resti di un’urbanizzazione sciatta e corrotta la potesse trasformare in qualcosa di poetico, come un filo che cuce gli strappi» (p. 220).

 

I saggi di Lorenzo Calafiore e Alessandro Gnocchi hanno per oggetto la produzione letteraria di Pasolini. Il primo passa in rassegna le traduzioni e le riscritture dei classici latini e greci a cui il poeta si è dedicato, dall’incipit dell’Eneide all’Antigone di Sofocle, dall’Orestiade tratta dall’Orestea di Eschilo al Miles gloriosus portato in scena con il titolo Il Vantone. In tutte le sue traduzioni poetiche dei classici Pasolini lavorò, servendosi anche di traduzioni moderne già disponibili e rifacendosi all’interpretazione storica della critica marxista, con l’intento «di abbassare sistematicamente lo stile elevato […] scrostando la patina classicistica» in cui permanevano anche gli echi dell’uso dell’antichità romana a fini propagandistici fatto dal fascismo. In questo Pasolini si rivela non un classicista o un accademico ma certo «un profondo ed emozionato lettore dei classici latini e greci, che per tutta la vita lo accompagnano e non smettono di parlargli», anche come fonte d’ispirazione delle sue opere originali.

Gnocchi si sofferma invece sul valore della Divina Mimesis come opera in cui coesistono Dante, Contini, Auerbach, Virgilio, Rimbaud, Gramsci e Pasolini stesso nel doppio ruolo di «piccolo poeta civile degli anni Cinquanta» e di scrittore disilluso del presente, ma anche come «documento» della crisi letteraria, linguistica ed esistenziale che prelude alla svolta dell’ultimo Pasolini, al cinismo amaro e disperato di Petrolio e di Salò.

 

Altri contributi restituiscono la natura multiforme dell’ispirazione pasoliniana, che si situa all’incrocio tra letteratura, arte, cinema e musica.

Tommaso Mozzati ci mostra la persistenza della lezione del maestro e critico d’arte Longhi nella fascinazione per un canone che va da Masaccio a Caravaggio e a Cézanne ma che si prolunga fino a comprendere il contemporaneo e, soprattutto, i lavori di Anna Salvatori, purché vi sia riconoscibile la matrice espressiva del realismo. Si tratta di un tessuto iconografico che opera a più livelli, dalle pagine dei primi romanzi romani ai fotogrammi dei film girati nel paesaggio suburbano, da Accattone a Mamma Roma.

Giulio Carlo Pantalei ci invita invece a considerare la musica una dimensione artistica presente da sempre nella produzione pasoliniana, dalla poesia al cinema, come testimoniato da numerosi interventi dello scrittore per il quale l’attività di paroliere per musica non è stato un puro divertissement limitato ai suoi due pezzi più famosi (Il valzer della toppa per Laura Betti e Cosa sono le nuvole per Modugno), ma una pratica costante, dalle vilote in dialetto friulano degli anni giovanili fino ai due brani per la colonna sonora del film Sweet movie (1975) di Dušan Makavejev, rimasti a lungo inediti.

Della produzione cinematografica di Pasolini si occupano più diffusamente i due saggi di Fabio Melelli e Giovanni Bogani.

Melelli in particolare ci invita a ripensare i film e i documentari di Pasolini come «un’unica entità espressiva in cui lo scrittore friulano ha messo a punto un’idea di cinema personalissima e sempre riconoscibile», anche per il costante riferimento non solo alla tradizione letteraria, culturale e artistica del nostro paese ma anche al mito e al tema per lui cruciale della «perdita del sacro» sotto i colpi del neocapitalismo (p. 203). Il cinema di Pasolini è scandaloso perché «non deve solo intrattenere o confermare gli spettatori nelle loro radicate convenzioni, ma piuttosto contribuire alla costruzione di un pensiero critico in epoche di conformismo e abbrutimento mediatico» (p. 203). Negli anni Settanta, con la disillusione e la sfiducia nelle possibilità di produrre un cambiamento, Pasolini costruisce film più cupi e violenti, fino al suo capolavoro più disperato: Salò o le 120 giornate di Sodoma.

Bogani tratteggia invece il profilo di Pasolini «cineasta selvaggio» (p. 222), autodidatta, dal talento incompreso, che cerca ispirazione nei dipinti più che nei film altrui, che sceglie attori non professionisti o grandi icone del cinema da presentare in vesti inedite, che inquadra delinquenti e prostitute come fossero dei santi e che accosta per primo la musica sacra e Bach a contesti di degrado e povertà. Se Melelli ha scritto che lo sguardo di Pasolini non ha eredi, Bogani non esita a riconoscere un lascito pasoliniano in alcuni registi come Gianni Amelio e Antonio Capuano, per la scelta di raccontare gli umili, senza dimenticare il tributo alla memoria del poeta nei film di Marco Tullio Giordana e di Abel Ferrara, nelle canzoni di De André e De Gregori, nelle parole della Lettera a Pier Paolo di Oriana Fallaci.

 

Non poteva mancare un omaggio al Pasolini luterano e corsaro, all’autore del Romanzo delle stragi, intellettuale disorganico e «inattuale» che ha il coraggio di dire verità tanto scomode quanto evidenti, con un linguaggio che è lucido, razionale ma anche lirico. È il caso dell’immagine ecologica della scomparsa delle lucciole, «metafora perfetta della compresenza di luce e buio», usata per esprimere il passaggio dalla società contadina a quella industriale in una visione che arriva così ad abbracciare la sfera politica, sociale e umana nella notte degli anni del terrorismo (p. 219).

 

La conclusione del volume è affidata alle pagine che Giulia Grillenzoni dedica alla toccante silloge di litanie El critoleo del corpo fracassao che Biagio Marin scrisse in dialetto gradese per Pasolini, per compiangerne la morte che, «nella retorica mariniana, ne dilata l’esistenza epurandolo dai peccati ed elevandolo al grado di martire. […] Il critoleo è, letteralmente, lo scricchiolio delle conchiglie calpestate sul bagnasciuga, così il corpo del poeta a brandelli sulla spiaggia di Ostia reca in sé l’eco di un canto destinato a non estinguersi mai» (p. 234).

 

Indice dei contributi

Saluti istituzionali di Leonardo Varasano, Assessore alla cultura del Comune di Perugia, e di Roberto Rettori, Delegato per il settore Orientamento, tutorato e divulgazione scientifica Università degli Studi di Perugia; Francesca Tuscano, Le ragioni di una mostra; Francesca Tuscano, Penna e Pasolini; Carlo Pulsoni e Francesca Tuscano, La “Settimana della poesia” (Spoleto 1965); Francesca Tuscano, Pasolini e Assisi; Giuseppe Moscati, Pier Paolo Pasolini attraverso le lenti di Aldo Capitini; Carlo Pulsoni, Pasolini, Pound e Vanni Scheiwiller; Francesca Tuscano, Pasolini, Pound, Jakobson e la Realpolitik; Lorenzo Calafiore, Pasolini lettore dei classici; Alessandro Gnocchi, La Divina Mimesis; Tommaso Mozzati, Longhi, Pasolini, Anna Salvatore soprattutto; Chiara Moretti, Un ricordo e un ritratto dell’artista Gribaudo; Fabio Melelli, Ripensare il cinema di Pasolini nel centenario della nascita; Simone Casini, Pasolini e Moravia; Ginevra Amadio, Il vuoto delle lucciole. Pasolini tra potere, ideologia ed ecologia; Vittoria Corallo, Del mio paese popolato come un poema; Giovanni Bogani, “Se l’è meritato”, disse mia nonna. Pasolini e il cinema; Giulio Carlo Pantalei, Versi impuri. Pasolini poeta per musica; Giulia Grillenzoni, Lo scricchiolio del corpo fracassato.

 


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