Claudio Nobili

L’italiano senza parole: segni, gesti, silenzi

Firenze, Franco Cesati editore, 2022

Dove si collocano segni, gesti, silenzi negli atti comunicativi dell’essere umano? Rivestono un ruolo secondario rispetto alla comunicazione verbale o del tutto paritario?

Volgiamo lo sguardo indietro di pochi anni. Due disposizioni ufficiali – una direttiva del Ministero della Salute italiano e una nota sulle celebrazioni liturgiche della Chiesa cattolica – intervenivano direttamente sull’ambito comunicativo dei gesti.

Sembra sia passato molto tempo, ma solo nel 2020, nel pieno della pandemia, erano interdetti alcuni gesti come la stretta di mano o gli abbracci tra i laici e lo scambio, durante la messa, di un segno di pace.

«Gesti circostanziali, di servizio o di necessità» (si veda il capitolo In tempo di pandemia da Covid-19) come l’avvicinamento dei gomiti o la mano sul cuore (che limitava del tutto i contatti) erano i saluti anti-covid raccomandati, almeno nel mondo occidentale. A poco a poco, con l’attenuarsi dell’aggressività pandemica, si è tornati alla normalità in quasi tutti i contesti sociali e, quindi, anche alla piena libertà espressiva.

In chiesa, prima di tornare al gesto di pace più radicato, si è passati attraverso una fase transitoria in cui ci si guardava, abbassando la testa. «Non apparendo opportuno nel contesto liturgico sostituire la stretta di mano o l’abbraccio con il toccarsi con i gomiti, in questo tempo può essere sufficiente e più significativo guardarsi negli occhi e augurarsi il dono della pace, accompagnandolo con un semplice inchino del capo» (Comunicato finale del Consiglio Episcopale Permanente della Conferenza episcopale italiana - CEI – sessione invernale del 26 gennaio 2021). Una sorta di censura igienica modificava le nostre consuetudini comunicative a salvaguardia della salute. Mai come allora molti, se non tutti, si sono sentiti profondamente limitati nella propria capacità espressiva, un po’ come se fossero state bandite dal nostro vocabolario le forme di saluto più comuni, dal ciao all’arrivederci.

L’italiano non ha solo una dimensione verbale, perché «siamo naturalmente dotati di una competenza multimodale», e ci esprimiamo attraverso una «combinazione complessa di parole e codici non verbali (distanza interpersonale, gesti delle mani e delle braccia, espressioni del volto, ecc.)».

Di questo («con il termine multimodalità si intende proprio l’uso combinato di codici verbali e non verbali – i mezzi o modi semiotici – per produrre un significato, ossia per comunicare») e del «rapporto tra le parole e i gesti delle mani e delle braccia» ci parla Claudio Nobili, ricercatore di Linguistica italiana presso il Dipartimento di Scienze umane, Filosofiche e della Formazione dell’Università di Salerno, nel suo pregevole volume L’italiano senza parole: segni, gesti, silenzi.

Nobili, che ha posto al centro dei suoi studi la didattica dell’italiano, la gestualità in prospettiva linguistica e nell’ottica di un’educazione integrale, approfondisce l'analisi del gesto, collocando l’aspetto non verbale della comunicazione sullo stesso piano delle parole («i gesti come “parole nascoste” da esplicitare»).  E l’italiano, com’è noto, è una lingua nella quale le parole nascoste hanno grande rilievo e dove la gestualità costituisce una dimensione fondamentale.

Al riconoscimento giuridico della LIS, al suo insegnamento e agli strumenti per studiarla è dedicato il capitolo Un segno non è un gesto: l'Italia si muove. Qui è anche esplicitata la differenza tra segno e gesto: «Con buona approssimazione, possiamo dire che un segno è il corrispondente di una parola nella LIS, la Lingua Italiana dei Segni, usata dalla comunità dei sordi in Italia (la LIST, invece, è la Lingua Italiana dei Segni Tattile, ovvero la versione tattile della LIS utilizzata dalle persone sordocieche» […]).

I gesti ai quali si fa riferimento in questo libro sono naturalmente i gesti comunicativi, diversi, per esempio, dai gesti pratici (come quelli di qualcuno che offre conforto a una persona in difficoltà attraverso un oggetto materiale). Il significante del gesto comunicativo è costituito dalla forma e dal movimento delle mani, che trasmettono un significato al destinatario del messaggio. «Un gesto comunicativo, pertanto, ha le stesse due “facce” di una parola: la faccia del significante che mostra il significato e la faccia di quel significato; la faccia del significante è realizzata con le mani e percepita attraverso la vista, è cioè realizzata attraverso un canale manuale-visivo […]».

Dei diversi tipi di gesti, emblematici o simbolici, illustratori o adattatori, la prima categoria è costituita da «gesti linguisticamente e culturalmente codificati, cristallizzati nell’uso a tal punto da formare un lessico gestuale repertoriabile e descrivibile in un dizionario proprio come un lessico di parole». Il più noto, probabilmente, è il Supplemento al dizionario italiano del 1963 di Bruno Munari.

Nel quarto capitolo si passano in rassegna molti altri dizionari, pubblicati negli ultimi sessant’anni e, più avanti, anche un video rap del Consolato USA a Milano Italian Hand Gestures RAP (IHGR), che permette all’autore di svolgere alcune riflessioni sui gesti emblematici.

Molto interessanti gli approfondimenti sull’«”italiano senza parole” fatto di silenzi tuttavia espressi da parole» nel capitolo dedicato alle Forme verbali del silenzio.

Oltre ai numerosi esempi che arricchiscono l’analisi linguistica, il libro, alla fine di ciascun capitolo, offre stimolanti esercizi di autoverifica (con soluzioni alla fine del testo).

Le parole, in definitiva, non sono tutto. Come conclude l’autore, che sottolinea l’importanza e la necessità di «realizzare a scuola un’educazione al gesto», anche in funzione degli effetti positivi che tale pratica può avere sull’apprendimento e sull’uso della lingua materna, «[p]ossiamo, dunque, fare a meno delle parole, ma non della comunicazione. Questo implica riconoscere come fondamentale un italiano senza parole ma con i gesti, da usare ogni qualvolta desideriamo far ascoltare all’interlocutore soltanto la “voce” delle nostre mani».

Per saperne di più

Altri articoli di Claudio Nobili sullo stesso argomento nel magazine Lingua italiana, Treccani.it

Benedetta Marziale, Elena Tomasuolo, Nel segno della LIS e dei diritti, Lingua italiana,Treccani.it