Vito Catalano
La figlia dell’avvelenatrice
Firenze, Vallecchi, 2023
Con La figlia dell’avvelenatrice, Catalano torna a scrivere un’opera secondo uno schema a lui caro, che sappiamo già essere nelle sue corde, ovvero quello del romanzo storico. Anche se non vi sono riferimenti a fatti realmente accaduti, l’autore, infatti, ci conduce nel 1763 e più precisamente, già nell’incipit del romanzo, apprendiamo dal narratore interno, nonché protagonista della storia, che l’inizio degli accadimenti è il 4 maggio di quell’anno.
Il giovane naturalista Emanuele, figlio del barone Guglielmo Rinaldi, accompagnato dal fedele campiere Domenico, sta recandosi al palazzo del conte Giovanni Paruta, un vecchio amico del proprio padre, ubicato nei boschi dell’entroterra, per condurre degli studi sulla flora e sulla fauna di quei luoghi. Già dopo poche pagine, il lettore è catapultato in un vortice di avventure, che si succedono una dopo l’altra senza soluzione di continuità, con le connotazioni tipiche dei romanzi di cappa e spada. Non mancano, infatti, mascalzoni di ogni sorta, donzelle in difficoltà da mettere in salvo, locande ed osterie dalle dubbie frequentazioni, ma soprattutto, vi è il protagonista, il giovane Emanuele, che incarna il classico eroe senza macchia e senza paura, dotato anche di grande senso dell’onore. Al centro del racconto è la storia d’amore del nostro eroe con la bella Rosa, attorno alla quale si svolge tutta la vicenda, sul cui finale non proferiamo parola, per non rovinare al lettore il piacere della suspense.
Lo stile asciutto della narrazione, che non si dilunga in descrizioni dettagliate di luoghi e personaggi, a meno che non siano funzionali alla storia, rende il ritmo del racconto estremamente serrato, inducendo il lettore a dipanare prontamente gli intrecci della trama, per arrivare rapidamente alla conclusione.