Luigi Matt
Appunti su stili (e temi) delle ‘familiares’ di Giorgio Manganelli
«Autografo», XXX, 68, 2022, pp. 171-190
Nell’ultimo fascicolo della rivista di letteratura fondata da Maria Corti e diretta da Giuseppe Antonelli, Mauro Bignamini, Maria Antonietta Grignani e Gianfranca Lavezzi, dal titolo Sul confine dei carteggi di carta. Lettere letterate 1931-1996, spicca un saggio di Luigi Matt, ordinario di Linguistica italiana all’Università di Sassari, sulle lettere spedite da Giorgio Manganelli (Milano 1922 – Roma 1990) ai famigliari: «Oggi che probabilmente stiamo assistendo alla trasfigurazione, se non proprio alla morte, della forma-lettera, viene naturale guardare con particolare interesse all’ultima grande stagione, quella degli epistolari novecenteschi, in particolare degli scrittori, che offrono spesso pagine di grande valore, non inferiore a quello delle opere letterarie scritte per essere pubblicate. […] Alla nutrita schiera degli scrittori italiani novecenteschi che hanno esercitato l’arte epistolare senza risparmiare le proprie risorse intellettuali ed espressive va senz’altro ascritto Giorgio Manganelli», del cui Circolazioni a più cuori (Torino, Aragno, 2008, voluto e curato da Lietta Manganelli, contenente missive destinate alla moglie Fausta Chiaruttini, a sua figlia Lietta, al fratello, alla madre e alla cognata) Matt offre una ricognizione linguistico-stilistica non meno sintetica che di grande interesse.
Nel volumetto spicca sul piano espressivo, data l’ampia varietà di temi e registri, soprattutto la sezione dedicata alle giovanili indirizzate alla moglie tra l’estate del 1944 e l’autunno del 1946, nelle quali il critico-linguista ravvisa non sine quare i segni evidenti d’uno scrittore di razza in nuce:
‒ dalle non rare serie asindetiche, rigorosamente trimembri («tu esisti penetrata in me, nel mio sangue, nel mio esistere»; «Ho bisogno di te, delle tue parole, di tutta quell’aria che germina da te e che io respiro, col mite stupore di un bimbo che scopre di essere vivo»)
‒ al più fantasioso “baby-talk” pullulante di diminutivi e vezzeggiativi («Me cion picolino! Perché fare sempre il grande?»; «Mamina, Ciciolino ha bisogno di mamina perché se no ha tanta paura ed i fantasmi s’impadroniranno di lui, ed allora come farà mamina a trovare Cicciolino?»; «Tanti bacini dal tuo picinaglia che è tanto in pensiero per mamina»; «come fa bambino se mamina più fiducia in lui? Bambino piange»);
‒ dalle molte occorrenze del sostantivo buio, «usato perlopiù in contesti che non dimostrano particolare originalità; ma la frequenza è rivelatrice: pensando alla centralità del campo semantico dell’oscurità nei principali libri di Manganelli, si possono interpretare tali passi come l’epifania, non ancora sublimata letterariamente, di una delle più radicate ossessioni dell’autore. Un’ossessione di cui egli è da subito ben consapevole» («io devo continuamente lottare con la mia ‘volontà di buio’»)
‒ all’eccesso e al comico in contesti prossimi al rigetto («sono deciso per vederti a calpestare obblighi sociali, a penetrare in case altrui; deciso, ove occorra, a scalare finestre e scassinare porte»; «Ti prego di non sottoporre la mia buona volontà di glossatore all’improba fatica di capire qualcosa specie per la parte a matita, che pare la scrittura di un moribondo per forma pronunciata di delirium tremens», in cui si ravvisano i primi germi della scrittura letteraria, come glossatore — anticipazione del personaggio centrale di Nuovo commento — e delirium tremens, che ricorrerà in più d’un articolo manganelliano);
‒ dalle affabulazioni a scopo seduttivo, tra metafisica e inclinazione al fantastico («Endenna non è un villaggio, è un punto metafisico, un’entità sottratta alla storia e alle leggi. Endenna è un archetipo, come potrebbe segnarla una carta del Touring? // Che sono Milano, Bergamo, Zogno? Niente più che luoghi. Endenna non è ‘luogo’ più di quanto sia ‘luogo’ Tebe, o il Parnaso, o la Città sulle Nubi. È come Vineta che fa squillare le sue campane dalle profondità marine dove fu immersa: Endenna è il castello incantato che, secoli or sono, costruì un potente e sinistro mago degli Ittiti, per via di incantamenti. Il suo incantamento era terribile: mutava in rocce sterili le creature umane, riducendo in pietre dure gli esseri vivi. E si dice che il castello fosse eretto così, di creature mutate in pietre. Egli accumulò le pietre, anno per anno, ed una notte gli spiriti demoniaci lanciarono le rocce in forma di agili torri, nel limpido plenilunio stupito. Così sorse il castello, alto e silenzioso»: si noti che Manganelli conierà il termine nonluogo molto prima dell’uscita di Non-lieux — gli spazî privi di identità culturale e antropologica — del sociologo francese Marc Augé);
‒ agl’inserti ludici fini a sé (Mobu-Cimba, 18 febbraio // Ieri sera un givanotto [sic] di nome Giorgio iniziava la colonizzazione del Kenia portandola a termine in 12 ore, costruendo 1000 km di strade ed edificando 18674 cammelli, 66666 leoni con la coda e 56573 senza coda. Stamane ha inaugurato un lotto di 18943 elefanti, e inoltre una giraffa viola con cravatta a pallini; intervistato dal nostro inviato Egusto Currada, egli ha dichiarato di aver colonizzato perché era contento. Ha aggiunto che desiderava colonizzare anche il nostro inviato»)
‒ ai puri esercizî iperletterarî, sovente d’impronta dannunziana, farciti d’improbabili neologismi e impenetrabili voci di lessico famigliare («Coax, disse Ippolita contemplando l’assolata mole della cupola di San Girimaldasco che lentamente mutavasi di viola in bluastro di bluastro in neroseta di neroseta in neromaglieria di basso prezzo, Coax, dovrà pur fare le sogghignamenta cotesta tristanzuola che si sdegna de le lazza nostra. Oh dovrà! // E la fiera testa leonina ebbe un soprassalto. In alto brillò una stella, ell’era stella della sera, e Ippolita ebbe un brivido d’animale ferito, e annusò con le sue poderose froge: le struccolamenta fanno esse? Le struccolamenta e le manicaretta vuoi con le poma vuoi con le frutta conciate in isquisite guise… andiamoci? E l’anima soggiunse: Fa d’uopo, fa di mestieri»).