Antonio Gurrado
Atto di dolore
Pomigliano d’Arco (NA), Wojtek edizioni, 2023
Parla di un uomo che scrive, prima di tutto, Atto di dolore, ultimo romanzo di Antonio Gurrado, nato a Bari nel 1980 e collaboratore di punta de Il Foglio. Quest’uomo, il protagonista, si chiama anch’egli Antonio Gurrado, come il maggiore, con il quale condivide anche le comparsate nella letteratura sportiva (Ho visto Maradona, pubblicato con Emiciclo nel 2014) e gli studi specialistici in filosofia (La religione dominante. Voltaire e le implicazioni politiche ella teocrazia ebraica, Rubbettino 2018).
La storia che questo personaggio descrive è, invece, storia comune, storia condivisa: un uomo che sta provando a mettere insieme un romanzo di successo al fine di abbandonare la “provincia” letteraria dei saggi e delle collaborazioni giornalistiche per approdare in Serie A e arrivare finalmente al grande pubblico.
Il romanzo in oggetto, quello che il Gurrado personaggio cerca di piazzare a forza di mail senza risposta o di interminabili sermoni con gli editor, è la storia di Giustino Sperandìo, pornografo su commissione, uomo disperato alla continua ricerca delle sue depravazioni e di una isperata redenzione.
Tre gurradi, dunque: l’autore; il personaggio; lo stesso Sperandìo. Ognuno avvolto da un differente livello di finzione, ognuno ustionato dalla propria biografia, inevitabilmente simile e diversissima dalle altre due.
Un mostro bellissimo ne viene fuori, tentato e attraversato dalla conoscenza che l’autore ha della grande letteratura erotica, coeva e passata, la cui forza irrora alcune delle scene più intense di questo romanzo (si va dal marchese De Sade fino a Chris Offutt e tramite legacci diffusi la storia di Gurrado si ripercuote e si intreccia con quella di Sperandio).
La forma testuale non segue la dicotomia, il romanzo si spezza ulteriormente, diviso in tre parti: Cosa esiste fuori dal testo è quella iniziale, quella centrale, più corposa, Fogli volanti che parla proprio del testo Atto di dolore. In ultimo: Letture facoltative, brevissimo, bruciante e assolutamente obbligatorio per l’economia del testo è il finale di questo romanzo. In queste poche pagine viene fuori il protagonista occulto del testo, già conosciuto e riconosciuto dal lettore.
Il romanzo per il Gurrado personaggio è un’ossessione. Un uomo che scrive e desidera il successo, la chimera di ogni scrittore, il libro capace di sollevare l’autore dalla bolla e di trasportarlo nel pantheon degli onnipotenti.
Nel romanzo dentro il romanzo, il secondo protagonista, il pornografo cattolico Giustino Sperandìo, diviso tra il suo lavoro su commissione di bassa pornografia e le sue avventure sessuali. Chi scrive vuole morire, questo l’intento, dichiarato fin dalle prime pagine in una prosa ricca ma chiarissima, mai vezzosa, mai inutilmente arzigogolata e compiaciuta, utile a seguire il complesso dispositivo della narrazione senza che la lettura ne venga strozzata.
Sesso e religione, le tematiche di Gurrado, ma non solo sesso e religione, piuttosto una ricognizione dell’umano attraverso il diorama del corpo e della colpa.
Il sottotesto è quello conosciuto e gettonato del nostro tempo: un annullamento. Quello dell’uomo di lettere, disciolto dentro se stesso, quello della storia da lui raccontata, tutto questo ovviamente trova terreno fertile nella tensione metanarrativa dove entrambe le storie sembrano raccontare la stessa miseria.
Si rimane coinvolti, invischiati, nell’idea che Gurrado ha degli esseri umani (dire io per dire una moltitudine), nel suo viaggio di aspirante scrittore, fino a sovrapporre, nella immaginazione di chi legge, la vita dell’autore non solo con quella dell’omonimo personaggio ma anche con lo stesso sgangherato Sperandìo.
«La strategia che mi converrebbe di più – scrive Gurrado – è morire» e la morte arriva, almeno idealmente, nel doppio di Gurrado che, già nella premessa che introduce il metaromanzo, frequenta una sfera sessuale che è figlia stessa della pulsione di morte, o meglio ancora che rappresenta una sorta di abbassamento, di lato oscuro di quella del protagonista: «Masturbazione parossistica, pornografia, adulterio, scambismo, prostituzione e innumerevoli rapporti occasionali sono alcune delle sfaccettature che progressivamente sperimenta per tentare di sottrarsi all’impulso corporale negativo che lo ossessiona, mediante il quale si sente vincolato tanto all’ingombrante presenza del padre quanto all’ipotetica possibilità di un figlio».
Ed è proprio questo impulso negativo, che trae nutrimento anche dal cattolicesimo con cui Giustino prova, insanamente, a fare i conti.
Anche Atto di dolore, il libro che Gurrado personaggio sta scrivendo, è tripartito, ma le tre parti altro non sono che i diversi livelli di preparazione al confessionale. La contritio cordis (Piena avvertenza e deliberato consenso); Confessio oris (Calendario delle Bestialità); Satisfactio operis (Specchio di Vera Penitenza), in un libro che «intende rifarsi alla tradizione della pornografia cattolica, che pur praticando il peccato lo riconosce come tale, senza sterilizzarlo né annullarlo in un culto del corpo del tutto immanente e vacuo».
Ma il peccato è, per il cattolicesimo, una colpa, la stessa in cui incappa, volontariamente, lo Sperandio, ovvero quel sentimento che colpisce e libera, quella vergogna, quell’olio sporco e santo in cui il cattolico frigge e soffre per arrivare al vortice catartico e libidico che è il pentimento: «Tutti questi opposti erano diramazioni della biforcazione fondamentale, quella fra il piccolo Giustino e il grande Dio, e anziché rappacificarsi tiravano ciascuno per conto proprio».
Il desiderio si esplicita in un rito eucaristico sempre desiderato e mai raggiunto. Un prurito che il peccato sembra avergli lasciato dentro la pelle.