di Grazia Naletto*
Dal Vocabolario Treccani.it, s. v. clandestino, agg. e s. m. (f. -a): «... immigrato c., che entra in un paese illegalmente (anche sostantivato: le stime dei c. in Italia)...»
Fino a qualche anno fa la parola clandestino, utilizzata in forma di aggettivo, richiamava per lo più la storia dei movimenti e dei partiti antifascisti attivi durante la resistenza. O le lotte dei movimenti di liberazione contro i regimi autoritari. Oppure le storie romantiche ottocentesche dei matrimoni segreti celebrati senza il consenso delle famiglie dei coniugi. In nessuno di questi tre casi la parola assumeva una connotazione negativa.
“Nascosto di giorno”
Oggi la parola è stata "ontologizzata": usata per lo più come sostantivo, identifica nell'uso corrente, soprattutto nel discorso politico e mediatico, i migranti che tentano di raggiungere le nostre coste o che risiedono nel nostro paese privi di un titolo di soggiorno.
Dal punto di vista etimologico nella parola clandestino, di origine latina - clam ('nascosto') e dies ('giorno') , letteralmente 'nascosto di giorno' -, è presente l'idea della segretezza, dell'occulto, dell'ombra e dell'oscurità. L'associazione della parola al fenomeno migratorio ha accentuato il concetto di "illegalità" che essa porta con sé: tra i significati che essa ha acquisito nel corso del tempo vi è infatti quello che si riferisce a comportamenti e attività posti in essere senza l'approvazione o di fronte all'espresso divieto delle pubbliche autorità.
Ma sono stati definiti spesso clandestini anche le migliaia di donne, uomini e bambini morti in quel cimitero a cielo aperto che è divenuto il Mediterraneo, ovvero le persone che non hanno ancora mai toccato le nostre coste e dunque non hanno fatto in tempo a infrangere la legislazione che regola l'ingresso e il soggiorno dei cittadini stranieri nel nostro paese. Persino in occasione del naufragio avvenuto nei pressi di Lampedusa il 3 ottobre 2013, una strage di innocenti in cui sono morte 366 persone (ma molte altre sono risultate disperse), c'è stato chi ha avuto il coraggio di usare questa parola.
Stigma xenofobo
Clandestino è un marchio, un logo, uno stigma, una parola chiave utilizzata in modo sempre più estensivo dalla retorica xenofoba e razzista per costruire muri e frontiere simbolici tra "noi" e "loro" là dove il "noi" identifica i cittadini autoctoni e il "loro" chiunque provenga da un paese terzo - Stati Uniti, Svizzera, Giappone e Australia naturalmente esclusi.
L'uso della parola non è però unica prerogativa delle destre e della Lega Nord. «Berlusconi ancora una volta ha ingannato gli italiani. Raddoppiati gli sbarchi degli immigrati clandestini»: è il testo di un manifesto affisso in molte città italiane dal principale partito della sinistra italiana nel 2009. L'egemonia culturale esercitata dalla retorica del rifiuto nell'ultimo ventennio, a partire dalla crescita del movimento leghista, ha per così dire contaminato non poco anche le forze politiche democratiche e di sinistra.
Anche dopo la morte
Clandestino è un'etichetta che disumanizza le persone: la disumanizzazione è funzionale alla negazione dei diritti, persino del diritto di esistere.
Così a San Martino dell'Argine, piccolo comune mantovano, nel novembre 2009, il sindaco ha invitato i propri concittadini a denunciare la presenza di cittadini stranieri privi di permesso di soggiorno. Analoga iniziativa è stata promossa a Gerenzano, in provincia di Varese, con l’apertura di un numero di cellulare «da comporre per segnalare la presenza di clandestini in paese».
Sempre nel 2009 il gioco Rimbalza il clandestino è stato messo on line sulla pagina Facebook della Lega Nord per «sensibilizzare i giovani»: obiettivo del gioco era quello di colpire il maggior numero possibile di barche di migranti raffigurate in una mappa intorno alle coste del nostro paese.
Nel dibattito parlamentare che ha preceduto l'approvazione della legge 94/2009 - una delle norme che hanno composto il cosiddetto "pacchetto sicurezza" dell'ultimo Governo Berlusconi - è stato messo in discussione un diritto fondamentale come quello alle cure di primo soccorso per gli immigrati privi di un permesso di soggiorno. Un tentativo per fortuna fallito anche grazie alla mobilitazione dei medici e di molte organizzazioni della società civile.
La legge di cui sopra ha introdotto il reato di «ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato» punibile con il carcere (pena dichiarata illegittima dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea con la sentenza El Dridi del 2011) e con un'ammenda da 5mila a 10mila euro.
Si è clandestini anche dopo la morte. Come il giovane maghrebino morto di freddo nel febbraio 2010 a Ferrara, ricordato in questo modo dalla stampa locale che ha riportato la notizia.
La legge che crea i “buoni” e i”cattivi”
E allora occorre fare un po' di chiarezza.
Primo. La clandestinità è un prodotto della legislazione nazionale e comunitaria che regola l'ingresso e il soggiorno dei migranti provenienti da paesi terzi in Italia e in Europa. Non si è clandestini per scelta, lo si diventa per costrizione. Se fosse possibile raggiungere le nostre coste con un mezzo di trasporto di linea, se il diritto a migrare (riconosciuto dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, art. 13) fosse accompagnato da un universale diritto a immigrare, si salverebbe la vita di molte persone e la presenza di migranti privi di documenti diminuirebbe. La legislazione sull’immigrazione disegna invece una realtà “virtuale” centrata sulla distinzione tra gli “immigrati buoni” che entrano regolarmente in Italia e “rispettano la legge” e gli “immigrati cattivi”, i clandestini, che invece sarebbero “criminali per natura” perché tentano di varcare le frontiere senza avere il titolo di ingresso richiesto. Ma se questa distinzione fosse vera almeno i 3/5 dei milioni di immigrati regolarmente residenti nel nostro paese avrebbero subito una “mutazione genetica”: da “cattivi” perché entrati o trattenutosi in Italia "illegalmente", sarebbero divenuti improvvisamente “buoni” a seguito dei 7 provvedimenti di regolarizzazione una tantum con i quali i diversi governi dal 1986 al 2002 hanno consentito ad almeno 1,8 milioni di cittadini stranieri di acquisire un permesso di soggiorno.
Una parola da non usare
Secondo. Le parole non sono neutre, al contrario hanno una valenza performativa. L'utilizzo della parola clandestino con riferimento ai migranti andrebbe eliminato dal nostro dibattito pubblico perché se associata al fenomeno delle migrazioni assume un significato discriminatorio, stigmatizzante e fortemente criminalizzante. L'equazione immigrati/clandestini/criminali è uno dei messaggi che hanno maggiormente contribuito a orientare il dibattito pubblico e la pubblica opinione nella direzione di un approccio distorto e prevalentemente sicuritario al fenomeno delle migrazioni.
La rinuncia all'utilizzo di questa parola è stata suggerita per la prima volta alcuni anni fa da una campagna promossa dai Giornalisti contro il razzismo (www.giornalismi.info/mediarom/) e continua ad essere sostenuta dall'associazione Carta di Roma (www.cartadiroma.org), fondata nel 2011 da FNSI, Ordine Nazionale dei Giornalisti e alcune organizzazioni della società civile proprio per promuovere una informazione corretta su richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti.
Tre agenzie di stampa italiane, Redattore sociale, Dire e Adn Kronos, si sono già impegnate a non utilizzare questa parola con riferimento ai migranti. Sarebbe più che opportuno che il loro esempio venisse seguito dalle altre testate giornalistiche di stampa, radio e tv, in primo luogo quelle pubbliche. E sarebbe ugualmente auspicabile che di essa facesse a meno chi riveste un ruolo di rilevanza pubblica nei partiti, nelle istituzioni e nel mondo della cultura.
Come ha avuto modo di ricordare proprio in riferimento alla strage di Lampedusa del 3 ottobre il direttore dell'«Avvenire» Marco Tarquinio, « nel discorso pubblico si tende a rovesciare la causa con l’effetto, come del resto si fa con la nozione di “clandestinità”: un’attribuzione naturalizzante (e perciò razzista) che distrae dalla considerazione che chi fabbrica i clandestini siamo noi». Migranti, profughi, richiedenti asilo, persone senza documenti: le parole alternative sono molte, usiamole.
Suggerimenti di lettura
Faso G., Lessico del razzismo democratico. Le parole che escludono, DeriveApprodi, 2008.
Galissot R., Kilani M., Rivera A., L'imbroglio etnico in quattordici parole chiave, Edizioni Dedalo, 2011.
Lunaria (a cura di), Cronache di ordinario razzismo. Secondo libro bianco sul razzismo in Italia, Edizioni dell'Asino, 2011.
Redattore Sociale (a cura di), Parlare civile. Comunicare senza discriminare, Bruno Mondadori, 2013.
*Grazia Naletto, presidente di Lunaria e co-portavoce della Campagna Sbilanciamoci! La lotta contro il razzismo e per la garanzia dei diritti di cittadinanza è al centro delle sue attività di ricerca e del suo impegno sociale. Tra le ultime pubblicazioni ha curato per conto di Lunaria I diritti non sono un "costo". Immigrazione, welfare e finanza pubblica, Lunaria, 2013; Costi disumani. La spesa pubblica per il “contrasto dell’immigrazione irregolare”, Lunaria, 2013; Cronache di ordinario razzismo. Secondo libro bianco sul razzismo in Italia, Edizioni dell’Asino, 2011 e Rapporto sul razzismo in Italia, manifestolibri, 2009. Autrice di L’immigrazione in Pizzuti F. (a cura di), Rapporto sullo Stato Sociale 2008, UTET, 2008, e di L’utopia razionale in Peretti I. (a cura di), Shengenland. Immigrazione: politiche e culture in Europa, Eds, 2010.