di Loris Zanatta*

Dal Vocabolario Treccani.it, s. v. populismo, s. m.: «Con sign. più recente, e con riferimento al mondo latino-americano, in partic. all’Argentina del tempo di J. D. Perón (v. peronismo), forma di prassi politica, tipica di paesi in via di rapido sviluppo dall’economia agricola a quella industriale, caratterizzata da un rapporto diretto tra un capo carismatico e le masse popolari, con il consenso dei ceti borghesi e capitalistici che possono così più agevolmente controllare e far progredire i processi di industrializzazione».

Il populismo è un fiume carsico: oggi è sulla bocca di tutti ma in altre epoche scompare, inghiottito dal silenzio. Già in passato, visto l’abuso, vi fu chi implorò se ne bandisse la parola. Che utilità può mai avere un termine che è ora epiteto ora concetto, fenomeno politico o stile del discorso, tipo di leadership o trucco verbale per screditare l’avversario? Ma l’idea di abolire la parola fallirebbe oggi come già fallì in passato. La parola, infatti, ritorna perché a tornare è ciò che essa cerca di definire.

Sommaria e diffusa visione del mondo

Se così è, urge fare luce e separare la parola dal concetto: come tale, populismo è un termine utile a comprendere l’intima natura di una vasta classe di fenomeni storici. Come concetto il populismo è riconducibile a un nucleo ideale ravvisabile in regimi, movimenti e idee anche assai lontani tra loro nel tempo e nello spazio. Non è un’ideologia formalizzata, ma una sommaria e assai diffusa visione del mondo per capire la quale occorre liberarsi dell’idea di collocare i fenomeni storici lungo una ascisse ideologica che va da destra a sinistra o di definirli in base alla classe sociale di cui sarebbero veicolo. Semmai il populismo si capisce sullo sfondo della dialettica moderna tra universo ideale illuminista e universo ideale organicista. Al centro di tale nucleo ideale svetta l’idea di popolo tipica dei populismi. Tale popolo è da un lato il depositario della sovranità, il che fa del populismo un attore che agisce nell’orizzonte della democrazia. Dall’altro lato, però, il popolo dei populismi è inteso come una comunità olistica, una comunità omogenea di storia e destino dove l’individuo è subordinato all’insieme. Nella visione populista del mondo tale comunità ha il monopolio della virtù: perché ritiene incarni l’identità nazionale, o una data matrice etnica o religiosa, o la moralità e la giustizia sociale, o magari perché s’identifica con una classe sociale investita di una missione redentrice. Il richiamo alla comunità olistica del popolo fa sì che il populismo offra beni primari il cui enorme potenziale evocativo ne spiega la popolarità: promette infatti protezione e identità. Ciò facendo, l’immaginario olistico eleva il proprio popolo a unico popolo legittimo e virtuoso. Si fonda cioè su un principio di unanimità del popolo e ne bandisce la pluralità. Tali suoi tratti, fanno sì che il populismo rappresenti una forma non pluralista di integrazione del popolo alla comunità politica. Nella sua ottica, tutto ciò che attenta alla omogeneità del popolo va combattuta per salvaguardare la salute dell’organismo comunitario. A ciò risale il tipico immaginario manicheo del populismo, che suole separare il mondo in amici e nemici. Il che vale ora nei confronti di altre ideologie o religioni, etnie o classi sociali reputate ostili, ora delle istituzioni dello Stato di diritto che ritiene ostacolino il legame tra il popolo e colui che lo guida. Il quale, essendo quel popolo omogeneo ed esprimendosi perciò in modo univoco, è un leader di tipo carismatico, ossia un leader non solo politico, ma ancor più spirituale, ammantato di un’aura religiosa cui il popolo si affida con elevato grado di fideismo.

La promessa di ridare l'omogeneità

Quali sono le condizioni storiche favorevoli all’irruenta emersione del fiume carsico populista? È quando il delicato filo che unisce il popolo sovrano ai suoi rappresentanti si incrina e quando la sicurezza, l’identità e la coesione di una comunità sono soggetti a forti pressioni, che attecchisce la promessa populista di ridarle l’omogeneità perduta. Che sia una dirompente crisi economica, la delegittimazione di un sistema politico, un forte vento di cambiamento dei costumi e del tessuto etnico e religioso, tutto ciò che genera insicurezza e frammentazione alimenta la reazione populista.

Radici pre-illuministiche

Rimane da vedere quali siano origine ed evoluzione dei populismi. In quanto all’origine, le loro radici affondano in un immaginario antico, in un universo preilluminista dominato dal sacro dove unità politica e religiosa erano tutt’uno, la comunità prevaleva sull’individuo, la fede sulla ragione, l’unità sulla pluralità. Tanto che si può dire che i populismi, che di quell’antico immaginario sono la trasposizione secolarizzata nell’epoca della democrazia politica e della società di massa, siano la maggiore alternativa alla modernità illuminista espressa dalle rivoluzioni liberal-costituzionale e capitalista.

La pulsione totalitaria e il costituzionalismo democratico

Per quanto riguarda l’evoluzione storica dei populismi, molta acqua è passata sotto i ponti da quando, nella prima metà del XX secolo, il loro nucleo ideale travolse le barriere della democrazia liberale sfociando in regimi totalitari. Com’era preventivabile dato che se la pulsione unanimista del populismo trionfa, totalitario ne è lo sbocco: di tipo fascista allorché il suo popolo è definito in termini nazionali, di tipo comunista quando a caratterizzarlo è la classe sociale. Ma dalla seconda guerra mondiale in poi, il nucleo ideale del populismo è rimasto imbrigliato nell’abito del costituzionalismo democratico. Da allora, si può dire sia in corso un estenuante braccio di ferro tra le pulsioni populiste a neutralizzare l’ethos pluralista della democrazia liberale e l’architettura dello Stato democratico, che obbliga il populismo alle sue regole diluendone così l’afflato unanimista.

I populismi di Bossi, Berlusconi, Grillo

Tutto ciò ha assunto spesso aspetti esasperati nella storia italiana, al punto da obbligare a chiedersi quali peculiari condizioni vi rendano il terreno così fertile per la pianta populista. L’ideale olistico e la sua idea di popolo insofferente alla rappresentanza liberale e ai condizionamenti imposti alla sovranità popolare dalle garanzie costituzionali degli Stati di diritto, vi trionfò al punto di ergersi a regime totalitario in età fascista. Costretto dall’esito della guerra mondiale ad accettare i panni della democrazia liberale, quell’immaginario torna oggi a dilagare in forma ibrida, ossia all’interno del quadro istituzionale liberaldemocratico, col declino del sistema di partiti postbellico e della guerra fredda che lo puntellava. Ora in veste regionalista come nel populismo padano, ora in quella del popolo in rivolta contro il fisco e il “teatrino politico” del berlusconismo, ora in quella del grillismo che invoca un popolo col monopolio dell’onestà, la pianta populista prospera. Le ragioni non mancano: come il resto del mondo latino, l’Italia visse la modernità illuminista e la civiltà liberale che ne è scaturita come periferia di un centro; contro quel tipo di modernizzazione ne elaborò una alternativa che evocava il passato olistico della cristianità. Le grandi divisioni di ordine sia sociale sia regionale che solcano la penisola nutrono a loro volta come reazione l’appello a una comunità che conservi l’omogeneità di ciò che la modernizzazione erode. Il contesto contemporaneo, infine, con la crisi delle antiche identità politiche, la recessione economica, gli effetti della globalizzazione, la rapida trasformazione del panorama etnico, culturale e religioso per effetto dei flussi migratori, è solcato da poderose forze che minano la tenuta e la rappresentatività del sistema liberale italiano e offrono potenti armi ai tanti populismi che promettono unità, sicurezza e virtù perdute.

Segnalazioni bibliografiche

Piero Ignazi, La fattoria degli italiani: i rischi della seduzione populista, Milano, Rizzoli 2009.

Y.Mény, Y.Surel, Populismo e Democrazia, il Mulino, Bologna 2002.

Paul Taggart, Il populismo, Città aperta, Troina 2002.

Loris Zanatta, Il populismo, Carocci, Roma 2013.

*Loris Zanatta insegna Storia dell’America Latina all’Università di Bologna. È autore _di numerosi libri e articoli, publicati in Europa e in America Latina. Tra di essi:_Perón y el mito de la Nación católica (Buenos Aires, 1999); Historia de la Iglesia argentina (Buenos Aires, 2000), Il peronismo (Roma, 2008), Eva Perón. Una biografía politica _(Soveria Mannelli, 2009),_Storia dell’America Latina contemporanea (Roma-Bari, 2010), La Internacional Justicialista (Buenos Aires, 2013), Il populismo (Roma, 2013).