Olio e surgelati. Telefoni cellulari e carta igienica. Macchine da scrivere, sigari, estratto per brodo. Enciclopedie, serrature di sicurezza, misure anti-Covid19.
Ci sarebbe da domandarsi quale sia, nel mirabile mondo della comunicazione, l’elemento che accomuna questo eterogeneo gruppo di offerte.
Se fosse difficile trovare una risposta (in effetti, lo è), può essere d’aiuto un indovinello: ha un gran naso e uno strano copricapo rosso, è un protagonista della letteratura mondiale, è toscano. Di chi si tratta?
Qualche burlone potrebbe rispondere: Pinocchio. Che, a suo modo, corrisponde alla descrizione. Ma risposta automatica resta una sola: Dante Alighieri o, più facilmente, Dante e basta.
Il Sommo Poeta. L’autore della Commedia. Il padre della lingua italiana. Dante è tutto questo, ma è anche qualcos’altro: un segno, un’icona, un pezzo di cultura pop.
Un motivo in apparenza marginale, ma in realtà non così irrilevante, del radicarsi della figura di Dante nell’immaginario collettivo sta nel suo essere così riconoscibile. L’abito e il copricapo rossi, la corona d’alloro, il gran naso: bastano pochi tratti, e Dante è Dante. È come se ogni rappresentazione fosse stata sottoposta al controllo di un occhiutissimo ufficio marketing, attento a impedire ogni deviazione dalle caratteristiche stabilite in una ideale Bibbia del Marchio.
Insomma: se Dante fosse una marca, potrebbe vantare una coerenza di segni che neanche la Coca Cola. La stessa cosa non capita nemmeno con Leonardo o con Shakespeare. Non sono segni abbastanza forti la gran barba bianca del primo (un attributo condiviso da troppi: dal Dio creatore della Cappella Sistina a Darwin, da Babbo Natale a Gandalf) né l’ombra di barba e baffi e il colletto di pizzo del secondo, che nei ritratti giovanili può, per esempio, essere confuso con Cervantes.
Non solo Dante è Dante, ma lo si riconosce al primo sguardo. Detto ciò, alla sottoscritta tocca ammettere di aver fatto lei stessa leva su questa peculiarità ponendo, qualche anno fa, Dante a simbolo di una petizione contro l’abuso immotivato dei termini inglesi.
In sintesi, è l’unione di universalità e riconoscibilità a far sì che, non sempre a proposito, Dante sia evocato a testimone nei contesti più diversi.
Da oltre cent’anni Dante è un olio, anzi (come recita il sito dell’azienda) è l’olio che parla italiano.
L’oleificio Costa che lo produce comincia a esportare in America nel 1898 ma, ahimé, laggiù l’azienda viene scambiata per portoghese: l’idea di dare all’olio il nome Dante nasce per associarlo strettamente all’Italia. La scelta è così felice che gli spagnoli subito dopo lanciano l’olio “Beatrice”.
A proposito di confezioni: se la presenza di Dante appare comprensibile per le risme di carta, risulta del tutto misteriosa su una scatola di sigari.
Un’altra apparizione storica riguarda le indimenticabili figurine Liebig, che illustrano sia la Commedia, sia la vita di Dante.
Oggi si chiamano Dante diversi vini, non tutti italiani (trovo perfino un Beso de Dante argentino), un’azienda di pasta alimentare surgelata (mi auguro che non useranno mai lo slogan “Dante al dente”), e molto altro.
Ed eccoci al tormentato rapporto tra la pubblicità e Dante, che entra da protagonista (anzi, da testimonial) in diversi telecomunicati, ma non in quelli dell’omonimo olio, che già nei primi Caroselli viene promosso da Peppino De Filippo.
È gustosissimo il carosello per la carne in scatola Simmenthal, con Walter Chiari-Dante e Silva Koscina-Beatrice che fraintende il più noto dei sonetti danteschi.
Discutibile invece lo spot del 2009 per una carta igienica: il poeta ha appena finito la sua opera (lo sappiamo perché ripete tra sé l’ultimo verso del Paradiso), Beatrice commenta bella codesta commedia, Dante, divina… ma ’un sarà un tantino lunga? e Dante la rassicura: per scriverla gli è bastato meno di un rotolo.
C’è anche per un errore di data: l’immagine d’esordio dice “Firenze, 1308, casa di Dante”. Ma in quell’anno Dante non è più a Firenze, né ha terminato la Commedia.
Non va meglio con la compagnia telefonica che in tempi più recenti spedisce Dante e Virgilio in una bolgia infernale trasformata in rumorosissima discoteca, o viceversa: Beatrice telefona, Virgilio manda a tutti un sms che li esorta a lamentarsi.
Recidiva, l’azienda ci riprova con un Caronte che parla come un parcheggiatore romano (ma è vestito da gondoliere) e con un Dante che riesce, pur essendo vivo, a farsi trasportare vantando “conoscenze molto in alto”.
E ci riprova con un Lucifero che guarda il calcio in tv, ma le corna disturbano il segnale. Finché non appare Beatrice, che consegna a Dante un tablet sul quale guardare le partite. Il poeta, così, potrà dare del cornuto all’arbitro.
Credo di aver reso l’idea, e mi fermerei qui. L’agenzia che inventa tutto questo è, pensate un po’, argentina e si chiama Santo.
Se non altro, in Brasile mostrano un po’ più di rispetto e tirano in ballo Dante per invitare alla lettura. Qualcosa di simile fa la Generalitat de Catalunya, in occasione del Dia del Llibre i de la Rosa.
Sentite il bisogno di riprendere fiato? Eccovi i manifesti di Regione Toscana per il risparmio delle risorse idriche.
C’è anche un Dante dedito al bricolage: profilo dipinto dal Bronzino e, sottobraccio, una confezione di silicone (Arcansas riscrive il Paradiso del Fai Da Te).
E c’è (siamo nei primi mesi del 2020) un Dante che spiega come districarsi con le misure anti Covid.
Ma, forse, il pezzo di pubblicità in cui Dante appare nel modo più pertinente è un bel manifesto per le macchine da scrivere Olivetti, datato 1912 e disegnato da Teodoro Wolf Ferrari. A questo, nel 1921, ne segue un altro: Se i nostri vecchi potessero vedere la macchina da scrivere Olivetti griderebbero al miracolo!
E, diciamolo, altro che carta igienica.
Immagine: Illustrazione "Apoteosi di Dante Alighieri a Firenze: l'Amor che move il sole e l'altre stelle", grattage su graphia dell'artista Giovanni Guida, 2020. Opera realizzata in occasione del 700° anniversario della morte del grande poeta, scrittore e politico italiano (1321-2021)
Crediti immagine: Giovanni Guida, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, attraverso Wikimedia Commons