Accolto l’invito di dar conto dell’attività di Tullio De Mauro ministro, credevo che la prima cosa da fare fosse quella di documentarmi puntualmente. Ho cercato, ho trovato, ho cominciato a leggere, e mi sono perso. Si sa che la politica è generosa nel produrre carte e discorsi. Per questo, entrare nella sfera politica – o meglio – nella attività politica concreta e reale di un uomo come Tullio De Mauro ministro (e ministro della Pubblica Istruzione) mi è da subito sembrata una impresa difficile: mi sono visto sommerso da una montagna di carte, di documenti, di atti, e mi sono scoraggiato. Ho deciso allora che era meglio prendere un’altra strada. Partire da ricordi forti, da uomo di scuola e amico del linguista, e scrivere senza sensi di colpa. Subito dopo verificare a posteriori – documentandomi allora in modo mirato – bontà e lucidità di tali ricordi.

La Pubblica Istruzione

Tullio De Mauro è stato l’ultimo ministro della P.I. riconosciuto come studioso di chiara fama in Italia e all’estero, e come uomo colto ed esperto di scuola; erede di ministri che hanno segnato la storia della scuola italiana. Sicuramente era stato chiamato per meriti e competenze, e in quanto profondo conoscitore del mondo che avrebbe provato a ispirare, arricchire, e governare. Nelle tre audizioni fatte nella VII Commissione della Camera dal 24 maggio al 20 luglio per dar conto di propositi e progetti, nonostante le difficoltà del delicatissimo momento e le durezze di un’aspra battaglia politica in atto, tutti – più o meno convintamente – avevano riconosciuto le qualità dell’uomo di cultura, del professore, dell’insegnante. È anche da dire che è stato l’ultimo ministro della Pubblica Istruzione. Chi lo avrebbe sostituito un anno dopo sarebbe stato semplicemente ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca; si sarebbe chiamato così non per scelta propria, ma di altri venuti prima. Nella bonifica dell’aggettivo la nuova ministra si sarebbe trovata a proprio agio.

Rassicurare e rasserenare

La nomina di Tullio De Mauro (26 aprile 2000) era stata accolta da insegnanti e non insegnanti con sollievo. Negli anni subito precedenti la scuola era stata investita da un vero e proprio tsunami di novità e di cambiamenti che ne stavano mutando la pelle. Nella prima delle tre audizioni il nuovo ministro richiamava ai presenti i punti sui quali si proponeva di spendersi. _«_I punti su cui vorrei brevemente soffermarmi sono i seguenti: autonomia scolastica; realizzazione del riordino dei cicli dell'istruzione; attuazione della legge sulla parità; provvedimenti di lotta alla dispersione scolastica ed in genere politiche giovanili; educazione degli adulti, istruzione e formazione tecnico-superiore, obbligo formativo a 18 anni; interventi diretti al personale; organici; contrattazione». Il tutto era la pesante eredità che aveva ricevuto da Luigi Berlinguer. Tullio De Mauro era però uomo saggio e pacato: in quel momento aveva rassicurato e dato un po’ di serenità. E la scuola sapeva di potersi fidare. In quanto ministro non aveva niente da inventarsi: nel poco tempo che restava prima della fine della legislatura doveva far arrivare in porto un progetto che ad alcuni era sembrato ambizioso, forse troppo ambizioso. La scuola italiana – è noto – si muove con fatica e con timore. Ma è grata a chi la ascolta e la rassicura.

L'imperativo etico: rispettare i patti

Su tutto, dopo la nomina, incombeva – tra le altre – la Legge 30/2000 sul riordino dei cicli con le sue scadenze. In quanto uomo delle Istituzioni Tullio De Mauro sentiva l’obbligo morale e politico di rispettare gli impegni che il Parlamento si era dato, e la relativa tempistica. Imperativo etico, non solo morale. A settembre 2000 i primi testi dovevano vedere la luce; ma la legislatura aveva già il fiato corto; e i tempi stringevano. L’attivismo del ministro aveva una sola ragione: bisognava far presto non tanto per vincere una battaglia politica quanto invece per ricordare a tutti che pacta sunt servanda, specie se i patti erano stati presi da un Parlamento sovrano. La sua era fede istituzionale sostenuta da orgoglio civico e da coerenza culturale. Credo che mai come in quella occasione abbia sentito la tirannia e l’inesorabilità del tempo. Non aveva difficoltà a condividere con amici e collaboratori la sua angoscia.

Progetto educativo e non logica dell’accumulo

Nell’intervista data in occasione della morte dell’amico e collega di governo, il Presidente Amato ha ricordato che Tullio De Mauro aveva manifestato in forma riservata e discreta più di una perplessità su alcuni punti dell’ampio disegno riformatore che da qualche anno era stato messo in cantiere. Sul 3+2, ad esempio, esteso a tutte le facoltà universitarie. Su altri punti invece era chiaro che il disegno aveva la sua convinta adesione; anzi, per alcune mete del progetto che riguardava la scuola era stato in precedenza defilato ma convinto sostenitore. Un solo esempio. C’è un Istituto – quello delle scuole verticali – sul quale il ministro De Mauro si è speso e al quale ha fermamente creduto: peccato che poi, in mano ad altri ‘esecutivi’, l’idea abbia subìto le deformazioni e gli stravolgimenti che tanti nella scuola hanno vissuto. Gli Istituti Comprensivi erano già nati in forme sperimentali alcuni anni prima: erano nati sia per la durezza della realtà (cali demografici, spopolamento della montagna, necessità di razionalizzare la rete scolastica), sia in quanto strumenti tra i più idonei a rendere operante l’autonomia delle scuole. E se negli anni successivi sono stati uno dei più efficaci mezzi per il dimagrimento e l’impoverimento della scuola, nella mente e nel cuore di De Mauro essi dovevano essere invece, e soprattutto, l’occasione per assicurare continuità e aggredire il fenomeno delle ‘morti’ per passaggio scolastico. Dietro la loro istituzione c’era un chiaro e coerente progetto educativo, e non la logica dell’accumulo. ‘Continuità’, specie nella scuola di base di sette anni prefigurata nel progetto di riforma dei cicli, è una parola tematica nel Documento di sintesi della Commissione di studio per il programma di riordino dei cicli di istruzione che doveva aprire la strada «verso i nuovi curricoli». Il documento porta la data del 7 febbraio 2001. Non è il solo, ed era stato preceduto da altri testi altrettanto impegnativi, tutti da rileggere. È l’eredità più colpevolmente dimenticata del Ministro.

Sperimentazione e semplificazione del linguaggio

Di Tullio De Mauro ministro è necessario ricordare ancora almeno tre cose di metodo. La prima, che subito balza agli occhi di chi rilegge i documenti preparatori, è l’apertura ai consulenti della scuola viva, agli uomini e alle donne della trincea. Era un segnale per dire che la scuola prima di tutto è degli insegnanti, delle Associazioni professionali, di chi si occupa di educazione: il testo al quale rimandiamo dà al meglio il senso di uno stile. E a chi gli aveva fatto osservare che i tanti esperti scelti per le varie e numerose Commissioni sarebbero costati al contribuente aveva risposto che nella vita alcune cose si possono fare anche senza pesare su tutti. La seconda è che per dare gambe al progetto era necessario recuperare alle parole valore e peso, a cominciare da sperimentazione, altra parola tematica nei documenti ufficiali del Ministro. E infine, ma si indovina leggendo il prima e il dopo del De Mauro pubblico e istituzionale, la semplificazione del linguaggio. Nei testi preparatori e di indirizzo che portano la sua responsabilità, pochi gli acronimi, poche le sigle e gli anglismi del prima, solo gli indispensabili; niente del rarefatto e del metafisico del dopo. Tra le tante cure che abbiamo, quella delle parole stava particolarmente a cuore al linguista e all’uomo di scuola.

Educatori e maestri di strada

E infine. Chi fossero le pietre miliari cui il Ministro aveva attaccato il proprio pensiero non è necessario ricordarlo. È sufficiente dire che i nomi che De Mauro fa, presentandosi ai rappresentanti del popolo italiano, non sono tanto quelli dei classici pedagogisti della storia della pedagogia, ma quelli di attori di scuola e di animatori in educazione: Don Milani, il maestro di Vho di Piadena, gli uomini e le donne dell’MCE. Maestri. Ma insieme ricorda ai rappresentanti del popolo che una buona scuola è fatta in primo luogo dagli insegnanti, e che la loro dignità e la stima sociale dovuta passano anche per la qualità della loro vita quotidiana. Aveva ben presente che la seconda tesi per l’educazione linguistica democratica – l’aveva pensata lui – chiude con una parafrasi di Bertolt Brecht: Prima la bistecca e la frutta, e dopo Saussure e le tecnologie educative. Tullio De Mauro è il ministro che si è preoccupato e occupato degli stipendi degli insegnanti. Concretamente.

Chiude la sua esperienza nel giugno 2001. Chi gli succede mette fine alla coraggiosa impresa dopo poche settimane (il 5 luglio), con una informativa (?) con la quale dispone, con fastidio non detto, una serie di secchi ritiri: in primis, dei D.I. del 7 maggio 2001 e del 4 giugno recanti norme relative ai curricoli.

Politici e giornalisti hanno ricordato Tullio De Mauro come grande studioso e ministro. L’etichetta ministro che, dopo la sua morte, in automatico gli è stata attaccata sopra, è sembrata educata e di giusta e civile circostanza. Ma pochi hanno detto perché il ministro fosse da ricordare. Provo a dire qualche perché. È stato un ministro attento, rispettoso, competente. Non sarebbe bello pensare che proprio per questo la politica e l’informazione lo abbiano lasciato in ombra. È stato coraggioso e generoso: si è messo al servizio del Paese e della scuola quando nessuno se la sarebbe sentita. Ha tenuto fede alla parola data a chi prima di lui aveva pensato di poter rinnovare la scuola; e ha ricordato ai politici che gli impegni presi in nome del popolo italiano sono una cosa seria. Con discrezione ha dato alla storia della politica italiana una lezione di garbo, di intelligenza, di umanità. Ha sicuramente perso una sfida con la politica, ma ha vinto una battaglia di cultura: il suo sforzo è stato fermato sulla linea d’arrivo. E quindi ha fatto capire che si può fare il ministro in tanti modi. Anche così. Si dirà che in politica è poco: sicuramente etica e cultura non sono state negli ultimi decenni priorità per chi si occupa del bene comune. Tuttavia gli studenti e gli insegnanti della scuola italiana ricordano Tullio De Mauro per le cose che ha scritto, per essere sempre stato al servizio della scuola, anche come ministro, e per aver insegnato a coltivare, arricchire e ben usare le parole. Sono un bene prezioso. Sono il bene attraverso cui ci si ricorda, si agisce, e ci si fa rispettare, anche dalla politica. Se questo è poco, ciò significa che occorre reinventare i metri di misura.

Immagine: Roma, Ministero della Pubblica Istruxione a viale Trastevere

Crediti immagine: Lalupa [CC BY-SA 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)]