di Alberto A. Sobrero*

La Storia linguistica dell’Italia unita (1963)1 è sicuramente l’opera più nota e più frequentata di Tullio De Mauro. Ha un titolo molto significativo: da solo, segnala una rivoluzione. Non è una storia della lingua, cioè la narrazione della lingua italiana in chiave storica, come quella che aveva magnificamente condotto a termine Bruno Migliorini tre anni prima, né un profilo storico-linguistico dell’italiano, alla Devoto. È la prima storia d’Italia in prospettiva linguistica.

Sembra un gioco di parole, invece segna un cambiamento di paradigma. Fino ad allora la storia della lingua italiana studiava i cambiamenti avvenuti nei testi in poesia e in prosa, disposti in ordine cronologico: il corpus era costituito dalla produzione letteraria, con eventuale allargamento agli scritti di uso pratico e comunque non letterario (Migliorini), e la scansione storica delle varie fasi era realizzata collegando i cambiamenti – quando era possibile – con i grandi avvenimenti della storia “ufficiale” (anche in questo caso, con allargamento a vicende culturali o religiose o civili particolarmente significative, come ad esempio la diffusione delle confraternite, utile a spiegare la geografia delle laudi trecentesche). Una storia che, di fatto, escludeva gli analfabeti e gli scarsamente acculturati, cioè – grosso modo – il 90% della popolazione.

Escluso il 90% della popolazione

In De Mauro invece l’uso della lingua nei prodotti letterari non è che una parte dell’evoluzione complessiva delle competenze e degli usi linguistici di tutta la popolazione, inestricabilmente connessa con la storia sociale e civile della nazione. Questo cambiamento di prospettiva conduce all’uso di strumenti nuovi, ad angoli di visuale inediti, a una concezione storica radicalmente innovativa. Entrano in gioco le forze che hanno guidato le grandi trasformazioni della società italiana nel primo secolo dell’unità, in un quadro macroeconomico debolissimo che, accanto alla seconda rivoluzione industriale, vede la persistenza – e per molti versi l’aggravamento – di forti diseguaglianze economiche e culturali, e l’impatto duro di fenomeni di massa come le grandi e le piccole migrazioni interne e internazionali, l’urbanesimo, la povertà diffusa.

Una lingua dinamica

De Mauro, nella sua Storia linguistica, segue passo passo le trasformazioni che questi fenomeni generano e accompagnano nella cultura del quarto stato: il graduale ma importante decrescere dell’analfabetismo, la lenta conquista di una scolarizzazione difficile, geograficamente squilibrata ma progressiva, e segue da vicino i fattori che favoriscono un effettivo avvicinamento alla lingua unitaria: la scuola, soprattutto, ma anche altri, volontari – come la propensione delle donne a preferire l’italiano per l’educazione dei figli – e involontari, come la burocrazia e il servizio militare: non solo la convivenza forzata di soldati delle varie regioni linguistiche d’Italia ma anche fattori apparentemente marginali come le scuole reggimentali; persino la guerra. Segue da vicino la progressiva affermazione dei grandi mezzi di comunicazione di massa: la stampa, la radio, la TV, il cinema e poi il web. E lo fa inondando il lettore di cifre, di dati provenienti da tutte le fonti attendibili: dati ISTAT e DOXA, relazioni e documenti ministeriali, dati ufficiali (ad esempio: abbonati RAI, indici di ascolto e gradimento delle trasmissioni), atlanti linguistici e grammatiche dialettali, inchieste.

È la storia di una società che subisce – e opera – grandi trasformazioni, ognuna delle quali interagisce con le trasformazioni della lingua: grazie a questo complesso processo storico quella che era una lingua ingessata, buona per scrivere atti amministrativi e trattati scientifici e opere letterarie, in una parola una lingua elitaria, passa – attraverso molti stadi intermedi e in modo molto diversificato nelle diverse regioni, nei diversi strati sociali – allo stato di lingua viva, parlata come madrelingua, dinamica e articolata in varietà in modo da poter rispondere a tutte le nuove esigenze della nuova vita sociale.

La spinta unificatrice dal basso

Il dato più rilevante è questo: la convergenza sull’italiano avviene in massima parte non per discesa dall’alto, ma per graduale spinta unificatrice che viene dal basso. Appare chiaro che l’italiano unitario è in parte frutto di una illuminata politica di unificazione “dall’alto” ma è anche in gran parte una conquista delle classi inferiori, in quanto percepito come funzionale a un possibile riscatto sociale e culturale. Questo spiega la grande importanza, nella Storia linguistica demauriana, di categorie prima sottovalutate o addirittura inedite, come quelle di italiano regionale e di italiano popolare: sono i passi intermedi attraverso i quali il popolo dei dialettofoni e degli analfabeti si impadronisce gradualmente, appunto “dal basso”, della lingua nazionale. E spiega la grande attenzione per quello che è stata, e in parte è ancora, un componente fondamentale del repertorio linguistico italiano: il dialetto. De Mauro traccia una documentatissima storia dei cambiamenti di status dei dialetti – prima signori della comunicazione, poi quasi spariti dal radar, infine riscoperti nella loro ricchezza espressiva e adattati a nuove funzioni –, una storia indissolubilmente legata a quella del cambiamento di status dei dialettofoni.

Superato Croce

Con queste innovazioni di metodo e di paradigma De Mauro segna una doppia svolta: nei confronti del passato opera una netta cesura, e nei confronti del futuro arricchisce e per molti versi reindirizza la ricerca. La Storia linguistica dell’Italia unita segna il definitivo superamento della concezione crociana della lingua, quella concezione per la quale la linguistica è una “finzione concettuale”, che non inerisce alla realtà e alla vita e non può dunque giustificare teoricamente la funzione sociale della lingua.

Il crocianesimo era sopravvissuto a Croce, anche se dagli anni Cinquanta aveva allentato la sua pressione sulla cultura italiana. Con Tullio De Mauro si volta pagina, definitivamente: va in soffitta il panestetismo linguistico, la lingua come fenomeno estetico, e si ribalta il rapporto fra scienze morali e scienze esatte e sperimentali: al sapere basato su metafisica e morale si sostituisce il sapere basato sulla conoscenza, sul metodo, sulla ricerca scientifica. Non è solo una frattura interna al Novecento: è il compimento storico della svolta iniziata nel Seicento con la valorizzazione del conoscere scientifico e tecnologico.

Verso le scienze esatte

Dalla Storia linguistica dell’Italia unita in poi la linguistica italiana – grazie anche all’apertura a metodi e strumenti non italiani, molti dei quali furono fatti conoscere proprio da Tullio De Mauro – si arricchisce di approcci più orientati verso le scienze esatte (prima rigorosamente tenute lontane dalle Scienze Morali): l’intreccio fra storia linguistica e storia sociale dà luogo anche in Italia a una scienza autonoma, la sociolinguistica; la statistica e la linguistica computazionale, grazie agli sviluppi dell’informatica, danno strumenti evoluti e raffinati all’analisi linguistica e storico-linguistica.

Ma l’unicità della Storia linguistica dell’Italia unita, il suo stigma, è dato dalla fusione delle diverse prospettive in una visione non meramente meccanicistica e progressiva ma dialettica, problematica, unitaria della storia linguistica e sociale. È l’impronta di Tullio De Mauro.

1 La prima edizione è del 1963 (Laterza, Roma-Bari). Nel 1970 ne uscì una riedizione non solo aggiornata ma anche riccamente ampliata, e da allora è stata ristampata e riedita più volte: in media, ogni due anni. Ne è la prosecuzione e l’ideale completamento la Storia linguistica dell’Italia repubblicana. Dal 1946 ai nostri giorni, Laterza, Roma-Bari 2014.

*Alberto A. Sobrero, nato ad Alessandria nel 1941, laureato alla Facoltà di Lettere dell'Università di Torino, ha insegnato presso l’Università di Lecce come professore incaricato dal 1972 al 1975 (Storia della lingua italiana) e come professore ordinario dal 1975 al 2011 (prima Dialettologia italiana, poi Linguistica e Lingua italiana). Professore emerito dal 2011. È stato Rettore dell’Università di Lecce negli anni 1980-83, Direttore di Dipartimento, membro del Nucleo di valutazione dell’Università. È stato Presidente della Società di Linguistica Italiana. Dal 2014 è Segretario nazionale del Giscel (Gruppo di intervento e studio nel campo dell’educazione linguistica).

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