Nel 2019, un report pubblicato dall’associazione Parole O_Stili1 evidenzia un ampio legame tra il livello d'istruzione delle persone e la percezione che queste hanno della gravità dei discorsi d’odio online. Tra gli intervistati, infatti, sono le persone laureate le più allarmate, mentre chi non supera la licenza media percepisce minore violenza nelle comunicazioni. Anche l'età incide sulla percezione – prosegue il report: “sono le generazioni più anziane a mostrare maggiori segni di preoccupazione e sfiducia riguardo i toni aggressivi frequenti nelle conversazioni. I ‘millennials’ che comunicano quasi esclusivamente via social percepiscono poco il problema”.
Non è un caso se, negli ultimi anni, numerosi interventi che mirano a contrastare la diffusione del fenomeno dell’hate speech online abbiano interessato proprio i più giovani. Oggi sono loro la cartina di tornasole di come stia cambiando il senso comune di certe espressioni e di come le parole acquistino pesi diversi in periodi e contesti differenti (Moscovici 1989). Entrando oggi in classe a parlare di odio online, infatti, la prima lezione l’apprende l’educatore, rendendosi conto di come l’asticella della tollerabilità di alcune espressioni offensive si sia notevolmente innalzata, consentendo a quei linguaggi che dovrebbero suscitare indignazione di trasformarsi in momenti di goliardia collettiva. Online tale effetto è chiaramente amplificato e sdoganato da vari meme e pagine di black humor, di cui i minori sono ovviamente appassionati prosumer2.
Narrare, contro-narrare, analizzare e decostruire i linguaggi d’odio sono gli esercizi in cui maggiormente si cimentano in classe alunni, inseganti, educatori, formatori e ricercatori, partendo dalla convinzione che il contrasto all’odio online dipenda innanzitutto dalla formazione di futuri cittadini digitali responsabili.
L’hate speech è di fatto diventato un’esperienza comune ai minori che navigano in rete, lo ha evidenziato anche un recente studio EU Kids Online, condotto tra il 2017-2018 in diversi paesi europei e che ha visto coinvolta l’Italia con un campione rappresentativo di 1006 ragazzi e ragazze tra i 9 e i 17 anni3. Il 31% degli intervistati tra gli 11 e i 17 anni ha, infatti, affermato di aver visto messaggi d’odio online e tra questi è la fascia tra i 15 e i 17 anni ad essere più colpita, con il 41% dei ragazzi che afferma di aver visto commenti offensivi in rete nell’ultimo anno. L’esperienza dell’hate speech cresce con l’aumentare dell’età e della presenza dei giovani in rete. Il 4% del campione intervistato ha inoltre detto di aver cercato “intenzionalmente siti e contenuti razzisti, che incitano alla discriminazione e all’odio contro certi individui o gruppi etnici e religiosi” ed anche in questo caso la percentuale più alta è quella dei ragazzi tra i 15 e i 17 anni. In totale, il 58% dei minori che ha visto questi messaggi online afferma di non aver fatto nulla in risposta.
In realtà, i numeri appena presentati mostrano solo la punta dell’iceberg di una problematica, quella dell’hate speech online, composta da una serie di complessità che intersecano la vita online e offline degli individui, ovvero quella che il filosofo Luciano Floridi (2015) ha definito la vita onlife4. Complessità che diventano ancora più articolate quando si parla di minori: l’istruzione, il supporto genitoriale, l’accesso alle e il possesso delle risorse strumentali, lo sviluppo delle competenze digitali sono, infatti, solo alcuni dei temi, sicuramente tra i più rilevanti, che devono essere tenuti in considerazione quando si entra in classe a parlare di odio virtuale.
Dal digital divide alla digital inequality
Il periodo di didattica a distanza vissuto durante l’epidemia del Covid-19 è stato un’occasione per risollevare alcuni dei problemi che riguardano lo stato di digitalizzazione del nostro paese, partendo dall’annoso problema del digital divide, finendo col mettere l’accento su una questione complementare, ma non meno importante, ovvero la mancanza di competenze digitali, in particolare tra i più giovani. Nel report L’impatto del Coronavirus sulla povertà educativa, pubblicato da Save the Children5 a maggio del 2020, che ha raccolto dati su un campione di oltre 1.000 bambini e ragazzi tra gli 8 e i 17 anni e i loro genitori, si legge, infatti, che “il 12,3% dei 6-17enni, nel 2019, vive in abitazioni prive di dispositivi quali computer o tablet (850 mila in termini assoluti), percentuale che raggiunge quasi il 20% nel Mezzogiorno; e che solo il 30,2% dei ragazzi impegnati nella didattica a distanza presentano competenze digitali alte, mentre due terzi hanno competenze basse o di base, e il 3% nessuna”.
Ragazzi che non possiedono risorse digitali avranno spazi più limitati da dedicare all’apprendimento. Ma ugualmente, ragazzi che pur disponendo di tecnologie non hanno le capacità adeguate per utilizzarle, non saranno in grado di coglierne a pieno i benefici. Anzi, al contrario, nel caso di internet, numerosi studi (Hargittai & Hinnant, 2008; Van Deursen e Van Dijk, 2014) hanno dimostrato che, senza le adeguate competenze digitali, gli utenti saranno più esposti agli effetti negativi della rete. Tra questi sicuramente l’incapacità di districarsi nel flusso della comunicazione online e di sviluppare, quindi, le giuste competenze critiche necessarie alla selezione dei contenuti (Jones-Jang et al. 2019). In questo contesto è allarmante la ricerca condotta dall’associazione Moige, che intervistando 2.500 ragazzi italiani al di sotto dei 22 anni ha di fatto rilevato che un ragazzo su due ha creduto almeno una volta ad una fake news6 sui social media, e che solo il 18% ha la abitudine di verificare le fonti. Mentre, sempre nel report di EU Kids, si legge che “contrariamente al mito dei ‘nativi digitali’, i ragazzi non imparano automaticamente e naturalmente a usare le nuove tecnologie; al contrario, non hanno competenze cruciali come le competenze critiche”, ovvero solo il 42% degli intervistati ritiene facile verificare veridicità delle notizie online. A tal proposito, anche la sociolinguista Vera Gheno sottolinea come vada “sfatata l’idea che crescere con la tecnologia a disposizione renda i nativi digitali automaticamente alfabetizzati digitali. In altre parole, al vantaggio strumentale dei più giovani non sempre si associano adeguate competenze comunicative” 7.
La media education ed in particolare la corretta fruizione e produzione di contenuti online, soprattutto tra i più giovani, sono tra i temi centrali anche delle politiche della Comunità Europea, che, nel 2017, ha pubblicato il DigComp 2.1: The Digital Competence Framework for Citizens8, un documento che ha l’obiettivo di standardizzare le competenze digitali e di uniformare gli strumenti per acquisirle. Ma affinché queste soluzioni possano manifestare tutta la loro efficacia è necessario tenere conto dei diversi contesti in cui le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (da ora in avanti TIC) si calano (Helsper et al. 2015).
Pur mantenendo la premessa imprescindibile che senza la possibilità di accesso alle risorse strumentali non si possa continuare a parlare di competenze digitali; negli ultimi decenni, numerosi studi hanno cominciato ad occuparsi di diseguaglianze digitali, ovvero ad approfondire le relazioni esistenti tra condizioni sociali relative a genere, età, istruzione, etnia, e reddito, degli individui e le loro capacità di beneficiare dell’uso di internet. Le ricerche più recenti hanno scoperto che, anche se internet è largamente diffuso, in molti casi può favorire la crescita di disuguaglianze già esistenti offline (Van Deursen & Van Dijk, 2014). Ad esempio a minori risorse culturali offline, si associano, spesso, anche minori competenze digitali. Numerose ricerche hanno, infatti, evidenziato la correlazione positiva tra il rendimento scolastico dei ragazzi e le loro competenze digitali9, oppure hanno mostrato che i giovani provenienti da famiglie con genitori con un basso titolo di studio e con meno familiarità con le tecnologie dispongono in media di un minor bagaglio di competenze digitali rispetto ai loro coetanei con genitori laureati e che utilizzano abitualmente diversi dispositivi digitali in casa. Non solo, crescere in un contesto di povertà educativa non porterà solo differenze nel campo dello sviluppo di competenze digitali, ma anche nella possibilità di sfruttare i benefici che internet offre per lo sviluppo del proprio capitale umano (DiMaggio & Hargittai 2001); dove per capitale umano si intendono tutte quelle attività che hanno l’obiettivo di ampliare i benefici sociali, culturali, economici, che un utente può trarre dalla navigazione online.
In sostanza le diseguaglianze offline e online si alimentano come in un circolo vizioso: l’inadeguata istruzione offline porta a scarse competenze online che a loro volta limiteranno le ricadute positive che una corretta navigazione potrebbe avere nella sua vita offline delle persone, come permettere l’accesso a una migliore istruzione, o a una migliore posizione lavorativa (Witte & Mannon 2010).
Se gli effetti di una scarsa educazione risultano più evidenti e immediati offline, nelle società in cui quasi tutti possono essere online dietro lo schermo di uno smartphone a basso costo10, le stesse dinamiche si riproducono virtualmente, ampliando però in maniera incontrollata le loro conseguenze. Nell’offline un’istruzione carente conduce spesso a comunicazioni scorrette, o all’incapacità di comprendere criticamente e a pieno dei complessi contesti comunicativi; ugualmente, nell’online, una scarsa alfabetizzazione influisce sulle capacità di fruire e produrre contenuti appropriati in rete. Paradossalmente gli studi sulle diseguaglianze digitali ci dicono qualcosa in più, ovvero che le scarse competenze critiche online, che inevitabilmente favoriscono anche la diffusione di discorsi d’odio e fake news, non danneggiano solo la vittima della scorretta comunicazione, ma anche l’autore stesso. Questi, infatti, avendo capacità limitate per sfruttare le potenzialità offerte dal web, reitererà online comportamenti poco virtuosi che gli faranno accumulare ulteriore svantaggio rispetto a chi, partendo da un contesto educativo migliore, saprà arricchire il proprio capitale umano sfruttando a pieno i benefici di una navigazione consapevole.
L’educazione civica digitale a scuola: un’opportunità da non mancare
Se le visioni più ottimistiche sono abituate a intendere le TIC come delle risorse utili allo sviluppo personale, negli ultimi anni la realtà ci ha obbligato a fare i conti con i contesti sociali e culturali all’interno dei quali le tecnologie si inseriscono e gli effetti collaterali derivanti da una loro inadeguata gestione.
Una società digitale realmente inclusiva deve tener conto anche di un’alfabetizzazione digitale che passi attraverso incentivi per la qualità dell’istruzione e della formazione in generale, policy di supporto alle famiglie che risultano maggiormente in affanno nel seguire la piena crescita e lo sviluppo armonioso del nucleo familiare, e tutti quei provvedimenti necessari per consentire anche a chi risulta più in difficoltà di apprendere e utilizzare tutte le risorse delle TIC.
Servono quindi politiche parallele a quelle indirizzate alla mera erogazione di tecnologie, che vadano a colmare le lacune riguardo l’uso responsabile e critico di queste ultime da parte di studenti e familiari. La scuola è sicuramente uno dei luoghi in cui questo spazio può essere ricavato, e la recente introduzione dell’educazione civica, che presenta anche una parte specifica sull’educazione civica digitale, è sicuramente un’importante opportunità in questo senso.
“A studentesse e studenti saranno dati gli strumenti per utilizzare consapevolmente e responsabilmente i nuovi mezzi di comunicazione e gli strumenti digitali. In un’ottica di sviluppo del pensiero critico, sensibilizzazione rispetto ai possibili rischi connessi all’uso dei social media e alla navigazione in Rete, contrasto del linguaggio dell’odio”11. È quello che si legge nelle linee guida del Ministero dell’Istruzione, per quanto riguarda l’introduzione dell’educazione civica digitale a scuola. Le competenze tecniche, sulle quali si era quasi esclusivamente focalizzata l’attenzione della scuola negli scorsi decenni, sembrano finalmente aver dato il giusto spazio anche alle competenze critiche, e tra gli obiettivi di queste ultime il contrasto dei linguaggi d’odio è esplicitamente menzionato.
In una scuola che nell’ultimo anno ha fatto un obbligato scatto in avanti in termini di abilità tecniche e informatiche, spetta ora il compito di confermarsi punto di riferimento anche per l’erogazione di conoscenze utili agli studenti per orientarsi in questo mondo virtuale in costante mutamento. Un ruolo che la scuola e la famiglia hanno sempre svolto nella dimensione offline e che ormai non possono più esimersi di ricoprire anche online.
Note
2 Per la definizione si veda: http://www.treccani.it/vocabolario/prosumer_%28Neologismi%29/
3 Mascheroni, G. e Ólafsson, K. (2018). Accesso, usi, rischi e opportunità di internet per i ragazzi italiani. I risultati di EU Kids Online 2017. EU Kids Online e OssCom.
4 Per approfondire la definizione di vita onlife cfr. Floridi (2015); oppure si veda Treccani: http://www.treccani.it/magazine/atlante/cultura/Floridi_Benvenuti_nell_era_dell_onlife.html
6 Si veda Treccani: https://www.treccani.it/enciclopedia/fake-news
8 DigComp 2.1: The Digital Competence Framework for Citizens
9 Gui M., Gerosa T., Vitullo A., Losi L. (2020), L’età dello smartphone (si veda nella Bibliografia)
10 A questo proposito, numerosi studi hanno dimostrato, infatti, che le scarse competenze digitali si associano spesso ad un uso esclusivo dello smartphone, che indurrebbe a una minore frequenza di usi attivi e capital-enhancing del web. La letteratura esistente ha evidenziato la specificità delle possibilità di azione offerte da ciascun dispositivo con cui si accede alla rete (Marler 2018) ed in particolare, lo smartphone differisce da altri dispositivi per la minore ampiezza e complessità delle operazioni che consente di portare a termine, con possibili ripercussioni negative sulle abilità degli utenti e i loro stili d’uso di internet (Correa et al. 2018)
Bibliografia
Correa, T., Pavez, I., Contreras, J. (2018). Digital inclusion through mobile phones?: A comparison between mobile-only and computer users in internet access, skills and use. Information, Communication & Society, 1-18.
DiMaggio, P., & Hargittai, E. (2001). From the ‘digital divide’to ‘digital inequality’: Studying Internet use as penetration increases. Princeton: Center for Arts and Cultural Policy Studies, Woodrow Wilson School, Princeton University, 4(1), 4-2.
Floridi, L. (2015), The onlife manifesto: Being human in a hyperconnected era, Springer Nature.
Gui M., Gerosa T., Vitullo A., Losi L. (2020), L’età dello smartphone. Un’analisi dei predittori sociali dell’età di accesso al primo smartphone personale e delle sue possibili conseguenze nel tempo, Report del Centro di ricerca Benessere Digitale, Università di Milano Bicocca, URL www.benesseredigitale.ue/pubblicazioni
Hargittai, E., & Hinnant, A. (2008). Digital inequality: Differences in young adults' use of the Internet. Communication research, 35(5), 602-621.
Helsper, E. J., Van Deursen, A. J., & Eynon, R. (2015). Tangible outcomes of Internet use: from digital skills to tangible outcomes project report.
Jones-Jang, S. M., Mortensen, T., & Liu, J. (2019), “Does media literacy help identification of fake news? Information literacy helps, but other literacies don’t”, in American Behavioral Scientist, 0002764219869406.
Marler, W. (2018), “Mobile phones and inequality: Findings, trends, and future directions”, in New Media & Society, 20(9), 3498-3520.
Moscovici S. (1989), Le rappresentazioni sociali, Il Mulino: Bologna.
Van Deursen, A., & Van Dijk, J. (2014), Digital skills: Unlocking the information society, New York, NY: Palgrave Macmillan.
Witte, J. C., & Mannon, S. E. (2010), The Internet and social inequalities, New York, NY: Routledge.
Immagine: Centro de Educación Inicial San Pablo II. Riobamba
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