Il sistema degli articoli in italiano è certamente assai complesso (con sensibili variazioni regionali), sia sul piano sintattico (quando dobbiamo premettere l’articolo a un nome e quando no?) sia soprattutto dal punto di vista morfologico, data l’esistenza di due forme per il maschile, tanto nell’articolo determinativo singolare (il e lo, questo poi obbligatoriamente eliso in l’ davanti a vocale e semiconsonante posteriore: l’albero, l’uomo) e plurale (i e gli, che di fatto non si elide più, neppure prima di nomi inizianti per i: gl’individui, gl’innamorati sono forme ormai desuete), quanto nell’indeterminativo singolare (un e uno). L’indeterminativo maschile plurale non è previsto nel paradigma, ma di fatto si usa come tale il “partitivo” dei e degli (che ripropone la stessa alternanza tra i e gli).

Facciamo anzitutto un po’ di storia. Gli articoli non esistevano in latino (la lingua madre dell’italiano) e la loro introduzione fu frutto di un lungo processo, in cui giocarono un ruolo sia il greco (lingua che gli articoli li aveva) sia i profondi mutamenti morfologici che il latino subì nel parlato della tarda età imperiale e che furono ereditati dalle lingue e dai dialetti romanzi. Nella maggior parte delle lingue neolatine (tra cui citiamo, oltre all’italiano, il portoghese, lo spagnolo, il catalano, il francese, l’occitano e il romeno, che pone l’articolo dopo il nome, come avviene anche in altre lingue non neolatine della penisola balcanica) l’articolo determinativo si formò sulla base delle forme maschili e femminili del pronome dimostrativo illum/illam al singolare e, probabilmente, illi/illae al plurale (fa eccezione il sardo, che parte da ipsum, ipsa, ipsos, ipsas); quello indeterminativo singolare dal numerale cardinale unum/unam. Da illum, illam, illi e illae, in seguito alla caduta della sillaba iniziale (tecnicamente detta aferesi), derivano, nel fiorentino che è alla base del toscano e in varie altre aree dialettali, le forme lo, la, li e le.

Le due forme del femminile sono rimaste le stesse nel corso dei secoli e l’unico mutamento sensibile è la riduzione dell’elisione della a del singolare davanti a nome o aggettivo iniziante per vocale diversa da a (elisione divenuta ancora più rara con le preposizioni articolate, come dimostra l’esempio della denominazione ufficiale dell’Istituto della Enciclopedia Italiana e non dell’Enciclopedia Italiana), dovuta alla sostanziale accettazione dello iato (cioè la contiguità tra due vocali appartenenti a sillabe diverse) nell’italiano di oggi; quanto al plurale, l’elisione è ormai esclusa dallo standard (anche davanti ad e: l’erbe è ormai arcaico rispetto a le erbe), anche se resta viva nel parlato in Toscana e a Roma (l’amiche mie).

Molto più complessa è la situazione del maschile, in cui nel corso del tempo si sono avuti vari sviluppi fonetici (che per brevità non ricostruiamo), che hanno portato, nel fiorentino e quindi nell’italiano, ad affiancare al singolare lo la forma il (diffusa in altre aree come el) e a sostituire al plurale li con i e gli. La scelta tra le varie forme, basata sul fono iniziale della parola seguente, è stata a lungo oscillante e si è stabilizzata solo nel Novecento, probabilmente anche come esito di regole scolastiche che alla fine si sono imposte. Nello standard attuale il e i si usano davanti a parole inizianti per consonante, semplice o seguita da r, l o semiconsonante (i peri, il sole, il clima, i gruppi, i quadri, il suocero, il piano); lo e gli davanti a vocale o semiconsonante velare (e allora lo si elide obbligatoriamente: l’aceto, gli eroi, l’uomo e gli uomini), oppure davanti a semiconsonante palatale (lo iodio, lo yoghurt, gli ioni), s + consonante (la cosiddetta “esse impura”: lo straccio, gli sviluppi), nessi biconsonantici che non comprendano consonante diversa da s + r e l, presenti per lo più in latinismi, grecismi e parole d’origine straniera (gli psicologi, lo tsunami). L’uso di lo e gli si ha anche prima delle parole che iniziano con la nasale palatale e la fricativa palatale, foni resi ortograficamente in italiano con gn e sc(i) (gli gnocchi, lo scialle; va detto peraltro che nel parlato non è raro sentir pronunciare li gnocchi o addirittura i gnocchi) e anche alle parole che iniziano con z, che rende l’affricata alveolare sia sorda sia sonora (lo zero, gli zuccheri). Resta incerta la scelta davanti a prestiti inizianti con h (dove si tende però a usare lo apostrofato al singolare e gli al plurale: l’hotel, gli handicap), con w (specie quando corrisponde alla semiconsonante: il whisky, lo whisky o l’whisky; al plurale prevale i: i workshop), con sw (dove prevale lo: lo swatch), con j, che del resto può rappresentare foni diversi, e in pneumatico/pneumatici (dove nell’uso comune il e i sono largamente prevalenti). L’unica eccezione al parallelismo tra singolare e plurale è costituita dalla coppia il dio/gli dei.

La scelta tra le due forme del singolare, anzi la stessa presenza di due forme, si lega alla struttura sillabica del fiorentino-italiano, che non ammetteva più di due consonanti in posizione di testa (prima del nucleo costituito dalla vocale) e più di una consonante in posizione di coda: una sequenza come il straccio, con ben quattro consonanti di seguito non era dunque ammissibile, diversamente da lo straccio (che, oltre tutto, viene articolato in sillabe come los-trac-cio); la “regola” fu applicata anche ai nomi inizianti con i foni palatali resi con gn e sc(i) e, alla fine, anche a quelli inizianti con z, probabilmente sulla base del fatto che anche l’affricata alveolare, sia sorda sia sonora, è pronunciata intensa in posizione intervocalica (ma il zucchero, il zappatore sono forme ben presenti nella tradizione letteraria italiana). Nel caso del plurale, è stata piuttosto l’ostilità del fiorentino allo iato (cioè, come detto sopra, alla contiguità tra due vocali appartenenti a sillabe diverse) a favorire la distinzione tra i davanti a parole inizianti per consonante (i diavoli) e gli davanti a parole inizianti per vocale (gli angeli), dove la -i di gli nella pronuncia rapida si riduce a semiconsonante o si assorbe del tutto) e quindi a modellare l’uso di gli su quello di lo (lo strumento / gli strumenti, ecc.).

Per analogia con la regola adottata nel determinativo, nell’indeterminativo si sarebbe dovuto avere un in corrispondenza di il e uno in corrispondenza di lo (e, come questo, eliso davanti a vocale). Ma, probabilmente per distinguere meglio il maschile dal femminile, è nata (in tempi relativamente recenti) la regola di usare un (senza apostrofo, quindi) anche davanti a parole inizianti con vocale: quindi un albero, un individuo, un altro fatto, ecc., diversamente da un’anitra, un’idea, un’altra cosa. Tuttavia, l’errore ortografico di apostrofare l’articolo indeterminativo maschile è piuttosto diffuso, il che si può spiegare appunto come analogia con il determinativo (dove l’elisione è obbligatoria, diversamente dal femminile). Viceversa, si trova non di rado l’assenza dell’apostrofo dopo un premesso a un nome femminile, probabilmente come fenomeno reattivo (ma nel femminile si può trovare una anche davanti a vocale: una ipotesi accanto a un’ipotesi).

Bibliografia

Vittorio Coletti, Nuova grammatica dell’italiano adulto, Bologna, il Mulino, 2021.

Giovanna Marotta, Selezione dell’articolo e sillaba in italiano: un’interazione totale?, in «Studi di grammatica italiana», XV, 1993, pp. 255-296.

Luca Serianni, Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni forme costrutti, con la collaborazione di Alberto Castelvecchi, Torino, Utet, 1988.

Ecco l’elenco degli articoli della serie I perché dell’italiano. Domande e risposte su strutture e usi (curata da Roberta Grassi ed Enrico Serena ), finora comparsi in Lingua italiana, Treccani.it :

Giuliano Bernini, Introduzione

Immagine: Italia e Germania

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