«La lettura è sempre anche un’esperienza soggettiva e la lettura ad alta voce lo è doppiamente: per chi legge e per chi ascolta e, per di più, in una dimensione pubblica. Si può leggere per piacere o, all’opposto, per dovere, con gioia o frustrazione in un continuum che prevede molti gradi intermedi, anch’essi in numero incalcolabile. Allo stesso modo si può leggere ad alta voce e ascoltare le letture per tante ragioni e con diversi stati d’animo». Così Patrizia Sposetti in questo speciale curato da Simone Giusti. Le premesse sono queste: la grande (è troppo dire così?) magia della lettura ad alta voce sta nel flusso di parole che, levinasianamente, perdono il loro corpo morendo non appena sono state pronunciate ma danno corpo a una relazione tra chi dice e chi ascolta, fin dall’inizio della vita umana: «una piccola metamorfosi per me che racconto a mia figlia e per lei che mi guarda, interviene, reagisce», spiega la scrittrice Gaia Manzini, che conclude così il suo intervento sulla lettura ad alta voce: «Nella mia esperienza di figlia prima e di madre poi mi sembra che sposti la comunicazione tra due persone a un livello più profondo. È la narrazione di un legame». Un legame che si ricostituisce in altri tempi e modalità, con altri attori sulla scena, come accade da anni nell’esperienza radiofonica della trasmissione “Ad alta voce” di Radio3 (un testo letterario letto/interpretato a puntate da una attrice, da un attore), avvertita «dall’ascoltatore come “il dono della letteratura”, cioè quell’equilibrio tra conoscenza e intrattenimento che lo riporta a una condizione di infanzia, quando senza sforzo alcuno si ascoltavano storie narrate da adulti, preferibilmente distesi nel proprio lettino» (Lorenzo Pavolini). Tra la stanzetta e il palcoscenico radiofonico ci sono gli studi di neuroscienziati, psicologi, linguisti, pedagogisti, concordi nell’affermare che «l’esporre i bambini al linguaggio tramite la lettura di storie, facilita la loro acquisizione della comprensione del linguaggio con effetti a cascata non solo sulla futura abilità di lettura ma in generale sui risultati scolastici» (Irene D. M. Scierri), incidendo direttamente sul profilo di cittadinanza attiva dei giovani. Importanti diventano quei progetti di salda struttura teorica, nati dalla collaborazione tra mondo accademico e della ricerca e amministrazioni pubbliche, che, indagato scientificamente l’impatto della lettura ad alta voce tra scolari e studenti (ma anche tra gli anziani colpiti da malattie degenerative), si traducono in esperienze formative sul campo, come il progetto nazionale “Leggimi ancora”, con il coinvolgimento di circa 300.000 studenti e oltre 15.000 insegnanti, o la politica educativa della Regione Toscana denominata “Leggere: forte!”: ne scrive in particolare Federico Batini, che conclude il suo intervento con giusta perentorietà: «mi viene da domandarmi: ma quali sono i motivi validi per non leggere ad alta voce a scuola e in ogni altro contesto dove sia possibile farlo?».