Partiamo da un dato di fatto: la mezzaluna non è sempre la metà della Luna, o almeno non è solo questo, dal momento che nel linguaggio comune la parola indica spesso anche la cosiddetta falce di luna o luna falcata o ancora luna crescente, come dimostrano ad esempio i dizionari bilingui, che propongono proprio mezzaluna come traducente italiano dell’ingl. crescent e del fr. croissant. Tuttavia, se da un lato il simbolo della luna crescente rimanda a tempi assai remoti (l’emblema compare con valore religioso in alcune culture mesopotamiche e mediterranee), la parola mezzaluna fa la sua comparsa nel lessico italiano solo verso la fine del Medioevo. Il significato più antico della parola, d’altra parte, ha solo indirettamente a che fare con il nostro satellite naturale: paradossalmente, anzi, il valore di ‘parte della Luna visibile quando è illuminata a metà dal sole’, che rappresenta la prima accezione in tutti i repertori lessicografici, non è che l’ultima a essere attestata in ordine di tempo. E in effetti, pur potendo retrodatare sensibilmente la prima occorrenza della parola con questo significato rispetto a quanto propongono i dizionari – dal 1939 (E. Montale, GDLI, s. v., e DELI, s. v. mezzo2) almeno fino al 1872 («Nel medesimo tempo vide aprirglisi innanzi allo sguardo un ampio tratto di cielo sereno, limpido e tranquillissimo, e in mezzo ad esso una bellissima mezzaluna che gittava splendentissimi raggi», «Il Divin Salvatore. Cronaca cattolica romana», a. VIII, p. 169) –, resta impossibile pareggiare, sia dal punto di vista cronologico, sia sotto il profilo della frequenza, i significati metaforici della voce.

La mezzaluna tra metafora…

In generale, la forma della mezzaluna è così connaturata alla nostra cultura da aver segnato il nome di numerosi oggetti, figure o spazi, in diversi àmbiti specialistici: dall’idrografia alla marineria, dall’arredamento all’architettura, dall’ottica all’edilizia, dal lessico ferroviario  a quello militare. Certamente più noto, e non a caso sopravvissuto fino a noi, il riferimento alla mezzaluna come ‘utensile da cucina, costituito da una lama convessa terminante in due codoli inseriti in manici di legno e utilizzato per triturare’ (detto anche lunetta), la cui prima attestazione risale per il GDLI (s. v.) e il DELI (s. v. mezzo2) al Prontuario di Giacinto Carena (1846), ma che compare già diversi anni prima nel Vocabolario milanese-italiano (1814) di Francesco Cherubini, come equivalente fiorentino e romano del milan. mezzalunna. Ancor più diffuso era nei secoli passati un altro significato metaforico, di àmbito militare, legato in particolare al sistema di fortificazioni rinascimentale, in cui la mezzaluna era un ‘torrione semicircolare situato all’esterno del recinto fortificato’ (anche in questo caso, cfr. la voce lunetta): con questo significato la parola appare già stabile nel lessico italiano dei primi anni del Seicento, come provano gli autori citati dal GDLI, tra cui Giovanni Botero (ante 1617; la parola compare nella Parte quinta delle Relazioni universali, rimasta inedita fino al 1895, quando venne pubblicata da Carlo Gioda), Francesco Tensini (La fortificatione, guardia difesa et espugnatione delle fortezze, 1624), Guido Bentivoglio (Della guerra di Fiandra, 1632-1639, 3 voll.), a cui andrebbero aggiunti almeno Bonaiuto Lorini (Le fortificazioni, 1609, pp. 69, 70, 154, sempre nella variante meza luna) e Pompeo Giustiniani (Delle guerre di Fiandria, 1609, pp. 76, 79, 203, 238, 239, nella forma mezza luna).

… e metonimia

La prima attestazione assoluta della voce, tuttavia, esula dal significato metaforico e ha piuttosto un valore metonimico: sul finire del Medioevo, infatti, il vessillo della mezzaluna che contrassegnava le insegne turche passò a identificare non solo l’esercito ma in generale tutto quel popolo, e per contiguità religiosa il mondo islamico tout court. I repertori lessicografici, a partire dal GDLI e dal DELI, datano la comparsa della voce a prima del 1380, termine entro il quale sarebbe stato composto il poema cavalleresco La Spagna; la parola mezzaluna compare nel XXXI canto, quando il “saggio” Oliviero, compagno d’armi del paladino Orlando, presagisce l’arrivo dell’esercito nemico: «Io vegio tanti gonfaloni vermigli / e bianchi, nuovi, gialli, novi intagli, / e meze lune, bande stelle, gigli […]». Va detto che la tradizione testuale della Spagna, che si inserisce in quel complesso filone che ha per protagonista il paladino Orlando, appare tutt’altro che semplice: i 7 manoscritti del XV sec. e i tre incunaboli che tramandano l’opera sono infatti latori di testi alquanto diversi, riconducibili a due redazioni principali, una più breve in 34 canti (Spagna minore o “ferrarese”), che si legge nel ms. Cl. II N. 132 della Biblioteca civica ariostea di Ferrara, miniato nel 1453 da Giorgio d’Alemagna per Borso d’Este, una più lunga in 40 canti (Spagna maggiore), tràdita dal ms. Italien 567 della Biblioteca nazionale francese, esemplato negli anni Sessanta-Settanta del XV sec. (cfr. la pagina, da cui abbiamo tratto la precedente citazione [link], che differisce sensibilmente dal testo dell’edizione critica del 1940, riportato invece dal sito bibliotecaitaliana.it [link]). Secondo Michele Catalano, che riprese gli studi di Pio Rajna e curò l’edizione critica dell’opera (1940), la versione originaria sarebbe stata quella in 40 canti, composta intorno al 1380 dal fiorentino Sostegno da Zanobi, il cui nome compare nell’ultima stanza del poema nell’edizione veneziana del 1488. Di tutt’altro avviso, invece, Carlo Dionisotti, che si espresse così sulla questione in un celebre saggio del 1959 (Entrée d’Espagne, Spagna, Rotta di Roncisvalle, in Studi in onore di Angelo Monteverdi, vol. I, pp. 207-241): «La Spagna è un poema che nella forma a noi giunta, della quale sola si può discutere, nulla autorizza a riportare al Trecento, ed è poema anonimo della tradizione, del quale sono probabilmente riconoscibili due distinte redazioni, una più antica e più breve in 34 canti (ms. Ferrarese) e una seriore, più lunga e d’altra mano, in 40 canti (ms. Parigino Ital. 567), la quale seconda influì e prevalse sull’altra, e a sua volta subì nella seconda metà del Quattrocento, nell’età già delle stampe, una rimanipolazione estensiva cui legò il suo nome un oscuro cantastorie o correttore, di nome Sostegno di Zanobi da Firenza» (p. 229). Si tratta, com’è evidente, di una realtà intricata, della quale sarebbe impensabile poter discutere in questa sede. Alla luce di quanto detto, tuttavia, risulta discutibile la datazione proposta dai dizionari per la voce mezzaluna (ante 1380), dal momento che tutti i testimoni che tramandano l’opera sono stati esemplati nella seconda metà del Quattrocento. Ma c’è un altro motivo interessante che lega la Spagna alla mezzaluna, e riguarda proprio la storia di questo simbolo.

Storia (quasi impossibile) di un simbolo

Al di là delle note incongruenze storiche legate all’episodio di Roncisvalle così come è stato tramandato dalla tradizione letteraria, risulta evidente come la descrizione dell’esercito saraceno nella Spagna sia in realtà il frutto di una commistione tra l’epoca in cui si svolgono i fatti (778 d.C.) e la realtà storica dell’anonimo compositore (seconda metà del Trecento o prima metà del Quattrocento). Per secoli, infatti, le dinastie islamiche ebbero come unico contrassegno vessilli bianchi (Omayyadi), neri (Abbasidi) o verdi (Fatimidi). Per quasi tutto il Medioevo, al contrario, la mezzaluna restò uno dei simboli più importanti dell’Impero bizantino, e della città di Costantinopoli in particolare, eredità dell’antica città greca di Bisanzio. Secondo una leggenda, infatti, nel IV sec. a.C., durante l’assedio voluto da Filippo II di Macedonia, le truppe nemiche, approfittando del buio, cercarono di scalare le mura della città: ma un vento improvviso disperse le nuvole e la luce della luna crescente diede modo alle sentinelle di dare l’allarme. I Macedoni furono costretti a togliere l’assedio e Filippo dovette rinunciare per sempre ai propositi di conquista della città. La luna crescente, emblema della dea Artemide, divenne così uno dei simboli della città di Bisanzio: un legame talmente forte che non venne meno neanche all’arrivo del Cristianesimo, quando anzi, accompagnata da una stella, la mezzaluna divenne un elemento caratteristico delle rappresentazioni della Vergine (una mezzaluna d’argento in campo verde era anche l’emblema dagli Imperatori d’Oriente). Passerà un millennio circa prima che la mezzaluna diventi il simbolo militare e religioso dell’Impero ottomano: tuttavia, sebbene in passato si ritenesse che l’appropriazione di questo emblema da parte dei Turchi fosse successivo alla conquista di Costantinopoli, è certo che l’immagine della luna crescente compare già nell’Impero Selgiuchide verso la metà del secolo XIII, e forse ancor prima. Non è quindi possibile fissare con certezza il momento in cui la cultura turca cominciò ad appropriarsi del simbolo della mezzaluna, né si può stabilire un termine a quo per la comparsa della parola nel lessico italiano: di certo, però, l’immagine della mezzaluna come simbolo dell’Islam si diffuse in Occidente soprattutto dopo la caduta dell’Impero bizantino e dopo episodi sanguinosi come la “Presa di Otranto” del 1480, quando venne contrapposta allegoricamente alla Croce, emblema della religione cristiana e della cultura europea. Un’opposizione durissima destinata a perpetuarsi nei secoli, ancor oggi  testimoniata simbolicamente dalle tante bandiere “crociate” da una parte (Regno Unito, Norvegia, Danimarca, Svezia, Svizzera, Georgia, Grecia, ecc.) e “lunate” dall’altra (Turchia, Azerbaigian, Uzbekistan, Algeria, Libia, Libano, Pakistan, Tunisia, ecc.).

Immagine: Moschea in Iraq

Crediti immagine: Robert Couse-Baker [CC BY 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/2.0)]

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata