La presenza di Diego Armando Maradona a Napoli è pervasiva; probabilmente, perché in nessun altro luogo l’identificazione tra squadra di calcio e città raggiunge una pari intensità. Napoli e le sue periferie traboccano di riferimenti a Maradona, che rivive sia in elementi visibili – come murales, edicole votive e mosaici a lui dedicati – sia in narrazioni depositate nella memoria collettiva della città. Il nome e la figura di Maradona sono penetrati capillarmente nella vita della comunità, impastandosi nella storia e nel tessuto della città. È presente finanche nelle interazioni quotidiane, come termine di paragone (“Ma chi sei, Maradona?”), o nei nomi delle persone, se si pensa che, solamente durante i sette anni che trascorse a Napoli (1984-1991), ben 515 bambini furono chiamati Diego, 12 Diego Armando e uno Diego Armando Maradona. Un idolo collettivo, la cui incidenza positiva si è riverberata tanto sulla squadra quanto sulla città, di cui iniziano a essere messi in luce alcuni aspetti che, per quanto stereotipati – come l’allegria e la creatività – contribuiscono a diffondere un’immagine positiva di Napoli.

Nel continuo rincorrersi tra sacro e profano, D10s è, insieme a san Gennaro, il simbolo di Napoli. Simbolo viene dal latino symbŏlum, che deriva dal greco sýmbolon, della famiglia di symbállō che significa ‘metto insieme’, ‘faccio coincidere’ cose anche diverse. Maradona è un simbolo perché è stato un eroe del calcio, il cui virtuosismo ha coniugato i trionfi nello sport – personali e della squadra – con processi di identificazione collettiva che sottendono un forte senso di appartenenza, generato dal rituale della partita di calcio e costantemente rinfocolato dalla «circolazione secondaria» (Collins 2004, p. 98) del simbolo stesso, che diventa oggetto delle interazioni quotidiane, delle narrazioni, della memoria e dell’immaginario collettivo, caricandosi di valore coesivo.

L’identificazione con Maradona è resa possibile non solo dai successi sportivi, vissuti come propri dai tifosi, che ne fanno un emblema dell’intera comunità, ma anche dalla separazione tra vita privata e vita calcistica, che consente di isolare gli atteggiamenti riprovevoli dell’uomo e di selezionare gli aspetti, sia biografici che sportivi, che permettono un’identificazione appagante. Così, su Maradona vengono proiettate alcune qualità considerate tipiche della napoletanità, da lui stesso rivendicate. Non di rado, ad esempio, il Pibe de oro viene accostato all’immagine dello scugnizzo, cioè del ragazzo vivace, sfrontato, spesso costretto a vivere di stratagemmi. Più spesso, però, le affinità tra Maradona e la città di Napoli riguardano un complesso di caratteristiche – genialità, generosità, indisciplinatezza e umiltà – che sovente accompagnano le auto- ed etero- rappresentazioni dei napoletani e in cui lo stesso Maradona si riconosce.

Il sentimento di appartenenza che unisce Maradona, il Napoli e Napoli è documentato dai cori a lui dedicati, che possono essere letti come testimonianza di quell’alleanza quasi connaturata all’essere napoletano e ancora integra nella memoria collettiva della città.

L’inno a Maradona: Maradona è megl’ ‘e Pelè

Il 5 luglio 1984, Maradona viene accolto nell’allora stadio San Paolo – oggi ribattezzato “Diego Armando Maradona” – da più di 70.000 tifosi che intonano un coro destinato a diventare un vero e proprio inno della squadra. Si tratta di Maradona è megl’ ‘e Pelè, canzone, prima ancora che coro, composta e arrangiata da Emilio Campassi e Bruno Lanza, quando ancora non vi era certezza dell’arrivo di Maradona a(l) Napoli.

Fu un atto di fede? Sì, ma un ruolo importante fu giocato anche dalla voglia di riscatto sportivo di una città che non aveva mai primeggiato nel calcio, come si apprende dalle due strofe del coro riportate:

Maradona è meglio ’e Pelè                                   Maradona è migliore di Pelè

ci hanno fatto ’o mazz’ tant pe’ l’ave’!              ci siamo svenati per poterlo acquistare

Maradona, faccë sunna’                                   Maradona, facci sognare

‘nu scudetto puortancill’ ’a parte ’e cca’            porta uno scudetto qui

Maradona ‘o ttene e t' ‘o ddà                            Maradona ha talento in esubero

te scamazza, te mbriaca e va a signa’             ti schiaccia, ti confonde e va a segnare

Maradona, si’ ‘e Napulë già                              Maradona, sei già di Napoli

tu si’ ‘a chiave ‘e ll'acqua pe’ ce fa campa’       Tu sei la chiave dell’acqua che ci fa vivere.

Maradona, mo’ ca stai cca’                                 Maradona, ora che stai qua

levancillo ‘o scuorno ‘a faccia a sta città            togli il disonore dal viso di questa città

Maradona, nun puo' sbaglia’                              Maradona, non puoi sbagliare

tu pe’ nnujë si’ frat’, patë e si’ mammà               tu per noi sei fratello, padre e sei mamma

Maradona, piensacë tu                                      Maradona, pensaci tu

si mo’ nun succere, nun succere cchju’             se non succede ora, non succede più

l'Argentina toja sta cca’                                      l’Argentina tua sta qua

nun putimme cchju' aspetta’                               non possiamo più aspettare

finalmente ce putimmo vendica’                         finalmente ci possiamo vendicare

Nei primi due versi della prima strofa (“Maradona è meglio ‘e Pelè” / “c’hanno fatto ‘o mazz’ tant pe’ l’ave’!”) vi è il riferimento all’ingente cifra pagata per l’acquisto del calciatore. Il coro prosegue con una violazione delle norme scaramantiche, in quanto viene augurata la vittoria dello scudetto (“’nu scudetto puortancill’ 'a parte 'e cca’” – ‘porta uno scudetto qui’ [a Napoli]), che poi, in effetti, si realizzerà – ne saranno vinti due: uno nel 1986-1987, l’altro nel 1989-1990 – e, soprattutto, contiene una prima testimonianza dell’accoglienza riservata al campione e della costruzione di una comune appartenenza (“l’Argentina toja sta cca’”); di un’identità unificante che inizia a costituirsi traendo linfa vitale dal solo fatto che Maradona abbia scelto il Napoli e Napoli: “Maradona si’ e Napule già” (‘Maradona sei già di Napoli’) / “tu si ’a chiave 'e l'acqua pe’ ce fa campa’” (‘tu sei la chiave – di emissione e di arresto – dell’acqua, che ci permette di vivere’, espressione che sottolinea l’indispensabilità della persona a cui viene rivolta).
La portata epica di Maradona, costruita intorno ai successi sportivi del calciatore, è richiamata anche dal verso “tu pe ’nnuje si frat’, patë e si’ mammà”, in cui riecheggia il pathos del commovente addio tra Ettore e Andromaca (“Ettore, tu sei per me padre e nobile madre / e fratello”, Iliade, VI, 429-430).

La convinzione che nella propria squadra stesse per giungere il calciatore più forte di tutti i tempi diventa motivo di fierezza per i tifosi napoletani che, in base al continuum tifoso-squadra-città, vedono in Maradona, personificazione della gloria calcistica, una possibile redenzione dell’intera città (“finalmente ce putimmo vendica’”) derivante da un senso di rivalsa che irrobustisce l’autostima collettiva.

O mamma o mamma o mamma

Il coro è mutuato dalla canzone degli anni Quaranta O mama, mama incisa da Nilla Pizzi e dal Duo Fasano, a sua volta ripresa negli anni Ottanta da Ivan Cattaneo, nella canzone Neo Latina. Il cantautore, nel 2018, durante la partecipazione alla terza edizione del reality show Grande Fratello Vip, ha raccontato di aver incontrato casualmente, nel 1986, su un volo che da Napoli era diretto a Milano, Maradona, che gli avrebbe chiesto il permesso di utilizzare, cambiandone il testo, una strofa di Neo Latina come inno del Napoli, che stava per conquistare lo scudetto.

Il testo originale:

O mama mama mama

Sai perché mi batte il coraz__ó__n?

Me gusta un bel muchacho

Me gusta un bel muchacho

oh! mamà, enamorada son

Il testo dei tifosi:

O mamma mamma mamma

Sai perché mi batte il corazón?

Ho visto Maradona

Ho visto Maradona

eh/ué mammà, innamorato son

La strofa fatta propria dai tifosi napoletani si presenta in una traduzione italiana che sostituisce al verso “me gusta un bel muchacho” il famoso “ho visto Maradona”; l’interiezione oh nel verso finale è, invece, sostituita da eh e spesso alternata all’esclamazione più tipicamente napoletana .

È interessante notare la presenza di un fenomeno tipico della lingua parlata, ossia la commutazione di codice intrafrasale che, emblematicamente, riguarda una singola parola: corazón. Il passaggio allo spagnolo – o il mantenimento di esso, se si considera la versione originale – rispetto alla parola coraz__ó__n ha un forte valore simbolico e segnala il coinvolgimento emotivo dei tifosi che, oltre a mettere in primo piano i propri sentimenti, accolgono il Pibe de oro nella propria comunità, non per questo dimenticandone le origini, attribuendogli una doppia cittadinanza dell’anima, quella argentino-napoletana, peraltro suggellata dal conferimento ufficiale della cittadinanza onoraria nel 2017.

Olè olè olè, Diego, Diego

Diego, solo Diego. Un coro breve, all’apparenza privo di creatività, ma che in realtà racconta cosa abbia davvero significato Maradona per Napoli. L’eroe del calcio, che racchiude in sé la verticalità che dal divino degrada verso l’umano. Roland Barthes (1994, p. 108), in un saggio dedicato al ciclismo, ha scritto che «l’ingresso nell’ordine epico si attua mediante la diminuzione del nome»; l’eroismo epico di Maradona si declina, sul campo, in prestazioni sportive impossibili da emulare e, fuori dal campo, travalicando il mondo del calcio, nell’elevazione a simbolo in cui riconoscersi.

Il passaggio da Diego Armando Maradona a Diego sancisce, poi, il primato del calciatore nel suo mondo di riferimento, in cui non ha rivali. Diego diventa il calciatore per antonomasia, un unicum che non ha bisogno di ulteriori spiegazioni.

Infine, nel nome così diminuito si scorge tutta la profondità di quel legame instaurato con la città, del forte sentimento di appartenenza e del coinvolgimento affettivo che inducono i tifosi ad avvicinarsi con un certo di grado di familiarità a quell’eroe umano, troppo umano, le cui fragilità consentono all’uomo comune di identificarsi in lui.

Un’operazione simile investe anche il nome dell’indimenticato Paolo Rossi, passato alla storia come Pablito. In questo caso, a decidere la riduzione e l’alterazione del nome sono state le prodezze calcistiche dell’attaccante nel Mondiale ’78, ospitato dall’Argentina, patria di Maradona. Il soprannome ben si adattava anche al Mundial ’82, ospitato dalla Spagna, in cui egli è stato protagonista assoluto. Eppure, nonostante il fatto che per tutti fosse Pablito, i cori che hanno accompagnato la cerimonia funebre del campione, tenutasi il 12 dicembre 2020, hanno dispiegato l’ammirazione non tanto per il calciatore quanto per l’uomo, mediante la restituzione del nome di battesimo (“Paolo, Paolo, Paolo”) e del nome citato per esteso (“Paolo Rossi, sempre con noi”).

I cori, dunque, oltre ad essere uno dei dispositivi di aggregazione che compongono il rituale collettivo della partita di calcio, si configurano come un importante strumento di trasmissione orale delle tappe che hanno portato alla consacrazione di Maradona come simbolo della città.

Riferimenti bibliografici

Barthes, Roland, Il Tour de France come epopea, in Miti d’oggi, Torino, Einaudi, 1994, pp. 108-117;

Berruto, Gaetano, Italiano regionale, commutazione di codice e enunciati mistilingui, in M. A. Cortelazzo, A. Michele, e Mioni, Alberto M. (a cura di), L’italiano regionale. Atti del XVIII congresso internazionale della Società di linguistica italiana (Padova-Vicenza, 14-16 settembre 1984), Roma, Bulzoni, 1990, pp. 105-130.

Bifulco, Luca, e Pirone, Francesco (a cura di), Napoli. La città, la squadra, gli eroi: dai primi idoli a Maradona, Napoli, Bradipolibri Editore, 2016.

Collins, Randall, Interaction Ritual Chains, Princeton N.J., Princeton University Press, 2004.

Immagine: Diego Maradona and his teammates of SSC Napoli

Crediti immagine: SconosciutoUnknown author, Public domain, attraverso Wikimedia Commons