di Claudio Cartoni*

In accordo con la definizione contenuta nel Lessico del XXI secolo della Treccani, «la medicina narrativa è una metodologia che stimola la narrazione, da parte del paziente, del proprio stato di malattia, nell’intento di dare senso e quindi sollievo alla sofferenza, di favorire la creazione di un rapporto di fiducia e comprensione tra malato e personale medico e di capire il quadro patologico individuale, ossia nello specifico contesto della persona sofferente». Da un punto di vista pratico, la medicina narrativa «è tutto quello che accade tra paziente che si racconta e professionista sanitario che ascolta, scrive, interpreta e aiuta il paziente nell’interpretazione», secondo Brian Horwitz e Trisha Greenhalg, che insieme a Rita Charon possono essere definiti i fondatori di questa disciplina. In entrambe le definizioni viene sottolineata la caratteristica relazionale della narrazione, intesa questa come un atto sociale attraverso il quale il racconto diventa uno strumento di costruzione di un percorso di cura condivisa dal paziente e il suo curante.

Disease****, Illness, Sickness: malattia

Ogni malattia è reale in quanto rappresentata da un fatto, e cioè la sua esistenza in senso biomedico come lesione organica oggettivabile attraverso strumenti diagnostici e esami clinici e come tale denominata disease in lingua anglosassone; ma la realtà di una malattia (illness) è anche definita dalla percezione che il paziente ha di essa nel suo divenire attraverso la soggettiva esperienza, rintracciabile attraverso il suo racconto o storytelling. Anche la dimensione sociale in cui l’individuo vive contribuisce a definire il significato della malattia di cui è affetto (sickness). Essere portatore di una forma morbosa può infatti indurre una forma di compassione, di attenzione o alternativamente, di repulsione, di stigma in base al contesto sociale di appartenenza. Basti pensare a quale ricaduta in termini di attenzione della comunità e di risposta sanitaria può assumere il fatto di essere ad esempio obesi_,_ ammalati di una patologia cronica o affetti da una contagiosa forma infettiva. Se dunque secondo quanto riportato da Boyd nel mondo anglosassone sono stati identificati tre lemmi per definire significati diversi della parola, nel caso della nostra lingua che prevede solo la parola malattia è possibile considerare “paziente” il soggetto affetto da disease e “persona” colei che vive l’esperienza di illness o di sickness. La medicina narrativa focalizza dunque l’attenzione sulla persona malata, intesa come soggetto portatore di bisogni psicologici, sociali, esistenziali e spirituali documentabili attraverso lo strumento della narrazione. Fine della medicina narrativa è la sua integrazione con l’approccio strettamente biomedico nell’intento di unificare la risposta in termini di cura e di assistenza.

Scritti, video, reti sociali virtuali

La narrazione può essere raccolta attraverso l’analisi riflessiva del testo verbale e non verbale che riporta il paziente o un suo familiare in sede di visita, può essere raccontata per iscritto o attraverso videoregistrazioni. La condivisione di propri vissuti esperienziali sulle reti sociali virtuali attraverso la nascita di comunità di pratica composte da persone affette da una determinata malattia rappresenta un’altra forma di fonte narrativa. Il semplice raccontare o storytelling, pur avendo in alcuni casi una funzione positiva per il paziente attraverso la personale focalizzazione di emozioni inibite o la rielaborazione cognitiva di alcuni fatti, non è però sufficiente a raggiungere l’obiettivo di cura della medicina narrativa. Come già indicato nelle sue definizioni, questo obiettivo si attua attraverso la relazione tra persona malata e professionista sanitario, finalizzata a costruire insieme, attraverso la narrazione e il suo ascolto, il significato dell’esperienza della malattia. Quest’ultima si configura infatti come una crisi, una discontinuità rispetto al normale fluire della vita della persona che, nella difficoltà di conferire un significato a tale evento, avverte l’incapacità di integrarlo nella propria trama autobiografica. La mancanza di senso, di memoria e di parole per descrivere il vissuto di una malattia comporta quindi l’accumulo di tensioni nel corpo della persona malata che si manifestano in sintomi fisici, stati d’ansia e che si possono tradurre in una perdita di fiducia nel curante e nei suoi rimedi attraverso la mancata aderenza alle terapie prescritte. Attraverso l’ascolto e il dialogo è dunque possibile ricomporre il disallineamento tra medico e paziente per quanto riguarda il significato dell’esperienza di una malattia.

“Conversazioni difficili” per medici formati

Una patologia acuta, di breve decorso, non richiede necessariamente uno sforzo narrativo. Il caso di una patologia cronica o inguaribile in cui le possibilità terapeutiche della medicina sono confinate nel solo contenimento dei sintomi o delle complicazioni intercorrenti richiede invece che il focus della cura debba essere orientato verso la qualità della vita. Quest’ultima è un costrutto multidimensionale i cui determinanti sono di natura fisica, psicologica, sociale e spirituale e la cui valutazione è abitualmente attuata in medicina con strumenti di natura quantitativa quali i questionari sulla qualità di vita. Non è raro per chi li assiste, trovarsi a colloquio con pazienti che non confermano il dato registrato su di un questionario che chiedeva di valutare ad esempio il loro grado di tristezza in una scala da 1 a 10. L’ascolto e il colloquio consentono invece di apprendere cosa è importante per il paziente nel tempo che resta. Come già sottolineato in questo portale, per affrontare queste “conversazioni difficili” è necessario essere formati. La medicina narrativa richiede competenze non solo nel campo delle abilità comunicative sul piano della gestione delle emozioni del paziente e del professionista sanitario attraverso l’uso di strumenti atti a promuovere uno scambio empatico, ma anche capacità sul piano cognitivo tese a comprendere e condividere valori e pezzi di identità. La fragilità legata alla malattia cronica o inguaribile evoca inevitabilmente il disagevole tema della morte che se non affrontato, rischia di disallineare gli obiettivi di cura del paziente e del suo curante. Susan Block, un medico esperto di medicina palliativa, ha individuato una serie di domande ai pazienti in fase avanzata di malattia che dovrebbero sempre essere comprese in una conversazione difficile: 1) Quale credono sia la loro prognosi? 2) Quali sono le loro preoccupazioni per il proprio futuro immediato? 3) Che genere di compromessi sono disposti ad accettare in caso di una terapia? 4) Come vogliono passare il tempo in caso di peggioramento della malattia? 5) Chi vogliono prenda le decisioni quando loro saranno in grado di farlo? L’analisi di questi temi, unita al racconto del proprio vissuto di malattia, offre la possibilità di considerare e rimodulare gli obbiettivi di cura in base ai valori e le aspettative del paziente, evitando altresì di intraprendere soluzioni di natura terapeutica inappropriate. Come affermato da Atul Gawande, attraverso queste conversazioni di fine vita il medico, invece di proporre subito azioni, può prendersi il tempo di ascoltare le ragioni dell’altro. Prima di scegliere insieme a lui.

Letture consigliate

·         Greenhalgh T., Hurwitz B., Why study narrative, in «British Medical Journal»: 1999; 318: 48–50

·         Boyd K.N, Disease, illness, sickness, health, healing and wholeness: exploring some elusive concepts, J Med Ethics: Medical Humanities 2000; 26:9-17

·         Charon R., Narrative medicine. Honoring the stories of illness, Oxford University Press, Oxford 2006

·         Gawande A., Essere mortali. Come scegliere la propria vita fino in fondo, Einaudi. Torino, 2016

·         Marini MG, Arreghini L., Medicina Narrativa per una sanità sostenibile, 2012, Fondazione ISTUD/Lupetti

·         Greenhalg T., _Cultural contexts of health: the use of narrative research. H_ealth evidence network synthesis report. World Health Organization, 2016

·         Cartoni C., Medico, prima di parlare (meglio), ascolta, Portale Treccani

*Claudio Cartoni è nato a Roma nel 1958. Medico specializzato in Ematologia e in Oncologia, è dirigente medico e coordinatore dell'Unità di Cure palliative e di supporto presso l'unità di Ematologia del Policlinico Umberto I – Sapienza-Università di Roma e docente nel master di Medicina palliativa presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università degli Studi di Milano, di Parma e del Campus Biomedico di Roma.

Immagine: Il dottore di Luke Fildes
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