le parole

sono di tutti e invano

si celano nei dizionari

perché c’è sempre il marrano

che dissotterra i tartufi

più puzzolenti e più rari;

le parole

dopo un’eterna attesa

rinunziano alla speranza

di essere pronunziate

una volta per tutte

e poi morire

con chi le ha possedute.

(Le parole)

Verosimilmente è possibile conoscere molte melodie dei Beatles senza mai aver comprato un loro disco. Non si tratta di pirateria musicale, vecchia o nuova, sia chiaro. Ma tra jingle e citazioni di varia natura la musica dei Fab four si è diffusa in modo tanto capillare da divenire patrimonio comune.

Lo stesso può dirsi – absit iniura verbis – di molte liriche di Montale, i cui versi travalicano le pagine delle raccolte per fissarsi nella memoria collettiva, non di rado radicandosi in noi con qualche variante spuria, segno di una completa appropriazione, come confessò Calvino a proposito di Forse un mattino andando («[…] la mia memoria aveva apportato una correzione alla poesia; il sesto verso per me comincia: “alberi case strade” oppure “uomini case strade” e non “alberi case colli” come solo ora rileggendo il testo dopo trentacinque anni vedo che dice», p. 38), benché, probabilmente, senza la sua capacità di presentire l’hide-behind che si cela dietro la poesia e dietro ognuno di noi.

Un ruolo fondamentale svolgono in questo senso le antologie scolastiche, ma tante sono le vie di propagazione della parola montaliana, dagli approfondimenti culturali dei quotidiani (cfr., ad esempio, Forse un mattino andando e Montale colora le note, «Corriere della Sera», 1° aprile 1987, p. 34) alle trasmissioni radiofoniche e televisive, che ancor oggi ripropongono, a distanza di quarant’anni dalla morte, la voce e l’immagine del poeta (vedi le Teche Rai, e in particolare Forse un mattino andando).

Meno nota, e certamente più sfuggente, è la possibile influenza esercitata dai repertori lessicografici, che fanno ricorso alle parole di Montale soprattutto a scopo esemplificativo: è dunque legittimo chiedersi se, e in che misura, i dizionari abbiano contribuito alla diffusione della sua opera. Lo faremo analizzando due repertori molto diversi: da una parte il Grande dizionario della lingua italiana (GDLI), diretto fino al 1971 da Salvatore Battaglia, poi da Giorgio Bàrberi Squarotti, edito dal 1961 al 2003, e incrementato dai due Supplementi del 2004 e del 2009; dall’altra lo Zingarelli (2021), da tempo ormai, senza dubbio, il più diffuso tra i dizionari dell’uso.

Non resta che addentrarci lungo questo sentiero poco battuto, consapevoli di ripercorrere non già le scelte del poeta, ma quelle dei lessicografi, che delle prime non sono che un’ombra diafana.

Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale…

Non è possibile paragonare – ça va sans dire – un dizionario storico con un repertorio sincronico, che non può possedere, per ovvie esigenze di sintesi, l’ampiezza del lemmario e la complessità delle voci del primo; lo stesso vale anche per le citazioni, assai scarne nei dizionari dell’uso, e per giunta non accompagnate da riferimenti bibliografici relativi alla fonte.

Nel nostro caso, oltre all’aggettivo montaliano («del poeta E. Montale (1896-1981): versi montaliani | relativo alle opere, all'arte di Montale: studi montaliani»), ed espunto un esempio (s. v. ospite) erroneamente a lui attribuito ma in realtà di Vincenzo Monti («E nell’ospite suolo ov'io ti lasso», In morte di Ugo Bassville, I 50), lo Zingarelli (2021) presenta nella fraseologia 180 citazioni di Montale: in molti casi si tratta di poesia (117), in altri di prosa (63: 27 dalla Farfalla di Dinard, 7 da Auto da fé, 6 da Fuori di casa), tra questi anche una frase del discorso tenuto dallo scrittore in occasione del conferimento del premio Nobel nel 1975 («La grande lirica può morire, rinascere, rimorire», s. v. rimorire). Le citazioni poetiche rimandano per lo più a Ossi di seppia (80), ma anche, nell’ordine, a La bufera e altro (17), Le occasioni (13), Satura (9), Quaderno di quattro anni (2), Diario del ’71 e del ’72 (1), né mancano Altri versi e poesie disperse (3) – come il titolo della raccolta curata da G. Zampa (Milano, 1981) – e un passo del Quaderno di traduzioni (Billy in catene, da Melville; s. v. sospendere, nel sign. ‘impiccare’). In generale, sono 31 le liriche di Ossi di seppia citate nel repertorio, quasi la metà quelle della raccolta Le occasioni (16), ancor meno quelle delle altre (12 di La bufera e altro, 7 di Satura, 2 di Quaderno di quattro anni). Non stupisce, quindi, che siano “ossi” le liriche che compaiono più frequentemente: L’agave su lo scoglio (9 volte), Fine dell’infanzia (8), Falsetto (5), Clivo (4), Meriggiare pallido e assorto (4), Spesso il male di vivere ho incontrato (3), Casa sul mare (3), Ciò che di me sapeste (3), Scendendo qualche volta (3), le ultime quattro, in realtà, con un numero di citazioni pari a quelle di Carnevale di Gerti, tratta da Le occasioni.

Passando dall’origine delle citazioni alla loro funzione all’interno del dizionario, risulta significativo che in 65 casi l’esempio corredi una voce o un’accezione marcate come “letterarie” (abbraccio, ‘il circondare, il contenere’, cresputo ‘increspato’, falotico ‘bizzarro, strano’, lucore ‘luce intensa, splendore’, rabido ‘irato, furioso’, zolla ‘sepolcro, ecc.), in altri dieci come “poetiche” (assembrare nel senso di ‘somigliare, essere simile’; ragnatela per ‘velatura di nuvole rade’; tòrpere per ‘essere inerte’, ecc.), in ulteriori diciotto (talvolta però coincidenti con i precedenti) come “rare” (capriolare ‘fare capriole’, impasto ‘fusione dei voci e di suoni’, scompositore ‘che o chi scompone’, ecc.).

Certo, non mancano esempi che rimandano al linguaggio comune – blabla, coccio, dubbio fisico, insinuare, male, nube, richiamo, ecc. –, ma, pure in assenza di marche diasistematiche come le precedenti, spesso l’esempio montaliano pare legato soprattutto alla necessità di esemplificare – con una voce autorevolissima – parole o significati lontani dal lessico di base.

È vero ch’esse s’immillano…

Al di là del deonomastico montaliano (vol. X, p. 840, poi anche Suppl. 2004, p. 558, con attestazioni precedenti), presente anche nello Zingarelli (2021), al quale qui si aggiungono premontaliano (‘precedente alla produzione poetica di Montale’, vol. 14, pp. 160-161) e montalista (‘esperto, studioso dell’opera di Montale’, Suppl. 2004, p. 558, attribuito a Gianfranco Contini, Una lunga fedeltà. Scritti su Eugenio Montale, 1974, ma già utilizzato in precedenza da Alberto Frattini, in Poeti italiani tra primo e secondo Novecento, Milano, IPL, p. 153), nel GDLI è possibile rintracciare 7.910 citazioni dell’opera del poeta ligure: non molte se confrontate ai grandi autori del passato – oltre ventimila quelle di Dante, sedicimila circa di Tasso, quattordicimila di Pascoli, tredicimila di Ariosto, più di dodicimila di Leopardi – ma considerevolmente maggiori rispetto a tanti scrittori coevi: ricordiamo, solo a titolo d’esempio, gli oltre cinquemila rimandi a Calvino, i quattromila circa di Pasolini e Cassola, i quasi tremila di Ungaretti e Vittorini, con qualche centinaia in meno per Saba e Buzzati, appena un migliaio invece quelli di Quasimodo, ma anche, per contro, gli ottomila di Pavese, i novemila scarsi di Gadda e i circa diecimila di Moravia. Il che, naturalmente, non sottende tout court un giudizio di merito, ma dice molto della forza di penetrazione degli scritti montaliani nella cultura italiana del Novecento, soprattutto se si tiene conto che poco meno della metà delle citazioni (3.187) compaiono già nei primi undici volumi del GDLI, pubblicati fino al 1981, anno della morte del poeta.

Il repertorio, che rappresenta ad oggi il più importante vocabolario storico italiano, con le sue oltre ventiquattromila pagine distribuite su ventitré volumi (compresi i Supplementi), non può certo vantare la diffusione di un moderno dizionario dell’uso, sebbene da qualche anno la possibilità di consultare l’opera on line (www.gdli.it), ne abbia aumentato notevolmente la fruizione. Va detto, però, che il sistema di ricerca del sito non si fonda sulla digitalizzazione integrale dell’opera, ma sulla lettura ottica dei caratteri (OCR): bisogna quindi mettere in conto alcune imprecisioni legate al meccanismo d’interpretazione dei testi, consultabili in formato pdf, a cui andrà aggiunta l’impossibilità di rintracciare citazioni consecutive (aperte dalla formula Idem), oltre, naturalmente, a eventuali errori redazionali (si pensi, ad esempio, a un paio di passi attribuiti per sbaglio a Montale, ma in realtà di Lorenzo Montano). Sui dati che abbiamo finora esposto e su quelli che daremo di seguito, quindi, grava un certo margine d’errore, che tuttavia non varia – crediamo – la sostanza delle cose.

L’opera più citata del poeta – ed è già la prima sorpresa – è una raccolta di prose, Farfalla di Dinard, richiamata ben 1799 volte (1731 dall’edizione del 1960, le restanti da quella del 1969, come la precedente pubblicata a Milano), mentre di gran lunga inferiori sono, restando alla prosa, le citazioni di Auto da fé (Milano, 1956), 418, e Fuori di casa (Milano/Napoli 1969), 407. Il repertorio cita anche 264 volte Prime alla Scala (Milano, 1981), che raccoglie recensioni di opere liriche, concerti e balletti, 200 l’antologia Il secondo mestiere. Arte, musica, società, a cura di G. Zampa (Milano, 1996), e 111 Quaderno genovese, diario giovanile risalente al 1917, pubblicato per la prima volta da L. Barile nel 1983 (Milano).

Tra le raccolte poetiche, prevale il volume d’esordio, Ossi di seppia (Torino, 19251; ma qui cit. dall’ed. di Milano del 1956), che conta 1461 citazioni: seguono Le occasioni (Torino, 19391, ma qui cit. dall’ed. di Milano del 1954) con 919, La bufera e altro con 790 (397 tratte dall’edizione di Venezia del 1956, 393 da quella di Milano del 1963), Satura (Milano, 1971) con 277, Quaderno di quattro anni (Milano, 1977) con 130, Diario del ’71 (Milano, 1971) con 50, infine Diario del ’71 e del ’72 (Milano, 1973) appena con una (vol. VIII [1973], p. 515, s. v. ipotiposizzabile: «C’era la tua immagine / non ipotiposizzabile, per sua natura […]», Diamantina, v. 21); talvolta ripetono, più spesso integrano le precedenti, 347 citazioni tratte da L’opera in versi (a cura di R. Bettarini e G. Contini, Torino, 1980), mentre 419 sono quelle legate al saggio Sulla poesia (a cura di G. Zampa, Milano, 1976), e 25 quelle ricavate da Eugenio Montale, volume curato da Silvio Ramat (Firenze, 1965).

Il repertorio fa inoltre ricorso a 65 passi di Lettere, con gli scritti su Svevo (Bari, 1966), a 6 di Lettere e poesie a Bianca e Francesco Messina (1923-1925) (Milano, 1995), oltre alle 184 citazioni di Quaderno di traduzioni (Milano, 1975; 19481), e alle 24 e 7, rispettivamente, tratte dalle versioni montaliane del romanzo La vita della foresta (Green mansions) di Hudson (Torino, 1987) e dell’Amleto di Shakespeare (Milano, 1982).

Chiudono il cerchio sei citazioni che non trovano riscontro nelle sigle indicate nell’Indice degli autori citati nei volumi I-XXI e nel Supplemento 2004 (a cura di Giovanni Ronco, Torino, 2004): tre, in realtà, sono riconducibili al già citato Il secondo mestiere – una recensione a Trucioli di Camillo Sbarbaro, apparsa sul quotidiano genovese L’azione il 10 novembre 1920, altre due risalenti al 1925, a Storie di bestie e di fantasmi di Carlo Linati, sulla rivista «Il Convegno» (n. 8), e a L’isola di Riccardo Artuffo, sul quotidiano palermitano L’ora –, un’altra (Cronache di una disfatta, «Il Mondo», 2 giugno 1945) ad Auto da fé, e ancora una nota d’autore alla lirica Vento sulla Mezzaluna (vol. XVIII [1996], p. 563, s. v. semicircolare: «crescenti o mezzelune sono chiamate alcune strade semicircolari di Glasgow»), che compare in calce alla raccolta La bufera e altro (1963, p. 128, ma qui è cit. da OV, p. 959), e infine due versi della poesia All’amico Pea (vol. XVII [1994], p. 771, s. v. scalpellatore: «Lo conoscevo da trent’anni o più, come impresario / come scalpellatore di parole e di uomini», vv. 9-10), pubblicata in OV (p. 675), poi nuovamente nella raccolta Altri versi e poesie disperse curata da G. Zampa (Milano, 1981).

Scendendo ancor di più nel particolare, sorprende alquanto che le liriche più citate all’interno del GDLI – sommando i passi tratti dalle raccolte con quelli da Opera in versi, e non tenendo conto di sottoraccolte come Mottetti (I-XX, in Le occasioni; 157 riferimenti totali) – siano nell’ordine Fine dell’infanzia (OS, 94 volte), Carnevale di Gerti (Occ, 73), Vecchi versi (Occ, 72), Falsetto (OS, 65), Riviere (OS, 64), Arsenio (OS, aggiunta nel 1928; 59), L’agave su lo scoglio (OS, 60), Elegia di Pico Farnese (Occ, 59), e poi ancora, tutte da Ossi di seppia, I limoni (52), Crisalide (51, con in aggiunta una variante d’autore – «Verrà senza fanfara», s. v. sciabordare, vol. XVIII, p. 4 –, ripresa da OV, p. 887) e Marezzo (45), una in meno per La primavera hitleriana, che con Proda di Versilia (43) risulta essere il componimento della raccolta La bufera e altro maggiormente presente nel repertorio; seguono a una certa distanza, invece, le poesie di Satura (15 citazioni per Tuo fratello morì giovane; tu eri… [Xenia I,13], 12 per Caro piccolo insetto [Xenia I,1]) e ancor più lontane quelle di Diario del ’71 (A Leone Traverso, 8) e di Quaderno di quattro anni (Fine di settembre, 8).

Ora, pur non possedendo uno strumento in grado di accertare il livello di popolarità delle liriche di Montale, mi pare evidente che tali poesie (ad eccezione forse di due o tre) non siano tra quelle più note al grande pubblico o, quanto meno, tra quelle più presenti nelle antologie scolastiche. Molto dipende dalla lunghezza di un testo, naturalmente, giacché una lirica composta da cento parole diverse ha il decuplo di possibilità di essere citata in un dizionario rispetto a una formata da dieci: il che spiega come mai Forse un mattino andando, che conta appena 50 parole, espunte le ripetizioni, abbia solo 9 citazioni nel repertorio (alle voci accampare, detto, inganno, mattino, rivolgere, vetro, vuoto, zitto, nonché come esempio di sinafìa), ma non giustifica il rapporto di quasi uno a due che vanta invece Meriggiare pallido e assorto (a fronte delle 76 parole che compongono la lirica, infatti, le citazioni sono ben 30, rintracciabili alle voci aguzzo, bica ‘mucchio, ammasso di cose’, calvo ‘privo di vegetazione, brullo, spoglio’, coccio1, crepa, fila, intrecciare intr. pronom. ‘incrociarsi, intersecarsi’, meriggiare, meraviglia, merlo1, minuscolo, muro1, ora2 avv., orto, osservare, pallido, palpitare1, picco1 , presso1 prep., pruno, rompere ‘disperdersi’, detto di una massa di uomini o di insetti, rovènte, schiocco1, scricchio ‘il frinire della cicala’, seguitare ‘avanzare costeggiando un muro’, stèrpo, suolo, travaglio1, trèmulo, con riferimento al verso di un animale, vita1).

Certamente – e diremo l’ennesima ovvietà – la scelta di un autore rispetto a un altro è legata alla sensibilità del compilatore, soprattutto laddove le citazioni si estendono, come abbiamo già visto, al di là  di particolari accezioni o di voci più rare e ricercate, che ne giustificherebbero il ricorso (si pensi, nel nostro caso, a candire ‘imbiancare’, clivo ‘pendio’, corimbo ‘infiorescenza in cui i fiori sono allineati alla stessa altezza, dove però i peduncoli partono dall’asse principale ad altezze diverse’, corneggiare ‘avere la forma falcata delle corna, detto della luna nuova’, elisio ‘dimora serena, abitata da spiriti eletti’, éllera ‘edera’, pomario ‘frutteto’, repente ‘improvviso’, strepeante e strèpere ‘tintinnare, stridere, cigolare’, solo per citare alcuni lemmi del GDLI che in effetti riportano citazioni tratte dalla prima raccolta di Montale).

Non è un caso, del resto, che siano citate all’interno del repertorio tutte le liriche di Ossi di seppia, fuorché Musica sognata, che, eliminata dall’autore nella seconda edizione (1928), ritornerà più tardi – nel volume Tutte le poesie (Milano, 1977) – con il titolo Minstrels (ma con alcune varianti); lo stesso vale per Le occasioni, La bufera e altro, Satura, con la sola eccezione, in quest’ultimo caso, di Qui e là. Anche le liriche di Quaderno di quattro anni sono presenti in buon numero (81 liriche su 111, 15 da OV), mentre meno della metà sono quelle di Diario del ’71 e del ’72 (42 su 90, 18 da OV). Non mancano, infine, Poesie disperse edite e inedite (64), tutte riprese dall’omonima sezione de L’opera in versi, raccolta dalla quale il repertorio trae anche traduzioni (8, che integrano le citazioni dirette di Quaderno di traduzioni), varianti e note d’autore, riflessioni sulla poesia, lettere e prose varie.

Si tratta, in conclusione, di un materiale davvero notevole, che percorre gran parte dell’opera montaliana e pare sottendere una scelta di natura programmatica, con la quale i compilatori del repertorio hanno voluto – giustamente – rendere merito a uno dei principali protagonisti della letteratura italiana del Novecento, eternandone la memoria. In fondo lo stesso Montale, in un’intervista televisiva per la rubrica “Arti e scienze” (vedi), alla richiesta di indicare «tre opere poetiche di autori contemporanei degne di restare nella storia della nostra poesia», risponde – non senza un certo imbarazzo, probabilmente –: «Io salverei per esempio le opere di Ungaretti, le opere di Saba, i critici dicono anche le mie, ma non potrei giudica il mio caso».

Sigle

OS = Ossi di seppia

Occ = Le occasioni

OV = L’opera in versi

* Pur avendo scelto, per motivi di spazio, di evitare rimandi bibliografici che non siano legati alla produzione montaliana, vorremmo dedicare un doveroso omaggio alle Concordanze di tutte le poesie di Eugenio Montale di Giuseppe Savoca (Firenze, Olschki, 1987, 2 voll.), opera senza la quale sarebbe stato ben più complicato catalogare più di ottomila citazioni.

(a Juno)

Immagine: Eugenio Montale

Crediti immagine: Kaj Hagman., Public domain, via Wikimedia Commons

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