03 marzo 2022

Le lingue e i dialetti d’Italia per Pier Paolo Pasolini

Pier Paolo Pasolini è stato senza dubbio uno dei più grandi, e anche dei più versatili intellettuali del Novecento. La sua attenzione verso le questioni linguistiche è trasversale rispetto a tutta la sua produzione: quella in prosa, quella in poesia, quella teorica, quella di giornalista, persino quella di cineasta. Vi è quindi un filo conduttore in tutte le sue scelte e la sua visione di una lingua plurale, o direttamente del plurilinguismo (il friulano, il romanesco, oltre che l’italiano, per non parlare dell’attenzione verso le lingue e i dialetti d’Italia), rappresenta una delle sue preoccupazioni più sentite e anche un’arma di lotta politica che accompagna la sua visione del mondo.

 

L’italiano tecnologico e la questione della lingua

La visione di Pasolini sulla lingua è decisamente di taglio sociolinguistico (lo scrittore usa proprio questo aggettivo a p. 19 del suo intervento): “la tesi del Pasolini – che l’interesse per le cose della lingua ha sempre manifestato nel corso della sua attività di scrittore e di critico, sia pure da un punto di vista social-politico piuttosto che strettamente filologico – cadeva in un momento particolare delle controversie letterarie […]. [Q]uella tesi, pur esprimendo una oggettiva condizione di disagio degli scrittori di fronte alla lingua, traduceva in realtà i termini di una personale visione dei fatti linguistici e letterari” (Vitale 1994: 616).

La tesi pasoliniana, che risente del dibattito contemporaneo e a sua volta genera grandi discussioni tra i protagonisti della classe intellettuale del secondo Novecento, prende forma sulle colonne di Rinascita, il settimanale del Partito comunista, il 16 dicembre 1964. Si tratta, comunque si vedano le cose (e l’analisi di Pasolini presenta, soprattutto vista con gli occhi di oggi, molti punti di debolezza, accanto a indubbi punti di forza), di un intervento di grande peso nel dibattito culturale italiano di quel decennio e di quello successivo (Vignuzzi 1982: 723-732).

Lo riassumiamo nelle linee fondamentali, mettendone in luce i punti salienti. Pasolini sostiene “che è nato l’italiano come lingua nazionale” (Pasolini 1964/1972: 24; il corsivo enfatico è originale), un nuovo italiano, nazionale nel senso che ora la borghesia, nuova classe sociale egemone nel Paese, può imporre l’italiano alle classi subalterne. Esso nasce dal nord industriale: “avanzano ora prepotentemente la loro candidatura a centri irradiatori di cultura e di lingua nazionale le città del Nord, l’asse Torino-Milano. Ora, il Nord non può certamente proporre come alternativa i propri dialetti […] né la sua pronuncia, né i suoi particolarismi linguistici: insomma la sua dialettizzazione della koinè. Ma è il Nord industriale che possiede quel patrimonio linguistico che tende a sostituire i dialetti, ossia quei linguaggi tecnici che abbiamo visto omologare e strumentalizzare l’italiano come nuovo spirito unitario e nazionale. Il Nord possiede tale linguaggio tecnologico in quanto mezzo linguistico principe del suo nuovo tipico modo di vita: è questo sottolinguaggio tecnico che il Nord industriale propone […]: e che, in effetti, è già vittoriosa, attraverso quella stessa influenza egemonica unificatrice che hanno avuto per esempio le monarchie aristocratiche nella formazione delle grandi lingue europee” (Pasolini 1964/1972: 25).

Le caratteristiche che contraddistinguono il nuovo italiano nella visione di Pasolini sono queste: “1) la semplificazione sintattica, con una caduta di forme idiomatiche e metaforiche, non usate dai torinesi e dai milanesi, i veri padroni della nuova lingua (al posto dei fiorentini e dei romani); torinesi e milanesi erano a suo giudizio propensi ad un certo “grigiore” espressivo; 2) la drastica diminuzione dei latinismi; 3) la prevalenza dell’influenza della tecnica rispetto a quella della letteratura, e quindi una minor letterarietà della lingua stessa” (Marazzini 1994: 399).

Il neo-italiano tecnologico nasce quindi, per Pasolini, dal settentrione industriale irradiandosi al posto dell’asse Firenze-Roma preconizzato e anche auspicato dai glottologi degli anni Cinquanta: un caso paradigmatico di come la cosiddetta linguistica prognostica, quella che cerca di proiettare sul futuro la situazione del presente, possa risolversi in un fallimento. L’italiano nel frattempo è andato dovunque, tranne che su questo presunto asse, anche perché le trasformazioni sociali, economiche, politiche dell’Italia dal boom in poi sono state del tutto diverse rispetto al prevedibile ed enormi masse hanno affrontato la via della migrazione interna (oltre che verso l’estero) dal sud al nord, o dal Veneto verso il triangolo industriale, innescando processi che hanno cambiato la storia anche linguistica del Paese.

 

Un episodio emblematico: le ultime conferenze di Pasolini e le minoranze linguistiche

L’interesse di Pier Paolo Pasolini per le lingue e i dialetti d’Italia è stata, si diceva all’inizio, parte integrante dell’identità dello scrittore friulano. La sua attività di conferenziere, che era un’icona ben prima di morire, è stata intensissima per tutta la sua breve vita e ha spesso affrontato questi temi. Ma pochi, ancora oggi, sanno quali siano stati i suoi ultimi appuntamenti pubblici prima della morte, nel profondo sud-est d’Italia; e anche gli stessi salentini ignorano che essi avvennero proprio in questo lontano lembo della penisola. La sua penultima conferenza, la mattina del 21 ottobre 1975, fu al liceo Palmieri, da sempre un faro culturale della città di Lecce, come accade spesso ai licei classici cittadini. Ma l’ultimo incontro, sul quale ci concentreremo, avvenne a Calimera, nel cuore dell’area grica, cioè della minoranza linguistica greca che è un lembo della grecità occidentale presente su queste terre da un paio di millenni, senza interruzione o con un’interruzione molto breve (e su questo i dialettologi di mezza Europa si accapigliano da un secolo).

Ci sono due motivi per cui ci concentreremo sulla visita di Pasolini a Calimera. Il primo, oggettivo, è che si tratta del suo ultimo intervento pubblico prima della morte, dato che non fece in tempo a pronunciare quello che aveva scritto per il congresso del Partito Radicale, programmato per un paio di giorni dopo la sua morte violenta all’Idroscalo di Ostia, che però conserviamo per iscritto (di quello di Calimera, e anche di quello di Lecce, non si conservano purtroppo registrazioni). Il secondo, soggettivo, è che chi scrive questa nota era allora proprio un bambino di Calimera, e quel giorno, all’ultimo intervento pubblico di Pasolini su questa terra, c’era di persona. E lo ricorda bene.

 

Pasolini e le minoranze linguistiche

Per gli interessi dello scrittore friulano, che aveva incluso alcuni testi in grico nel suo Canzoniere popolare, si trattò di un fatto naturale, anche se l’incontro calimerese fu del tutto improvvisato: ma gli si proponeva l’occasione imperdibile di ascoltare dalla viva voce dei cantori popolari quello che conosceva ancora solo da fonti scritte, e Pasolini la colse al volo.

L’incontro avvenne per merito di Rocco Aprile (questo cognome nel paese, dato che lo porta una buona parte del paese, me compreso, è poligenetico e lo vedremo ancora a proposito di altri personaggi qui nominati), infaticabile protagonista del movimento di riscoperta delle radici griche di Calimera con una forte propensione verso lingua, storia e cultura dell’antica madrepatria greca (cfr. almeno Aprile 1978-1980, 1984 e 2007). Era andato con un collega a vedere Pasolini a Lecce, come tanti altri. Rocco Aprile, che conosceva già Pasolini proprio perché lo aveva incontrato in relazione alle minoranze linguistiche, facendosi largo tra la folla, gli chiese se volesse venire a Calimera nel pomeriggio. E Pier Paolo, che evidentemente era un uomo tutt’altro che formale, gli disse che alle tre si sarebbe fatto trovare nella piazza del paese: detto fatto, il tempo di pranzare e arrivò.

Trovare un posto per Pasolini a Calimera non fu affatto semplice. Le scuole del paese non diedero il permesso di ospitarlo con una serie di pretesti risibili. Il sindaco e i consiglieri di allora non si fecero neanche vedere. Oggi per ospitarlo si sarebbe scatenata una gara a colpi di social, pressioni e colpi bassi, ma allora Pasolini, in un paesino del profondo sud dove l’anno prima, al referendum sul divorzio, aveva vinto il Sì alla sua abolizione (anche se di pochissimo), faceva ancora paura. Va detto, a scanso di schematiche letture retrospettive, che lo scrittore friulano era un personaggio scomodo per i benpensanti di ogni colore, non solo per i democristiani che allora guidavano il Comune; Togliatti per esempio, da giovane, lo chiamava “il pederasta”, e non era un complimento, anche se il rapporto con il PCI era talmente profondo che non lo si può liquidare con un insulto, sia pure così sguaiato. Pasolini, al momento della morte, frequentava peraltro, come abbiamo visto al paragrafo precedente, il Partito Radicale di Marco Pannella, che dava molto spazio alle battaglie libertarie come il riconoscimento della dignità degli omosessuali, e anche questo è un particolare molto poco noto.

Verificato il fatto che Pasolini nelle scuole non poteva mettere piede e al Comune neppure, si ripiegò allora verso uno stanzone di proprietà della famiglia di un grande sindaco-ellenista degli anni Cinquanta, Giannino Aprile, autore dell’ancora oggi migliore silloge di canti popolari grichi, intitolata Traùdia (che per l’occasione fu regalata a Pasolini) (Aprile 1972). Si trattava di una delle vecchie fabbriche di tabacco di cui il Salento era allora pieno. Non un posto ripulito e pettinato come i locali “tipici” di oggi, in una terra nel frattempo diventata una delle mete turistiche più frequentate d’Italia: era con la polvere e con le ragnatele, che nessuno aveva avuto il tempo di rimuovere.

La fabbrica si riempì di gente in poco tempo. C’erano musicisti che poi sarebbero diventati di un certo peso e cantori popolari che sarebbero rimasti tali, autentici e inconsapevoli di esserlo, a differenza di quelli che poi si sono autoproclamati tali. Io ero troppo piccolo per ricordare i dettagli, e in ogni caso fui l’unico a cui Pasolini, l’antidivo, rilasciò un autografo, e lotto ancora adesso per separare i ricordi diretti (arrivavo in piedi all’altezza del tavolo di Pasolini, quindi lo guardavo dal basso verso l’alto) da quelli indotti dai racconti degli adulti di allora e dalle fotografie; ma secondo le testimonianze unanimi dei presenti, lo scrittore era affascinato, ascoltava in silenzio, ogni tanto chiedeva chiarimenti; in particolare, rimase senza parole davanti a una canzone struggente e malinconica come Aremo rindineddha, Dove vai rondinella, scritta da Giuseppe Aprile nel 1900 (la migliore esecuzione è ancora oggi quella dei Ghetonìa, la si può comodamente ascoltare su YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=r5HxfHMMk40, la si legge in Aprile 1972: 354-357), che certo non rientra nei circuiti commerciali della pizzica, ma ha segnato l’identità dei calimeresi per decenni.

Un dettaglio fondamentale dell’ultimo appuntamento pubblico di Pasolini fu il set di foto dell’evento, improvvisato da Antonio Tommasi, fotografo di Calimera e buon conoscitore del suo cinema. Si tratta, con ogni probabilità, di uno dei migliori set di foto pasoliniane oggi disponibili in Italia, con una serie di scatti bellissimi, in un bianco e nero efficace, poetico, a tratti graffiante, sia nei primi piani sia negli sfondi; memorabile, per chiunque l’abbia visto. Con Calimera e i greci del Salento, una delle tante minoranze che hanno contribuito a edificare e a rendere più forte, più bello e più ricco questo Paese, Pasolini chiuse insomma, per via della sua morte tragica, la sua attività di intellettuale tra i più grandi del Novecento.

 

Bibliografia

Aprile 1972 = Giannino Aprile, Calimera e i suoi traùdia, Galatina, Editrice salentina.

Aprile 1978-1980 = Rocco Aprile, Grecìa salentina. Problemi e documenti, Cavallino, Capone, vol. I (1978), vol. II (1980).

Aprile 1984 = Rocco Aprile, Storia della Grecia moderna 1453.1981, Cavallino, Capone.

Aprile 2007 = Rocco Aprile, Storia di Cipro, Lecce, Argo.

Marazzini 1994 = Claudio Marazzini, La lingua italiana. Profilo storico, Bologna, il Mulino.

Pasolini 1964/1972 = Pier Paolo Pasolini, “Nuove questioni linguistiche”, Rinascita, 16 dicembre 1964 (ristampato in Pier Paolo Pasolini, Empirismo eretico, Milano, Garzanti, 1972, 9-28, da cui si cita)

Vignuzzi 1982 = Ugo Vignuzzi, “Discussioni e polemiche novecentesche sulla lingua italiana”, in Letteratura italiana contemporanea, diretta da Gaetano Mariani e Mario Petrucciani, Roma, Lucarini, vol. III, pp. 709-736.

Vitale 1978 = Maurizio Vitale, La questione della lingua, Palermo, Palumbo.

 

Immagine: Pier Paolo Pasolini by Zilda

 

Crediti immagine: Bruno from Roma, Italia, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0>, via Wikimedia Commons

 

 

 

 

 


© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata