04 marzo 2022

Tra mito e realtà. Il cinema di Pier Paolo Pasolini

Se il Neorealismo aveva liberato il film dalla gabbia aristotelica del racconto classico fondando la poetica del cinema moderno, Pasolini all’inizio degli anni Sessanta riporta a suo modo il cinema italiano nel dominio del mythos, avviando un percorso autoriale che, dall’esordio alla regia nel 1961 con Accattone, si snoda fino a Salò o le 120 giornate di Sodoma del 1975. Il corpus cinematografico pasoliniano è un insieme denso, complesso, problematico, costituito da dodici lungometraggi di finzione, quattro cortometraggi collocati in film a episodi, sei documentari; ai lavori scritti e diretti da Pasolini si sommano le sceneggiature parziali o complete destinate ad altri registi, dalle pagine scritte per Fellini (Le notti di Cabiria, La dolce vita) fino agli interi script di film girati da Mauro Bolognini (La notte brava) e Bernardo Bertolucci (La comare secca). Non meno rilevante è il contributo alla teoria del cinema, ad alimentare una linea di ricerca molto influenzata dalla semiotica e consolidata nei saggi raccolti in Empirismo eretico. Per completare il quadro, va considerato anche il Pasolini critico cinematografico, con una produzione di recensioni e articoli per quotidiani, settimanali e riviste specializzate, confluiti successivamente nel volume I film degli altri.

A fronte di questa mole impressionante di opere e testi, peraltro realizzati nell’arco di appena due decenni, proviamo a rispondere sinteticamente ad almeno due questioni fondamentali.

Perché Pasolini, un grande uomo di lettere, ha scelto di fare cinema? E, conseguentemente, che impatto ha avuto la scelta di Pasolini sulla storia del cinema?

 

Perché ha scelto di fare cinema?

La prima questione è stata ampiamente indirizzata all’autore medesimo, che ha risposto in modo vario nel corso del tempo. In una prima fase Pasolini distingue tra un livello dell’espressione e un livello della tecnica, specificando che sente la necessità di esprimere la propria soggettività o intenzionalità artistica attraverso un medium che non sia più quello letterario: «Il desiderio di esprimermi attraverso il cinema rientra nel mio bisogno di adottare una tecnica nuova, una tecnica che rinnovi. Significa anche desiderio di uscire dall’ossessivo» (De Giusti, Chiesi 2015 p. 13). In una fase successiva, egli assegna un significato politico all’approdo cinematografico; fare cinema è, in tal senso, un gesto di contestazione nei confronti della lingua italiana della letteratura e dunque, per estensione, nei confronti della società italiana. Così afferma esplicitamente nel testo Una premessa in versi: «abbandonando la lingua italiana, e con essa, / un po’ alla volta, la letteratura, / io rinunciavo alla mia nazionalità» (Pasolini 1991 p. 13). Ancora più avanti, Pasolini opera un distinguo fra amore per l’arte e amore per la vita, dichiarando che nella sua attività di scrittore aveva tenuto insieme la passione per la letteratura e quella per la vita, ma che una volta abbandonata la letteratura aveva in qualche modo isolato l’interesse per la vita in sé, sostenuto da una tecnica che non si frappone tra l’artista e la realtà ma anzi consente un accesso diretto alla vita stessa.

 

Che cosa rappresenta per il cinema italiano?

Venendo alla seconda questione, se per Pasolini il cinema rappresenta un’apertura verso il reale, per il cinema italiano l’esperienza cinematografica di Pasolini rappresenta la chiusura di un arco che ha origine nell’immediato dopoguerra, quando Rossellini, Visconti, De Sica e Zavattini danno vita al Neorealismo. Si comprende dunque che la questione di Pasolini cineasta è tutta interna, come ricorda Roberto De Gaetano (2008), alla più ampia questione del realismo. Verso l’ambiente sociale del sottoproletariato romano Pasolini ha già orientato le proprie attenzioni di romanziere, e a quello stesso ambiente ritorna con la macchina da presa: ma la città attraversata dai personaggi del Neorealismo è lo spazio aperto e aleatorio dell’incontro, un campo di possibilità che si accendono e si spengono, assecondando una vocazione descrittiva del medium (la forma ottico-sonora, nei termini di Deleuze); mentre la città di Pasolini è l’ambiente del mythos tragico. Accattone e Mamma Roma raccontano le vicende dei personaggi eponimi, un ladro e una prostituta, un eroe e un’eroina sottoproletari e tragici: è proprio la forma tragica a consentire a tali vite sostanzialmente marginali di fare il loro ingresso nella Storia, anche mediante procedimenti stilistici quali la messa in quadro pittoricista e l’impiego di musiche preesistenti di matrice colta, finalizzati all’elevazione dei personaggi e del loro mondo dalla dimensione della corporeità. Anche la scelta di doppiare gli attori non professionisti va nella medesima direzione: mantenendo salda la scelta del dialetto romanesco fatta in sceneggiatura, Pasolini assegna però ai corpi autentici del sottoproletariato le voci, registrate e sincronizzate in studio, di professionisti come Paolo Ferrari e Monica Vitti, nella convinzione che il doppiaggio sia lo strumento più efficace per evitare il naturalismo e accedere al realismo, e possa aggiungere ai personaggi una «dimensione trasfigurante» (Parigi 2008, p. 106).

 

La poeticità del cinema

Nel corso degli anni ’60, il Pasolini regista e teorico del cinema introduce nel dibattito la questione della poeticità del cinema che si basa sulla traduzione intersemiotica del discorso libero indiretto di derivazione romanzesca: in sostanza, Pasolini esplora il campo delle relazioni tra autore cinematografico e personaggio alla ricerca di una coesistenza schermica in cui cadano le barriere tra inquadratura oggettiva (produzione dell’istanza autoriale) e inquadratura soggettiva (produzione dello sguardo del personaggio). Questa indiscernibilità o fusione di sguardi è ciò che primariamente caratterizza ciò che Pasolini chiama il cinema di poesia, un modo di fare cinema che attinge ad «elementi irrazionalistici, onirici, elementari e barbarici» (Pasolini 2003, p. 172). Analizzando la storia del dispositivo, egli osserva che l’emergere di tali elementi si verifica in una prima fase, il Modo di Rappresentazione Primitivo, secondo la definizione di Noël Burch (2001); mentre successivamente si costruisce un Modo di Rappresentazione Istituzionale, basato su convenzioni narrative da cui deriva un sistema produttivo completamente razionalizzato, che per Pasolini è il cinema di prosa. Il superamento del cinema classico o prosastico, nel secondo dopoguerra, consiste proprio nell’opzione poetica che consente al cinema di esibire il proprio apparato discorsivo, senza necessariamente dissimularlo nella storia.

 

Tensione oppositiva tra razionalità e irrazionalità

Nella parte centrale del proprio percorso di cineasta, segnata dai film che vanno da Edipo re a Medea, Pasolini tematizza in termini spaziali, dunque mette letteralmente in scena, la tensione oppositiva tra razionalità e irrazionalità, tra civiltà e barbarie, come contrapposizione tra centro e periferia del mondo. Sebbene questa contrapposizione sia attiva fin dai primi film del regista, è con Edipo re, osserva Paolo Lago, «che emerge, nel cinema pasoliniano, la dimensione dello spazio desertico che rappresenta una vera e propria forma di società ‘altra’ ed alternativa a quella capitalistica» (Lago 2020, p. 17). Nei film successivi, quelli della trilogia della vita (Il Decameron, I racconti di Canterbury e Il fiore delle Mille e una notte), Pasolini esplora altre possibilità del realismo, accentrando la dimensione della corporeità e del grottesco, un grottesco che De Gaetano definisce «gioioso, comico-popolare» (De Gaetano 2008). La struttura profonda del realismo pasoliniano è però ancora il mythos, per stessa ammissione del cineasta che individua nei film della trilogia lo schema del viaggio iniziatico e in tutti i suoi film lo schema del viaggio eroico in generale: «Anche il mio film Il fiore delle Mille e una notte è un lungo viaggio, e l’eroe o gli eroi sia pure passivamente hanno il passo eroico di chi compie un’iniziazione. Lo schema strutturale del viaggio era anche lo schema di Uccellacci e uccellini; e se si vuole, anche lo schema del Vangelo (il viaggio verso Gerusalemme)» (Pasolini 1991, p. 297).

 

«un corpo che cade morto»

Non è un caso che in questo periodo Pasolini lavori su due progetti entrambi fondati ancora una volta sullo schema del viaggio, un film su San Paolo e un film sull’Ideologia (Porno-Teo-Kolossal); non realizzerà nessuno dei due e, com’è noto, il suo ultimo film sarà Salò o Le 120 giornate di Sodoma, che al contrario si svolge in un unico grande ambiente concentrazionario. Pasolini ha scritto nel frattempo un articolo contro la trilogia della vita, nel senso che ha preso le distanze dall’approccio che l’ha generata. Le riprese di Salò terminano nel maggio del 1975; quando il poeta e cineasta muore all’idroscalo di Ostia, il 2 novembre dello stesso anno, il montatore Nino Baragli è impegnato negli ultimi ritocchi suggeriti da Pasolini.

Fa ancora molto effetto leggere, negli appunti di regia, che per descrivere l’approccio metodologico al realismo della messa in scena adottato sul set di Salò, Pasolini faccia l’esempio seguente: «Se uno deve cadere a terra morto, glielo faccio ripetere mille volte finché sembra proprio un corpo che cade morto» (Pasolini 1991, p. 313).

 

 

Riferimenti bibliografici

 

Noël Burch, Il lucernario dell’infinito, Editrice Il Castoro, Milano 2001.

 

Francesco Ceraolo, Oltre la semiologia. Pier Paolo Pasolini critico cinematografico, in M. Guerra, S. Martin (a cura di), Atti critici in luoghi pubblici. Scrivere di cinema, tv e media dal dopoguerra al web, Diabasis, Parma 2019.

 

Roberto De Gaetano, L’epico-religioso e il comico-popolare, in A. Canadè (a cura di), Corpus Pasolini, Pellegrini Editore, Cosenza 2008.

 

Roberto De Gaetano, Il cinema e i film. Le vie della teoria in Italia, Rubbettino, Soveria Mannelli 2017.

 

Roberto De Gaetano, Cinema italiano: forme, identità, stili di vita, Pellegrini Editore, Cosenza 2018.

 

Luciano De Giusti, Roberto Chiesi (a cura di), Accattone. L’esordio di Pier Paolo Pasolini raccontato dai documenti, Edizioni Cineteca di Bologna – Cinemazero, Bologna-Pordenone 2015.

 

Gilles Deleuze, L’immagine-tempo. Cinema 2, Einaudi, Torino 2017.

 

Paolo Lago, Lo spazio e il deserto nel cinema di Pasolini, Mimesis, Milano-Udine 2020.

 

Stefania Parigi, Pier Paolo Pasolini. Accattone, Lindau, Torino 2008.

 

Pier Paolo Pasolini, Le regole di un’illusione, Fondo Pier Paolo Pasolini, Roma 1991.

 

Pier Paolo Pasolini, Empirismo eretico, Garzanti, Milano 2003.

 

 

Immagine: Totò e Pasolini, © Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia

 

Crediti immagine: Unknown authorUnknown author, Public domain, via Wikimedia Commons

 

 

 

 


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