28 febbraio 2022

Pasolini e la politica come battaglia culturale

 

L’unico modo di leggere Pier Paolo Pasolini è di fermarsi all’attimo prima di quel maledetto 2 novembre del 1975 e proprio in quell’istante che precede il barbaro assassinio, oggi a cento anni dalla sua nascita, c’è già tutto il Pasolini più conosciuto e altrettanto “sconosciuto”. Ma in molti, purtroppo non solo in passato, hanno corso e corrono il rischio di oltrepassare quell’attimo con il risultato di vedersi sbriciolare e ridurre, come scrisse Franco Cordelli, il poeta-regista friulano a vuoto “logo”. A un fantasma. Infatti, solitamente gli anniversari una volta passati si archiviano, per Pasolini no. Infatti, hanno faticato parecchio a spegnersi le eco delle celebrazioni dei vari anniversari succedutisi all’indomani della morte. Così è stato per i dieci, trenta, quaranta anni della morte. Ora che a celebrarsi è la nascita, questo ribaltamento di verso cosa procurerà nella comprensione della sua opera? Non c’è città, paese o borgo che non abbia il suo omaggio a Pasolini; c’è da chiedersi che cosa stia producendo questo ininterrotto susseguirsi di iniziative? Valeva ieri, vale oggi con il centenario del 5 marzo alle porte, peraltro con molte iniziative già entrate da alcune finestre aperte sulla sua multiforme e volitiva produzione. Di certo, alcune tenteranno di raccontare cosa oggi resta di Pasolini, altre, invece, si limiteranno a illustrare la bulimica e poliedrica attività letteraria, cinematografica, giornalistica.

 

Esiste un Pasolini nostro contemporaneo?

Per restare in misure facili a prelievi anche di osservatori poco attenti. E altrettanto certamente si porrà, sempre guardando la sua opera, il quesito di come azzerare la distanza temporale che separa il pensiero di Pasolini dai limiti della nostra contemporaneità? Dunque, esiste un Pasolini “nostro contemporaneo”? Come le sue parole, le sue intuizioni, le focali su cui il suo obliquo e poetico sguardo si posava possono interpretare il presente? Non sono interrogativi ai quali la lettura dei suoi romanzi, la declamazione di qualche poesia, nuove edizioni dei libri o la riproposizione dei suoi polemici corsivi e editoriali, mascherate da citazioni pret-à-porter, o ancora il suo cinema, a poterli rivolvere. Come non gli è bastato inventare un mondo, meglio dare un senso e un nome alle borgate romane, così percorse in lungo e largo, in un corpo a corpo che aveva – anche solo attraverso la finzione letteraria – un che di sfinente. Allorquando a offrirsi all'attualità può essere il pensare politicamente a istanze riferite, principalmente e in buona sostanza, al proprio essere e restare un comunista. Pur con tutte le contraddizioni che coabitavano e spartivano nel poeta tale sentire. Prontamente raccattate negli anni “zero” da una Destra sdoganata dal berlusconismo a caccia di padri nobili. E Pasolini non poteva esserlo, sebbene talvolta abbia cercato un dialogo con i fascisti più dialettico e di contrapposizione che sottoposto ad un vero confronto.

 

Le "armi" dell’artista

D'altronde le sue prese di posizione sono sempre improntate a puntellare con i chiodi della letteratura un'idea di società che non lo seguiva e che da poeta ingenuamente avvertiva ancor di poter possedere. Per l'appunto con le sole armi cui disponeva: le macchine da scrivere o da presa. Insufficienti a registrare gli accadimenti di quel tempo, semmai capaci di incorniciare momenti e non il tutto. Senza andare a scorrere quest’elenco, si è scelto di tracciare un succinto profilo politico andando a toccare alcuni aspetti della sua poetica vitalità più che temi “corsari” che lo videro isolato, anche tra i compagni e amici intellettuali e scrittori: le polemiche con Moravia e con Calvino negli anni Settanta a proposito delle prese di posizione contro l'aborto o la fallimentare campagna “processuale” contro la Dc. Pertanto, la sua politica è una battaglia culturale in cui a fronteggiarsi sono tradizione e modernità, forze del passato e pulsioni distruttive del progresso e tralasciando la disperazione dell'estremo Pasolini, compresso tra Salò, Petrolio, lo struggente Volgar'eloquio e gli ultimi scritti “luterani”, raccolti intorno al nucleo pedagogico di Gennariello, piccolo barlume di una possibile uscita dal cul de sac ideologico-consumistico in cui l'Italia si era andata ad infilare. Nonché dei tanti disegni letterari e trattamenti e soggetti cinematografici in progress, si nota in retrospettiva come ancora gli sopravviva il Pasolini viaggiatore e documentarista in bilico tra la delusione di vedere il mondo proletario italiano squagliarsi nella mutazione antropologica consumistica (La rabbia in doppia versione originale e “ricostruita”, Comizi d’amore) e il rifugiarsi nel cinema di poesia (la collaborazione con Totò della metà degli anni sessanta sviscerata negli episodi Cosa sono le nuvole, La terra vista dalla Luna, Totò al circo con una coda dedicata al Ninetto più sessantottesco e fantastico de La sequenza del fiore di carta), prima dei successivi ritrovamenti dei suoi “corpi” in quel terzo mondo a suo modo religiosamente paganizzato e mitizzato (Sopralluoghi in Palestina, Le mura di Sana’a, Appunti per un’Orestiade africana). Ma in mezzo c’è a farsi spazio prepotentemente invece il Pasolini che già sta pensando a Teorema (film e romanzo sulla spoliazione di un capitano d’industria milanese) e soprattutto al gigantesco e mostruoso magma narrativo di Petrolio (il doppio Carlo tycoon senza scrupoli d’una Italia troppo “nostra contemporanea”). C’è dunque il Pasolini che tenta di spiegare al mondo che il mondo stesso è mutato; l’antropologia consumistica ha disgregato valori mitici e popolari; la barbara ingenuità dei “riccetti” è sostituita dal potere dell’abbigliamento e dell’elettrodomestico.

 

L’atto politico del teatro

Ma, c’è una “terza via” per leggere oggi Pasolini ed è rappresentata dal teatro: atto politico per antonomasia, capace di rovesciare despoti e tiranni e di trasformare la lingua della tragedia in farsa e commedia. Considerato a torto minoritario nel novero delle produzioni del poeta-regista, è proprio il teatro, suo e derivato dalle sue opere, a suggerire percorsi e sentieri inediti da affrontare armati di un robusto bagaglio teorico e di una buona dose di spirito e rigore critico. Ma vi è un altro episodio misconosciuto che consente un ulteriore lettura politica del credo pasoliniano che sembra anticipare la sua migliore produzione, quella che press'a poco è avviata dai “romanzi delle borgate”, dal capolavoro de Le ceneri di Gramsci e arriva all'esordio cinematografico di inizio anni '60. Da lì in poi si fa strada in Pasolini una certa maniera. Pasolini ha circa 37 anni quando intraprende su commissione del rotocalco «Successo» un viaggio a bordo della sua auto, una berlina millecento, tutt’intorno alla penisola: da Ventimiglia a Trieste. Fu questo il suo “viaggio in Italia”, tracciato lungo una “strada di sabbia” sulla quale è molto più facile lasciare sì tracce, ma anche cancellarle. Sembra un Pasolini inedito, idilliaco per certi versi, felice nello scoprire luoghi e persone di un’Italia più letta che vissuta, nell’andirivieni da Nord a Sud. Ad essere visitate sono località balneari come Portofino, Forte dei Marmi, e giù fino a Ravello e a Ischia (assalita da cascami post-crepuscolari morettiani più che viscontiani), e risalendo l’Adriatico con soste a Rimini prima di arrivare alla Trieste “sottosopra” cara a molti. Eppure, sul finire di quegli anni Cinquanta, Pasolini ha già saggiato il cinema scrivendo sceneggiature, anche belle, più per sbarcare il lunario che per convinzione (almeno fino a quell’anno perché di lì a poco girerà, dopo il “gran rifiuto” di Fellini, Accattone, forse il suo film più bello ad ascoltare Moravia); Le ceneri di Gramsci lo consacrano, anche con premi importanti, definitivamente come poeta; i suoi romanzi e racconti violenti e di vita suscitano scandalo; comincia a partecipare al dibattito pubblico uscendo dai recinti, a lui già poco congeniali, dell’intellettuale votato allo studio e alla riflessione inclusiva sulla sua opera. Le foto che lo ritraggono in abiti quasi sempre professorali lasceranno il posto ad un abbigliamento più casual e modaiolo.

 

Lo spirito del tempo che cambia

Pasolini sa meglio e più di altri cavalcare lo spirito del tempo che cambia, nonostante gli lacrimino gli occhi per l’innocenza perduta. Da chi? Dall’Italia, dalla sua gente, dai suoi ragazzi? Oggi che altre mutazioni sembrano cogliere impreparata l’umanità non pare più vero accanirsi sulla radicalità della visione pasoliniana e le sue evidenti contraddizioni, se osservate con il cannocchiale a rovescio della storia e non “in salsa piccante”, ritrovano la loro primigenia carica di futuro e di profezia. Per iniziare nuovi discorsi. Insomma, cominciano in quel torno di anni anche i viaggi indiani e africani con lo scrittore di Agostino e de La noia, i sopralluoghi mediorientali per i film, e andando in avanti con gli anni il soggiorno americano in piena era hippie-beat e i tanti ritorni in oriente, destinati soprattutto alla realizzazione della Trilogia della vita. Insomma, s’affaccia allora  prepotente, e va sottolineata pubblica, quella “disperata vitalità” che porterà il poeta-regista friulano, fino al tragico e “incongruo” epilogo, per ciò che aveva in mente di scrivere, filmare e realizzare, della sua esistenza, a percorrere sentieri e strade – come piaceva dire a Giuseppe Bertolucci – della sociologia, antropologia, linguistica, della critica letteraria e cinematografica, del giornalismo, mentre praticava con la medesima intensità narrativa poesia regia cinematografica teatro (e in aggiunta sulle assi del palcoscenico ci provò anche da regista) e più clandestinamente pittura e disegno.

 

Immagini di e con Pasolini

Sul reportage pubblicato e sull’originale manoscritto della Lunga strada di sabbia, sul quale possono essere letti i tagli redazionali della rivista, ha lavorato molti anni dopo, sfruttando coincidenze inaspettate e incontri straordinari, Philippe Séclier. Il fotografo francese serializza il viaggio di Pasolini in una serie di immagini in bianco e nero che tentano di fissare – a posteriori e con la memoria tramandata dalle foto e dal cinema del tempo (scomodare il neorealismo nel ’59 quando già viveva il suo terzo se non quarto tempo può essere esercizio quanto mai lezioso) – sensazioni forse irripetibili. Qui le immagini sembrano suturare le ferite e profonde trasformazioni di un decennio con l’altro; il passaggio dagli anni Cinquanta ai Sessanta non fu indolore per la nazione. Anzi, le foto, a noi contemporanee e allo stesso tempo “a ritroso” di Séclier, sembrano ridefinite una vera Italia? Un'ultima risposta ed in logica continuità temporale la si può avere con le fotografie di scena scattate da Mario Dondero e Angelo Novi sul “set” di Comizi d’amore, il film-inchiesta sulla sessualità degli italiani realizzato da Pasolini nel 1963. Nell’osservare le sequenze, nello stupirsi nel riconoscere personaggi della levatura di Ungaretti, Musatti, Moravia (e sapere cosa risposero alle domande scomode sfrontate, forse ironicamente spudorate di Pasolini) così messi sullo stesso piano di scugnizzi e ragazzini di borgata in trasferta al mare, non si può non pensare che, dopotutto e ancora oggi, da quel litorale romano che ostinatamente cerca ancora di “non essere cattivo”, è cessato di esistere un uomo che aveva ancora da scrivere su ciò che il suo paese non poteva forse più offrirgli. Nemmeno da comunista.

 

Bibliografia consultata

Pier Paolo Pasolini, (a cura di Nico Naldini), Vita attraverso le lettere, Einaudi 1994

Carla Benedetti, Pasolini contro Calvino. Per una letteratura impura, Bollati Boringhieri 1998

Pier Paolo Pasolini, (a cura di Walter Siti e Silvia De Laude), Saggi sulla politica e la società, Merdiani Mondadori 1999

Giulio Sapelli, (a cura di Veronica Ronchi), Modernizzazione senza sviluppo. Il capitalismo secondo Pasolini, Bruno Mondandori 2005

Pier Paolo Pasolini, La Divina Mimesis, Oscar Mondadori 2006

Adalberto Baldoni, Gianni Borgna. Una lunga incomprensione. Pasolini fra Destra e Sinistra, Vallecchi 2010

Pier Paolo Pasolini, Un paese di temporali e primule, Guanda 1993 (nuova edizione con Introduzione di Nico Naldini, Corriere della sera 2015)

Pier Paolo Pasolini, Porcile, Garzanti 1973 (nuova edizione con Prefazione di Franco Cordelli, Corriere della sera, 2015

Pier Paolo Pasolini, (a cura di Riccardo Costantini), Polemica Politica Potere. Conversazioni con Gideon Bachmann, Chiarelettere 2015

Pier Paolo Pasolini, Poesie (con l'introduzione dell'autore), Garzanti 2015

Pier Paolo Pasolini, Volgar'eloquio, introduzione di Antonio Piromalli, nuova edizione a cura di Fabio Francione, FAP – Edizioni del Fondo Antonio Piromalli onlus 2015

Pasolini “sconosciuto”, (a cura di Fabio Francione), Falsopiano 2015

Gianni Borgna, (a cura e con un'introduzione di Carla Benedetti), Pasolini Integrale, Castelvecchi 2015

Marco Pannella, (a cura di Lanfranco Palazzolo), La rosa nel pugno, Kaos 2016

Fabio Francione, Tra il mito e la storia in Tutto Pasolini, (a cura di Piero Spila, Roberto Chiesi, Silvana Cirillo, Jean Gili), Gremese 2022.

 

 

Immagine: Pasolini davanti alla tomba di Gramsci, via Wikimedia Commons


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