Domenico De Robertis – raccontano i suoi allievi –, in vista della scrittura della monumentale edizione critica del 2002 (Rime, a c. di D. De Robertis, Edizione Nazionale a cura della Società Dantesca Italiana, Firenze, Le Lettere) e del successivo commento del 2005 (Rime, a c. di D. De Robertis, Firenze, SISMEL – Edizioni del Galluzzo), era solito annotare il senso in breve delle rime di Dante. Questo modo di procedere, da un lato, gli permetteva sia di orientarsi con più agio nella complessa e problematica materia sia di risolvere alcune questioni filologiche che la tradizione del testo gli sottoponeva; dall’altro, fermava già nel corso del lavoro il senso dell’azione ecdotica e interpretativa compiuta.

Riassunti e sintesi di servizio

Una volta conclusasi la quasi cinquantennale fatica, De Robertis aveva accumulato via via questa cospicua serie di riassunti e sintesi di servizio. Che fare con tutto ciò? Per qualche tempo, ebbe in animo di risistemarla, darle coerenza, e, contestualmente, di raccogliere la sfida di riassumere «il senso e l’intenzione, diciam pure la sua individualità» (p. 8) di ciascun testo, di ridurre al minimo una materia enorme e complessa. Scomparso prima di portare a termine l’operazione, il risultato del lavoro fu pubblicato postumo, su iniziativa dei figli, e l’opuscolo che se ne ricavò fu distribuito agli astanti in occasione della prima commemorazione della morte dell’autore, svoltasi il 9 e il 10 febbraio 2012 presso l’Aula Magna del Rettorato dell’ateneo fiorentino.

L’edizione benemerita (D. De Robertis, Dante, le Rime in breve, Colle Val d’Elsa, Tipografia Vanzi, 2012) circolò prevalentemente nel gruppo ristretto dei suoi amici e allievi, i quali cercarono di valorizzare – anche in àmbito scientifico – l’efficacia delle “sintesi” derobertisiane, facendo tuttavia fatica a superare l’ostacolo della limitata diffusione del volumetto.

A dieci anni dalla scomparsa del dantista, e in coincidenza del settimo centenario dalla morte del Poeta, la rivista Per Leggere, giunta al quarantesimo numero, ripropone ai lettori Dante, le Rime in breve di De Robertis, con l’auspicio che questa volta si possa dare al testo il rilievo che merita e raggiungere, così, una platea di lettori più ampia.

Sintassi di tipo nominale

Che cosa sono le Rime in breve? Da un punto di vista rigorosamente formale possiamo dire che a ciascuna poesia del corpus dantesco e a ciascuna delle rime di altri poeti che fanno da pendant a quelle di Dante (e quindi i testi di Forese, Dante da Maiano, Guido Cavalcanti, Cino ecc.) corrisponde una breve prosa di carattere riassuntivo in italiano corrente, preceduta, «con ulteriore compressione», da «un compendio che ne aiuti, come facevano le antiche rubriche, la riconoscibilità» (p. 8). In quest’ultimo caso, l’«ulteriore compressione» è raggiunta e accentuata mediante il ricorso, nella grande maggioranza dei casi, a una sintassi di tipo nominale, e quindi essenziale e di servizio, come nei tre esempi che seguono: «Canto di lontananza e di nostalgia; e di attesa di un segno di saluto, purché accompagnato da inequivoci segnali d’amore; e ormai indifferibile» (p. 16); «Scioglimento della brigata, ognuno per suo conto: con proprio vero dispiacere» (p. 26); «Gli occhi di lei, i suoi sguardi, il suo saluto, le sue parole, il suo sorriso: un incanto che si rinnova da sempre» (p. 31).

Il risultato di un’operazione critica

Detto questo, la domanda di fondo, però, rimane. Viene dunque da richiedersi: che cosa sono realmente le Rime in breve? Una parafrasi delle rime di Dante? A tal proposito l’autore è perentorio e dissipa ogni dubbio: «Questa non è una traduzione in prosa corrente, come sembra ci s’aspetti da più parti, del testo delle rime» (p. 8); e tanto meno è una sorta di accessus, di guida didatticamente improntata che prende per mano il lettore e lo accompagna per l’universo delle Rime. Sono piuttosto il frutto dell’interpretazione, da un lato, dello studioso, e, dall’altro, del lettore appassionatamente coinvolto.

Proprio per questa ragione, è inutile aspettarsi un resoconto puntuale e rigoroso dei versi danteschi: ogni brano di prosa è per sua natura una selezione e una mise en relief di certi dati e, al contempo, lo scarto e l’esclusione di altri. Pertanto, ogni elemento di queste prose derobertisiane è il risultato di un’operazione critica.

Così come un’operazione critica è anche la scelta dell’ordinamento dei singoli testi (che, in quanto tale, è «un atto di interpretazione forte», per usare le parole di Marco Grimaldi): naturalmente, qui De Robertis tiene fede a quanto fatto sia nell’edizione critica sia nel commento, disponendo e organizzando le poesie secondo le indicazioni che emergono dallo studio complessivo della storia della tradizione e dei suoi movimenti, obbedendo cioè al responso di una trasmissione secolare che a monte ha alcuni fra gli assetti più antichi delle Rime –– e scartando, quindi, la scelta di Michele Barbi (ripresa poi, in tempi più recenti dal già citato Grimaldi) di ordinare l’insieme sulla base di un’ipotesi dell’evoluzione dell’esperienza poetica dell’Alighieri, caratterizzata, come si sa, da un forte sperimentalismo –.

L’intonazione di fondo

Come si diceva, l’obiettivo è quello di rendere l’«individualità» di ciascun testo; e l’«individualità» di una poesia – semplificando – è data dalla somma dei suoi costituenti fondamentali, fra tutti il senso, la lingua, la metrica e lo stile. Se per quanto riguarda il senso ho già detto, se per quello che concerne la lingua si è già espresso l’autore («Quello che non si conserverà sarà, inevitabilmente, la lingua di Dante, che domanda un più diretto, vitale approccio» p. 8), e se per ciò che pertiene alla metrica in un testo in prosa il problema solitamente non si pone, possiamo dire qualcosa in relazione alla trasposizione dello stile. In più di un caso, infatti, l’impressione che si ricava è che De Robertis abbia cercato di riprodurre l’intonazione di fondo delle poesie; e questa impressione mi sembra che sia possibile suffragarla con qualche dato. Per esempio, prendendo la canzone Le dolci rime d’amor ch’io solea, il forte impianto raziocinante e argomentativo che la caratterizza è reso ricorrendo a parole tipiche del linguaggio filosofico (essenza, origine, manifestazioni, definizione falsa e difettiva, contraddizione ecc. p. 10-11), a particolari strutture di impronta sillogistica («Per di più, si pretende che nobile discenda da nobile, e che un uomo di vil condizione resti tale; e qui c’è contraddizione, introducendosi la nozione di tempo (cioè di durata). Per cui, a stare a costoro, o si è tutti gentili, di generazione in generazione, o tutti villani, e l’umanità non risalirebbe ad un unico progenitore: che è contro la nostra fede» p. 11), e a connettivi e demarcativi testuali quali allora, per cui, per di più, per esempio. E lo stesso si può dire per un’altra canzone di tono filosofico-morale, Poscia ch’Amor del tutto m’ha lasciato (la numero 11): De Robertis anche qui si vale di sillogismi («Se il mio ragionamento è corretto, la leggiadria o è virtù, o è in relazione con essa» p. 15) e in maniera massiccia dei connettivi e demarcativi già citati. Oppure, cambiando del tutto tono, nella tenzone con Forese, al fine di rendere il registro basso e immediato dei componimenti, si possono trovare nel testo di De Robertis strutture che mimano il parlato come la frase con dislocazione a sinistra: «Te, più ti menano, e più stringi amicizia» (p. 39).

Concludendo, e ritornando, in ultima analisi, alla domanda di fondo, lo scopo dell’Autore è quindi quello di mimare e rendere l’essenza e la personalità delle rime dantesche, senza con questo rinunciare a ribadire le proprie posizioni interpretative e filologiche, imprimendo così ai testi la sua particolare soggettività.

Per approfondire

Dante Alighieri, Rime, a cura di C. Giunta, in Dante Alighieri, Opere, Ediz. diretta da M. Santagata, Vol. I, Milano, Mondadori 2011 (seconda ed. rivista: Dante Alighieri, Rime, edizione commentata a cura di C. Giunta, Milano, Mondadori 2014).

Dante Alighieri, Vita nuova, Rime, to. I. Vita nuova; Le Rime della ‘Vita nuova’ e altre Rime del tempo della ‘Vita nuova’, A cura di D. Pirovano e M. Grimaldi; to. II. Rime della maturità e dell’esilio, A cura di M.G., Roma, Salerno Editrice, 2015-2019.

Marco Berisso, Il Dante di De Robertis e il “Libro delle canzoni”, in E. Ferrarini, P. Pellegrini, S. Pregnolato (a cura di), Dante a Verona 2015-2021, Ravenna, Longo Editore 2018, pp. 247-66.

Marco Grimaldi, Leggere le rime di Dante oggi, in «L’Alighieri», 56 (2020), 2, pp.91-102.

Immagine: La pala di Domenico De Robertis (Intinto) all'Accademia della Crusca

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