Certo sarebbe un peccato se gli studenti britannici, dopo la Brexit, restassero, proprio loro, esclusi dagli scambi Erasmus: peccato anche perché è in Inghilterra che, sotto Elisabetta I, si avvia quella tradizione del viaggio culturale che nei secoli seguenti sarebbe diventata universalmente nota come Grand Tour.
Inglese italianato, diavolo incarnato!
È peraltro ben vero che fin da quei tempi già ci fosse chi metteva in dubbio la necessità di questi viaggi, sottolineandone talora l’inutilità (il giovane che ritorna dall’estero è più vanesio, privo di principi, dissipato e incapace di applicarsi allo studio o al lavoro, di quanto si sarebbe dimostrato se in quel medesimo lasso di tempo fosse rimasto a casa, considerava uno scettico Adam Smith) e talora la pericolosità (inglese italianato, diavolo incarnato!, era un modo di dire pare messo in giro da Lord Burghley).
Ma a parte questi borbottamenti, fin dal XVII secolo si riconosce generalmente il valore formativo e esperienziale del viaggio (Solo colui che ha compiuto il Grand Tour della Francia e il viaggio in Italia è in grado di comprendere Cesare e Tito Livio, sentenziava Richard Lassels alla fine del Seicento). E se qualche viaggiatore arriva a italianizzarsi così tanto da diventare Vanvitelli pur chiamandosi Van Wittel o Gianbologna pur chiamandosi Jean de Boulogne, questo significa che qualche volta il viaggio in Italia poteva trasformarsi perfino in una sorta di emigrazione intellettuale.
Palladio
Sebbene in quei secoli non si parlasse certo di “marchio-Italia” (o peggio di brand), non si può tuttavia negare che è proprio grazie a queste frequentazioni degli stranieri nel nostro Paese che il nostro export di immagine (tanto per restare in un orrendo lessico contemporaneo) ha avuto un forte balzo in avanti: il 6 dicembre del 2010 il Congresso degli Stati Uniti ha per esempio adottato una risoluzione che riconosce in Palladio il padre dell’architettura americana. Come non essere d’accordo dopo aver visto la Casa Bianca? La Risoluzione 259 definisce i “Quattro Libri dell'Architettura”, il trattato che Palladio pubblicò nel 1570, come la più importante pubblicazione in materia d’ogni tempo. Ma naturalmente, per ispirarsi a Palladio, qualcuno avrà pur dovuto vedere dal vivo qualche villa veneta oltre che accontentarsi di guardare le incisioni.
Si dice che il Grand Tour sia andato in crisi con la nascita delle agenzie di viaggio, quella di Thomas Cook in testa: sarebbero state loro a trasformare il viaggio iniziatico per imparare la grammatica del gusto (oltre che quella della lingua) in ciò che diventerà poi il turismo di massa. E probabilmente è difficile contestare questa affermazione. Sennonché per l’Italia forse il discorso potrebbe assumere qualche sfumatura diversa.
Chiunque abbia esperienza di scuole d’Italiano in Italia sa che gran parte del pubblico adulto che frequenta corsi di lingua e cultura ha parecchi punti di contatto (mutatis mutandis) con quelli che erano i viaggiatori del Grand Tour e non solo per il comune entusiasmo di camminare sulla storia e di poter vedere dal vivo le radici della nostra cultura. Qualche esempio più pratico?
Granturisti di oggi e di ieri
Sono in molti, fra gli iscritti alle scuole d’italiano, quelli che scelgono di alloggiare “in famiglia”: ovvio, i corsi di lingua hanno sempre una certa durata e magari per alcune persone una camera in albergo per tutto il periodo sarebbe troppo costosa. Ma spesso la scelta è determinata proprio dal desiderio di integrarsi più profondamente nella realtà culturale del posto e in parecchi vorrebbero poter dire come il poeta e drammaturgo russo Vjačeslav Ivanov (1866-1949) di aver vissuto a lungo con un’umile famiglia italiana… cosicché dopo un po’ ci siamo sentiti in un certo senso come dei romani. E del resto il più noto Goethe nel suo Viaggio in Italia andava oltre, affermando io considero un mio secondo compleanno, una vera rinascita, il giorno che sono arrivato a Roma.
Certo giudizi (e pregiudizi!) comuni fra i granturisti di oggi non erano peraltro assenti nemmeno nei granturisti di ieri: se oggi qualche studente si preoccupa quando viaggia verso il sud (non incontrerò mica i personaggi di Gomorra sul Frecciarossa per Napoli?), Georg Cristoph Martini già nel Settecento affermava che i sicari che flagellarono Cristo dovevano essere del Napoletano o delle Calabrie. Quello è un paradiso abitato da diavoli! Con che non intendo toccare le persone onorevoli, ma la plebe è senza dubbio materia propria per far l’unguento da cancheri!.
D’altra parte proprio nelle classi di lingua e cultura delle scuole d’italiano capita pure che molti iscritti debbano ravvedersi su immagini e stereotipi che spesso circondano l’idea di Italia per antica tradizione: non di rado, magari durante le lezioni con una giovane e vivace insegnante, scoprono infatti non solo che la famiglia-tipo italiana non è più caratterizzata da una nidiata di ragazzini, ma anche che il comportamento della donna italiana non è più esattamente quello che tanta cinematografia, ancora negli anni Sessanta del Novecento, diffondeva all'estero. E questo fa pensare a quel Tobias Smollett che già nella seconda metà del Settecento affermava che gl’italiani, un tempo accusati di gelosia, sono caduti nell’eccesso opposto e le donne italiane sono le più boriose, insolenti, capricciose e vendicative femmine della terra.
A chi poi non è capitato di vedere in una scuola d’italiano qualche straniero che prima di iscriversi non si sia accertato del numero di presenze di connazionali nella scuola stessa? “Vengo qui per conoscere italiani e stranieri di tutte le nazionalità: non voglio mica frequentare i miei connazionali!” dicono mettendo in crisi tante segreterie scolastiche che non hanno nessuna colpa se in ogni nazione ci sono ferie comuni per tutti, per cui gli universitari tedeschi arrivano tutti insieme a marzo, i viaggiatori francesi a ottobre o novembre e i russi a maggio.
Ma anche questo “parlar male” dei connazionali non è costumanza recente se perfino Gogol’ nella prima metà dell’Ottocento diceva: cosa fanno qui i pittori russi si sa: tra le 12 e le 2 al ristorante Lepre, poi al caffè Greco, poi al Pincio, poi al Bon Goût, poi di nuovo al Lepre e alla fine al biliardo. Dei perdigiorno insomma, questi russi! Vero è che Gogol’ aveva qualche motivo di rancore personale verso i pittori che potevano contare su finanziamenti statali: fossi un pittore, anche pessimo, vivrei agiatamente: qui a Roma ci sono una quindicina di nostri pittori inviati dall’Accademia, alcuni dei quali dipingono peggio di me, e ricevono tutti tremila rubli l’anno. Si sa… i borsisti non stanno simpatici a chi paga il prezzo pieno.
Il contatto con la lingua italiana
Del rapporto dei granturisti del passato con la lingua italiana molto è stato scritto da Serianni (1997).
Scopriamo così qualche scenetta che sembra essere stata ripresa tale e quale dagli scritti dei viaggiatori del Grand Tour per essere riutilizzata in film moderni come Benvenuti al Sud (Luca Miniero, 2016) dove però al viaggiatore straniero si sostituisce un “viaggiatore milanese”: ospite presso una famiglia di “indigeni” lo straniero sente i padroni di casa che parlano di “ammazzarlo” e questo, se da un lato ci sollecita a complimentarci con lui per la buona conoscenza dell’italiano o addirittura del dialetto, non gli garantisce tuttavia di passare una notte serena. Fino a scoprire il giorno dopo che la vittima dell’omicidio sarebbe stato solo un pollo da mettere a tavola per il pranzo.
Altrettanto divertente l’asserzione di Gaudy che, senza bisogno di consultare dizionari di frequenza d’uso e repertori lessicali, dice a proposito dell’interiezione “eh”: “Ahe”, più spesso uno mette nella conversazione questa parola, più si mostrerà agli abitanti ben addentro a tutte le finezze della lingua. Se poi aggiungerà la parolina “dunque” si potrà spacciare per un compaesano! (E anche qui abbiamo una citazione piuttosto fedele nel film comico Quo Vado, Checco Zalone 2016).
Non c’è dubbio ovviamente che il modo di viaggiare e di fare turismo nell’ultimo secolo sia cambiato: non a caso si parla di “turismo di massa” e di “turismo di qualità”. Tuttavia, almeno per quei centomila che frequentano i corsi di italiano per stranieri nelle scuole d’italiano si direbbe che sia servito, e non poco, l’ammonimento (o forse la profezia) di John Ruskin che, a fine Ottocento, tra una nuova ferrovia e una nuova galleria nelle Alpi, considerava: gli uomini non hanno visto granché del mondo quando andavano lenti, figuriamoci se vedranno di più andando veloci!
Testi citati
Adam Smith, cit. in G. Gianturco, Breve riflessioni sul viaggio di istruzione oggi: il “Progetto Erasmus”, in M.I. Macioti, Studenti di sociologia a Parigi. Un’esperienza Erasmus, La Sapienza University Press, Roma 1997, pp. 7-12.
Franz von Gaudy, Quadretti italiani [trad. ital.], a cura di G. R., Lanciano, Carabba 1916, in Serianni 1997.
Giulia Grassi, Sole, mandolino e maccheroni in Matdid
Giulia Grassi, Gli italianati, in Matdid
Johann Wolfgang von Goethe, Italienische Reise (Band 1), 1816, 3 dicembre: «Auch die römischen Altertümer fangen mich an zu freuen. Geschichte, Inschriften, Münzen, von denen ich sonst nichts wissen mochte, alles drängt sich heran. Wie mir's in der Naturgeschichte erging, geht es auch hier, denn an diesen Ort knüpft sich die ganze Geschichte der Welt an, und ich zähle einen zweiten Geburtstag, eine wahre Wiedergeburt, von dem Tage, da ich Rom betrat».
Vjačeslav Ivanov, Lettera autobiografica 1917, cit. in Russi in Italia
Richard Lassels, The voyage of Italy, a complete journey through Italy, cit. in André Vauchez, Emozioni e impressioni di un viaggio in Italia oggi, in Treccani.it, Libro dell’anno (2011)
Serianni 1997 = Luca Serianni, Percezione di lingua e dialetto nei viaggiatori in Italia tra Sette e Ottocento, in Italianistica: Rivista di letteratura italiana, vol. 26 n. 3 (settembre-dicembre, 1997), pp. 471-490.
Tobias Smollet, traduz. ital. dei Travels in France and Italy (1766), in Serianni 1997, nota 43, p. 477.
Immagine: Pittori e letterati danesi in un'osteria (La Gensola) di Roma
Crediti immagine: Ditlev Blunck, Public domain, via Wikimedia Commons