Una delle tracce per la prova scritta di italiano dell’ultimo esame di maturità ha riportato alla nostra memoria “la via ferrata che lontano brilla” di Giovanni Pascoli, immersa in un paesaggio campestre: a dire la modernità che esce dal solco, la promessa di un altrove che segue il tracciato dei binari, il desiderio di andare che irrompe in un presente immoto. Al centro di questo Speciale estivo – curato da Cristiana De Santis con l’amichevole collaborazione di Claudia Cichetti – abbiamo voluto mettere il treno: mezzo per spostamenti più o meno eccezionali, che entra nella lingua quotidiana e nella comunicazione pubblicitaria e aziendale in cui siamo immersi, e insieme simbolo persistente che attraversa l’immaginario letterario, filmico, delle canzoni d’autore. Il filo che lega i sei contributi qui raccolti è l’esperienza del viaggio – la “trenità”, per riprendere una felice creazione di Giuseppe Antonelli. Un’esperienza fisica, di movimento oscillante che può fondersi con il pensiero rendendolo mobile, “pendolare”, come ci illustra la filosofa Francesca Rigotti, che nel suo contributo porta alla nostra attenzione i simboli, le metafore quotidiane, i modi di dire associati a quei “vagoni rotanti lanciati su binari” in un percorso ordinato eppure aperto alle possibilità. Il viaggio in treno è anche esperienza mutevole del paesaggio: un paesaggio reale, fatto di stazioni e interni di vetture, prospettive in fuga dai finestrini, e insieme un paesaggio umano, fatto di viaggiatori ciarlieri, assorti o assopiti. Ci aiuta a leggerne i cambiamenti Gino Ruozzi, raccontandoci i suoi movimenti di osservatore pendolare, tra le pagine della letteratura italiana e le sale d’attesa lungo i binari, inseguendo un costante “investimento di sogni”. L’esperienza di lettore della modernità propria di Giuseppe Lupo ci porta dentro il romanzo novecentesco (riconnettendosi così al fondativo studio Treni di carta di Remo Ceserani): Elio Vittorini sceglie il treno “come contenitore adatto a raccontare le trasformazioni avvenute nell’Italia della ricostruzione e del miracolo economico”. Ma si tratta di un’eccezione a quel “peccato d’omissione” della narrativa contemporanea, che tende a tacere il nomadismo operaio, affidandone il racconto a film e canzoni. La canzone italiana conserva invece la memoria dell’emigrazione interna e della lotta sociale, come mostra Lorenzo Coveri, accompagnandoci dal repertorio popolare degli anni Trenta alle nuove band della scena musicale italiana. Attraverso le canzonette si costruisce poi una ricca trama di immagini destinate a raccontare il treno “come non luogo di incontri, di sogni, di voglia di avventura e di evasione” – il “treno dei desideri” cantato da Adriano Celentano, in “Azzurro”. Più frustrante l’esperienza della linguista o del linguista che presti attenzione alle parole del treno: Rosa Pugliese si concentra sugli aspetti pragmatici della comunicazione aziendale di Trenitalia con il viaggiatore-utente, oscillante “tra l’esigenza di una oggettività delle informazioni e l’adozione di strategie autopromozionali, tra una distanza comunicativa e una comunicazione più partecipata”. Michele Cortelazzo ci guida tra le “parole oscure”, volutamente elusive e spesso irritanti, che ricorrono negli annunci diffusi sui treni o nelle stazioni. Dieci lemmi raccolti negli ultimi dieci anni di viaggi, costellati di “inconvenienti” vari, “ostruzioni” e “inibizioni” che aumentano i tempi di percorrenza, obbligandoci a cambiare i nostri programmi, facendoci accumulare indicibili “ritardi”.