Oggi non soltanto la sensibilità comune, ma anche i linguisti percepiscono quanto il flusso di anglicismi che si riversa nella lingua italiana sia diventato imponente e, a giudizio di alcuni, preoccupante. Al contrario, come scrive Claudio Giovanardi introducendo questo speciale, «[q]uando, ormai sedici anni fa, con l’amico Riccardo Gualdo scrivemmo Inglese – Italiano 1 a 1. Tradurre o non tradurre le parole inglesi? le reazioni degli addetti ai lavori oscillarono dalla curiosità divertita al fastidio per un’operazione giudicata di stampo neopurista. Ci fu chi, a proposito delle nostre proposte di traduzione dei 200 anglicismi vagliati in quell’occasione, scrisse che o si è Migliorini, oppure sarebbe meglio rinunciare a fare gli onomaturghi». Dall’iniziale taccia di allarmismo, si è passati a un’attenzione sempre più vigile verso proposte di sostituzione degli anglicismi con adeguati traducenti italiani. Nel 2015 nasce, in seno all’Accademia della Crusca, il gruppo Incipit, qui raccontato da uno dei suoi animatori, Michele A. Cortelazzo, che si occupa «dell’introduzione dei neologismi in fase incipiente; il pubblico di riferimento, ai quali Incipit indirizza i suoi suggerimenti, è quello degli operatori della comunicazione e dei politici», mostrando loro che esistano equivalenti italiani agli anglicismi accolti in modo inerziale. Antonio Zoppetti, lessicografo impegnato attivamente per conto suo e insieme con altri in questo lavoro di elaborazione di sostituti possibili, sottolinea la necessità di chiedersi «come l’italiano si stia evolvendo, il rischio è che non lo sappia più fare con le proprie risorse». E mentre Francesca Rosati nota come i primi responsabili della deriva anglicizzante siano proprio i politici che a colpi di flat tax e navigator rendono più oscuro il loro messaggio e “imbastardiscono” tanto l’italiano quanto l’inglese, Francesca Vaccarelli, dopo aver riassunto le iniziative istituzionali che, in Italia, a partire dagli inizi degli anni Novanta, hanno propugnato la semplificazione della lingua degli atti amministrativi, passa in rassegna le analoghe politiche nei principali Paesi anglofoni, mostrando come questi ultimi siano molto più avanti di noi sulla strada della trasparenza e della tutela e promozione della lingua nazionale. Dunque, sedici anni dopo, Inglese - Italiano 2 a 1? O addirittura 2 a 0, come titola Giovanardi il suo intervento?