Fatta eccezione per brani come di Gigliola Cinquetti – che arrivò secondo all'Eurovision Song Contest del 1974 e subì financo una momentanea censura televisiva per non influenzare l’esito del concomitante referendum sul divorzio –, non sono molte le canzoni in lingua italiana dedicate all’avverbio olofrastico positivo che la qualifica fin dai tempi di Dante (Inf. XXXIII 80: «del bel paese là dove ’l sì suona»). Molte di più, almeno a quanto suggerisce Francesco Merlo (2017), quelle riservate al no.

È tutto scandito da una lunga sequela di no, ad esempio, E se ci diranno di Luigi Tenco, scritta lo stesso anno della Guerra di Piero (vd. Della Corte in questo stesso speciale) e uscita nel 1967 come lato B del più celebre singolo Ciao amore, ciao, nato anch’esso da un intento antimilitarista. Un no di rifiuto, ripetuto da un coro di giovani voci in tonalità maggiore, che è anzitutto un no alla guerra:

E se ci diranno

Che è un destino della terra

Selezionare i migliori

Attraverso la guerra

Noi che ormai sappiamo bene che i più forti

Sono sempre stati i primi a finir morti

Noi risponderemo

(no no no…)

Attraverso il coro di risposta (indicato tra parentesi) e l’uso costante della quarta persona, E se ci diranno riuscirà a incarnare la voce ruggente di tutta una generazione, andandosi ad inserire tra quelle canzoni catalogate dalle riviste di settore come «linea gialla», cioè canzoni di malcontento e di protesta, ben distinte da quelle della cosiddetta «linea verde», venate, piuttosto, di speranza nel futuro.

La stessa volontà di «rottura» (Coveri 2003: 48) si manifesta anche a livello formale, attraverso quella che è stata definita una vera e propria operazione di «secessione linguistica» rispetto al linguaggio degli adulti (Tomatis 2019: 338), percepito come espressione falsamente armonica di un mondo cinico e guerrafondaio cui l’idioletto tenchiano oppone scelte volutamente “stonate”. Analizziamone brevemente alcune.

Un lessico senza poetismi

Essenziale nella costruzione testuale e scevro di orpelli retorici, il testo di Tenco elenca imposizioni e soprusi di una società razzista e bellicista tramite l’anafora E se ci diranno, che dà il nome al brano: «E se ci diranno / che per rifare il mondo / c'è un mucchio di gente / da mandare a fondo / noi che abbiamo troppe volte visto ammazzare / per poi dire troppo tardi che è stato un errore / noi risponderemo
/ (no no no…)». Il lessico è realistico (mucchio, ammazzare), con ricorso a espressioni come mandare a fondo che compaiono anche in altre canzoni sulla guerra del suo repertorio, come la Ballata di un marinaio: «Un marinaio in mezzo al mare / con un nemico da mandare a fondo / gli han detto che il nemico è uno strano essere / che non ha cuore, che non sa sognare». Ad accomunare i due brani è una lingua dimessa, quotidiana, “popolare” – aggettivo molto caro al cantautore –, con una sintassi che pare riprodurre alcune movenze tipiche dell’oralità: nel primo caso citato nel paragrafo, si può osservare ad esempio la ridondanza del pronome soggetto noi, che si propaga per tutto il testo («E se ci diranno […] noi che abbiamo troppe volte visto ammazzare […] noi risponderemo»); nel secondo si registra invece la cosiddetta dislocazione senza segnacaso (cfr. Faloppa 2010), tratto recentemente passato all’italiano substandard («Un marinaio in mezzo al mare […] gli han detto che il nemico è uno strano essere»). Caratteri in linea con quanto recentemente rilevato da Veronica Ricotta sul beat coevo («un italiano medio e con tendenze colloquiali»: vd. Ricotta in Bibliografia), ma linguisticamente distanti da altre zone della produzione del cantautore, dove convivono invece «versi di consunta usualità sanremese» e «similitudini inconsuete, che rinnovano un’immagine tradizionale (“La solita strada / bianca come il sale…e poi mille strade / grigie come il fumo”)» (Borgna-Serianni 1994: VII).

Lingua folk, musica folk

A scelte linguistiche di carattere informale e colloquiale – che concorrono a un «risoluto abbassamento del livello linguistico» rispetto al passato (Coveri 2003: 43) – corrispondono soluzioni musicali folk tipiche della svolta degli anni 1964-1965: «alcune delle canzoni più esemplificative degli anni alla Ricordi (ad esempio Quando o Mi sono innamorato di te) sono costruite al pianoforte, su schemi accordali di ispirazione jazzistica […]. Brani del periodo Rca come Io sono uno, E se ci diranno, Ognuno è libero […] sono evidentemente composti alla chitarra, su loop di accordi tipici del coevo gusto folk. […] È un cambiamento senza dubbio consapevole» (Tomatis 2019: 339).

Un esempio di ricaduta linguistica: se nella citata Quando (1960) il linguaggio è ancora quello della canzonetta, «con le sue brave apocopi» e i suoi «gessosi passati remoti» (Fiori 2013), in E se ci diranno le apocopi si ridurranno a tre (abbiam finito, gran traditore, finir morti) e il perfetto scomparirà del tutto a vantaggio del passato prossimo (noi che non abbiamo finito ancora di contare, noi che abbiamo visto gente con la pelle chiara, ecc.); tuttavia, in entrambi i brani i tempi logico-esistenziali del cantautore sono il «rimpianto del passato e l’attesa del futuro, e mai, quasi mai, il presente» (Jachia 1998: 50). Si segnala inoltre la presenza in E se ci diranno di suffissati in -ismo come fanatismo («quelli che il fanatismo ha fatto eliminare»), un europeismo – come lo avrebbe definito Leopardi (cfr. Zibaldone 1216-1217) – attestato a partire da Giambattista Vico (GDLI). Una di quelle parole troppo lunghe rispetto al verso musicale, così da «piegare la melodia a ritmi inconsueti» (Marini 2007); trasgressione che è anche musicale, non solo linguistica (Coveri 2003: 47).

Una lingua «vera»

Si è detto all’inizio della generale prevalenza del no sul nel nostro repertorio musicale. Va tuttavia precisato che i non mancano neppure nella produzione tenchiana – si pensi ad esempio al brano Io sì, che fu censurato dalla RAI («Io sì t’avrei fatta arrossire…Io sì da te avrei voluto…») – ma si concentrano nelle canzoni del cosiddetto primo filone, quello amoroso, seppure strettamente intrecciato col secondo, marcatamente politico, cui E se ci diranno appartiene. Al d’amore, quasi sussurrato, segue uno stentoreo no alla guerra, un coro di no che sembra accogliere l’eredità degli inni operai (che suonano “rispondiamo no” «senza tanto andare per il sottile»: Marini 2007); costante è però nel cantautore la ricerca di autenticità sul piano della lingua – una lingua reale, parlata (Cortelazzo 2000: 28) – e forte, fin dalle prime prove, è la «coscienza dell’operazione culturale e linguistica» (Coveri 2003: 44), nella consapevolezza che, come dichiarò Tenco stesso in un’intervista del 1966, «le parole, soltanto le parole bastano per fare una canzone vera».

Bibliografia

M. A. Cortelazzo, La lingua della canzone d’autore nella storia dell’italiano contemporaneo, in Tradurre la canzone d'autore, Atti del Convegno, Milano, Università Bocconi (29 settembre 1997), a cura di Giuliana Garzone, Leandro Schena, Bologna, CLUEB, 2000, pp. 21-34.

L. Coveri, La lingua di Luigi Tenco, in A Luigi Tenco. 35 anni da quel Sanremo, a cura di Mario Dentone e Nedo Gonzales, Foggia, Bastogi, 2003, pp. 41-50.

F. Faloppa, dislocazioni, in Enciclopedia dell'Italiano, dir. da Raffaele Simone (<https://www.treccani.it/enciclopedia/dislocazioni_(Enciclopedia-dell'Italiano)>), 2010.

U. Fiori, Il linguaggio. Tenco e la seconda persona, in Il mio posto nel mondo, a cura di Enrico De Angelis, Enrico Deregibus, Sergio Secondiano Sacchi, Milano, Bur, 2007 [ed. digitale].

GDLI, Grande dizionario della lingua italiana, I-XXI, fondato da Salvatore Battaglia, Torino, UTET, 1961-2002.

G. Marini, Imparare a sentire Tenco, in Il mio posto, cit.

F. Merlo, Sillabario dei malintesi. Storia sentimentale d’Italia in poche parole, Venezia, Marsilio, 2017.

G. Borgna, L. Serianni (a cura di), La lingua cantata. L’italiano nella canzone dagli anni Trenta ad oggi, Roma, Garamond 1994.

P. Jachia, La canzone d’autore italiana 1958-1997. Avventure della parola cantata, Milano Feltrinelli, 1998.

V. Ricotta, Beat, Beat… Hurrà! Traduzioni italiane delle canzoni inglesi degli anni Sessanta: un’alta infedeltà, <https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/scritto_e_parlato/Beat.html>

J. Tomatis, Storia culturale della canzone italiana, Milano, Il Saggiatore, 2019.

Immagine: Luigi Tenco al Festival di Sanremo 1967, via Wikimedia Commons

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