24 dicembre 2018

Il “disputator cortese” e il “navigator cortese”. Galateo della replica in rete (e altrove)

Persino per i duelli c’erano un galateo e delle regole.

Ci può essere un galateo per litigare e discutere come c’è un galateo del bon ton, anche nel libero teatro dei social media, dove si moltiplicano le occasioni di duelli verbali e dove finezza di argomenti e di condotta sembrano fuorilegge?

Lo schema di gioco delle polemiche in rete è solitamente: contrapposizione, semplificazione, rissa, insulti, veleni. E il finale sempre identico: Impulsività 2 - Ragionevolezza 0. È possibile invertire il risultato della partita?

Si può discutere senza litigare, come auspicano Bruno Mastroianni e Vera Gheno nei loro recenti libri? Ci può essere una “disputa felice”? Possiamo tenerci “connessi” e “accesi” anche con la mente? Si può reagire con compostezza ad offese e provocazioni?

Una discussione può assumere la forma del duello o del duetto.

Il duello: Urla e sibili, battaglie e guerra, fragore di armi verbali, veleni: “Che gli dei della rabbia siano con voi!”

Il duetto: “Sediamoci e discutiamo”. Parliamo, argomentiamo, discutiamo, replichiamo. Utopistico è ipotizzare che si reagisca sempre con compostezza. Temerario sarebbe pretendere il nobile e inarrivabile distacco di Michele de Montaigne, per cui chi lo contraddiceva suscitava la sua attenzione, anziché la sua irritazione. Improponibile l’esempio di Socrate che si diceva felice se qualcuno cercava di confutarlo.

Possiamo però dimenticare la metafora invalsa “la discussione è una guerra” e pensarla come un incontro sportivo: non un incontro di pugilato, ma di ping pong. E recuperare alcune regolette: magari non le norme della meticolosa disputa medioevale, ma almeno le usanze di corte, valide fin dai tempi di Shakespeare: «Signore, noi litighiamo a regola di codice, come voi avete il codice delle buone maniere» (Come vi piace, V, 4, 75 sgg.). Questo diceva Touchstone - Paragone, il buffone di corte dalla lingua sciolta. Il galateo della contesa comprendeva la Replica cortese, il Sarcasmo discreto, la Risposta villana, la Ferma riprovazione, la Ritorsione provocatoria, la Smentita condizionale e la Smentita formale.

Se il dibattito è un ping pong, le ribattute possono essere palle forti o piane, corte o lunghe, semplici o ad effetto, di attacco o di difesa, telefonate o schiacciate. Così nel botta e risposta, si può scegliere di compiere una di molte mosse che vanno dalla risposta garbata e alla botta provocatoria, dalla battuta divertita e alla confutazione gagliarda.

In una situazione di scontro si è d’istinto portati a reagire attaccando frontalmente e creando un fuoco di sbarramento contro l’avversario. La tendenza è quella di ribattere colpo su colpo: se l’avversario afferma qualcosa ci si sente in obbligo di negarla e di sostenere il contrario.

Molto spesso invece la mossa più saggia e comunque quella che va tentata per prima – benché meno spontanea e più riflessa – è chiedersi se non si possa sfruttare a proprio vantaggio ciò che sostiene l’avversario. Chi ha pratica di queste cose suggerisce come parole d’ordine, assimilare, riconvertire, piegare ai propri fini, finché sia possibile.

Solo in seconda istanza, qualora non risulti possibile utilizzare strategicamente il dato o la prova offerti dall’interlocutore, si cercherà di demolire l’argomento avverso.

Di fronte ad una posizione che si ritiene inaccettabile si possono compiere, nell’ordine, le seguenti mosse.

1. Ignorarla

2. Accettare le premesse per respingere le conclusioni

3. Accettarla solo in parte

4. Metterla in dubbio e chiederne ragioni o prove

5. Rifiutarla o confutarla

6. Attaccare chi la sostiene.

 

Vediamo in dettaglio ciascuna di queste sei possibilità/mosse, illustrandole con qualche esempio.

 

1. Ignorare. Non sempre vale la pena di replicare e non tutto ciò che la controparte afferma merita comunque una risposta. Non vale la pena replicare se la questione è del tutto marginale; non conviene farlo se la questione è troppo compromettente. Se si riesce a sorvolare, bene. Altrimenti si può ricorrere alla tattica dello spostamento del problema. Le formule tipiche sono:

«Non si tratta di… ma di…», «Il punto è un altro.», «Non è la nostra priorità..» Di questi ultimi tempi: «Non rientra nell’accordo di governo…»

Con questa mossa si ottengono due vantaggi: si cambia l’oggetto del contendere e si fa apparire l’avversario inadeguato e incapace ad afferrare il «vero punto della questione».

 

2. Accettare le premesse per ricavarne conclusione diverse od opposte; ovvero cedere per vincere.

La regola del trasformare gli argomenti dell’altro in propri argomenti, utilizzare le premesse dell’antagonista per costruire il proprio discorso è l’equivalente discorsivo della tecnica, insegnata nelle arti marziali, in particolare nel judo e  nell’aikido, consistente nel far sbilanciare l’avversario, in modo che rotoli a terra per la sua stessa foga anziché per un intervento attivo dell’aggredito.

 

“Per evitare le sanzioni europee per eccessivo indebitamento dovremmo attuare manovre così restrittive che provocherebbero ulteriore indebitamento.”

 

La tecnica che consiste nell’abbracciare (i principi dell’avversario) per respingere (le conclusioni). Altri esempi di aikido discorsivo, con cui si sfrutta la forza dell’avversario:

 

Botta: «Se son rose fioriranno»

Risposta: «Se son rose pungeranno (o, a piacere, appassiranno)»

 

Botta: «Raccogli ciò che semini»

Risposta: «Raccogli ciò che coltivi bene, dopo averlo seminato»

 

Botta:«Bisogna guardare alle cose belle della vita»

Risposta: «Bisogna guardarsi dalle persone cattive della vita»

 

3. Adottare adattando. Se non si può o non si vuole contestare un punto, lo si ammetta, incorporando o ridimensionando però il tutto. L’operazione si può realizzare in due modi.

 

Botta: «Bisogna liberalizzare il commercio»

Risposta mediante integrazione: «Liberalizzazione del commercio sì, ma in un quadro più ampio di riforme.»

Risposta mediante minimizzazione: «Liberalizzazione sì, ma solo per gli esercizi superiori ai duecento metri quadri.»

 

4. Chiedere ragioni o prove. La ragion d’essere di una discussione è precisamente la possibilità e il diritto di esprimere il dubbio su tutto, perché niente è «fuori discussione». Il dubbio non deve paralizzare, ma stimolare a considerare possibilità diverse. Per revocare in dubbio una tesi avversa basta dichiararla non certa e le ragioni invocate non credibili. Si chieda una ragione, o almeno un motivo o una causa di quanto si afferma. Tutte e tre costituiscono una risposta alla domanda “perché”, ma ragione è un “perché” che giustifica ed è condivisibile con molti, motivo è un “perché” che spinge e può essere tale solo per me, causa è un “perché” che determina oggettivamente.

 

Ragione: «Si deve fare perché lo ritengo giusto». È una spiegazione e una giustificazione che può essere messa in discussione dagli altri e valutata criticamente.

Motivo: «Sono juventino fin da piccolo perché in casa tutti erano juventini». La risposta vale solo per me: uno potrebbe non essere juventino, per spirito antagonistico, proprio perché cresciuto in una famiglia di tifosi juventini.

Causa: «Fa freddo perché è inverno». L’abbassamento della temperatura è dovuta alla stagione; e stagione e temperatura sono cause verificabili.

 

Dal punto di vista tattico questa mossa svolge anche una funzione dilatoria e provocatoria, serve cioè a guadagnare tempo e a far scoprire l’avversario: anziché mettere l’interlocutore alle corde lo si lascia giocare e si interpella o si finge di interpellarlo.

 

5. Rifiutare o confutare. Se gli argomenti dell’avversario non sono trascurabili, se non si è riusciti a trasformarli in argomenti a proprio favore, se non si possono concedere neanche provvisoriamente, allora, oltre che osteggiarli blandamente, come nel caso precedente, arriva l’attacco della sua tesi.

Un argomento può essere respinto mettendone in discussione almeno uno di questi cinque aspetti: la validità formale-inferenziale, la chiarezza della formulazione, la pertinenza dei dati, la completezza dei dati, la verità delle premesse. Una tesi può essere respinta quindi perché:

1. non valida («Logica ci vuole…»)

2. confusa («Sii più chiaro. L’ambiguità è una grande risorsa per i comici, non per chi discute»).

3. irrilevante («Lasciamo perdere se la tua conclusione sia vera o no; può anche essere vera, ma ciò non prova nulla.»)

4. incompleta («Questo è solo un aspetto della questione che stiamo trattando, ma ve n’è un altro molto importante che tu hai trascurato…»)

5. infondata («Non basta che tu abbia ragione. Devi rendere ragione»).

 

6. Attaccare l’avversario. È una mossa scorretta, sconsigliata e controproducente agli occhi di un uditorio neutro e imparziale. Si colpisce l’avversario anziché la palla. Il comportamento sarebbe sanzionato da un arbitro con un cartellino giallo da ammonizione od un cartellino rosso da espulsione. Ma va presa in considerazione perché l’attacco alla persona è quanto mai frequente, soprattutto da parte di chi ha esaurito gli argomenti oppure vuole che l’avversario si scomponga e si alteri. E soprattutto va considerata per prepararsi a reagire prontamente quando qualcuno attacca noi, perché, a dispetto della sua deplorevole, censurabile scorrettezza, e benché squalificato dall’arbitro, chi ingiuria può fare qualche danno investendoci. Come rispondergli?

 

«Vuoi parlare di me o delle mie idee?»

 

«Stiamo discutendo di noi o delle nostre tesi?»

 

«Perché mi rinfacci comportamenti e ignori le opinioni?».

 

«Puntiamo la palla o gli stinchi dell’avversario?»

 

«Ci fosse un arbitro, saresti espulso!»

 

«Rivendico il diritto di essere giudicato per quello che penso e dico e non per quello che ho fatto».

 

«Accontentati di segnalare lo sbaglio. Perdona chi ha sbagliato. Lascia ai giudici perseguire corrotti e corruzione insieme.»

 

Riposta logical-chic: «Ricordi la pipa che non è una pipa? Io non sono Magritte ma non sono nemmeno l’idea che tu hai di me.»

 

In breve: quando una parte avanza un tesi od una proposta non condivisa, istintivamente uno tende ad attaccarla. Ma questa non è né la prima né la migliore delle possibilità; anzi, l’esperienza insegna che un buon polemista ricorre solo come ultima risorsa alla confutazione e all’attacco.

In pillole:

1. Capire quando non rispondere è la risposta migliore.

2. Spiazzare l’interlocutore con riposte inattese.

3. Replicare con arguzia. Una risposta di spirito è la miglior batosta. Rispondere agli insulti senza offesa e con humor dà del rispondente l’immagine di persona dotata di autocontrollo e questo giudizio si riverbera sulle sue opinioni.

Non si rende ragione ricorrendo all’aggressione, nemmeno “solo” verbale, a volgarità, scurrilità, oscenità. Parolacce? Solo eccezionalmente, se si vuole che abbiano l’effetto che vogliamo. Il turpiloquio va sempre ben oltre l’effetto voluto, quando è voluto.

Come rendere le offese socialmente accettabili, anche in tempi in cui il politicamente corretto sta retrocedendo? Alternative più o meno ludiche all’insulto becero, ineducato e volgare sono suggerite da Mauro Della Porta Raffo. Ad esempio, l’insulto colto:

«Lo sa? Lei mi ricorda il principe Myskin», dove il riferimento criptico-letterario è al protagonista di un romanzo di  Dostoevskij. Se il destinatario non lo coglie si conferma un po’ Idiota.

Oppure l’insulto enigmistico: «Lei è un gran sciatore» (da intendersi: munito di sci o sci-munito).

«Sei nativo di Creta o ne hai preso la cittadinanza?»

Altri modi di dire le parolacce in società sono stati proposti da Umberto Eco:

«Taccia, Lei, il cui viso avrebbe potuto essere definito da un noto maresciallo dell'Impero nelle ultime ore della battaglia di Waterloo!».

«Ella ha una scatola cranica che più che alla speculazione sarebbe atta alla riproduzione.»

«La smetta, o segmento fusiforme del prodotto finale di un complesso processo metabolico!»

«La prego, non mi deteriori quelli che l'etimologia latina vuole quali testimoni!»

 

Chi impara l’arte di replicare da judoka non vede l’ora di incontrare un arrogante o un villano per sfoggiare la propria tempra oltre che le proprie ragioni, riversando insolenza e dileggio su di lui e contro di lui: «Io non offendo, amico mio; io rimando al mittente e contraccambio».

 

Testi di riferimento

Adelino Cattani, Botta e risposta. L’arte della replica, Il Mulino, Bologna, 2001.

Adelino Cattani, Come dirlo. Parole giuste, parole belle, Loffredo, Napoli, 2008.

Adelino Cattani, Palestra di botta e risposta. Per una formazione al dibattito, Libreria

Universitaria Edizioni, Padova, 2018.

Mauro Della Porta Raffo, Non sono d’accordo e ti insulto, “Panorama”, 2.11.2006, p. 30.

Mauro Della Porta Raffo,  L’alternativa è un insulto colto, “Panorama”, 8.3.2007, p. 30.

Umberto Eco, La bustina di Minerva, Bompiani, Milano, 2000.

Vera Gheno e Bruno Mastroianni, Tienilo acceso. Posta, commenta, condividi senza spegnere il cervello, Longanesi, Milano, 2018.

Bruno Mastroianni, La Disputa Felice. Dissentire senza litigare, Cesati, Firenze, 2017

 

*Adelino Cattani è professore di Teoria dell’argomentazione nell’Università di Padova, Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata. Ha ideato e conduce dal 2006 una “Palestra di Botta e Risposta” in forma di tornei annuali, di dibattito argomentato e  regolamentato, regionali e nazionali (http://bottaerisposta.fisppa.unipd.it). Ha fondato e presiede l’Associazione per una Cultura e la Promozione del Dibattito – ACPD e dirige la rivista on-line «Eris. Rivista internazionale di argomentazione e dibattito». Autore di: Forme dell’argomentare (1990, 1994), Botta e risposta (2001, 2006; trad. spagnola, Los usos de la retórica, 2003), Come dirlo? (2008, trad. spagnola Expresarse con acierto, 2010, trad. cinese 2017), 50 Discorsi ingannevoli (2011), Dibattito. Doveri e diritti, regole e mosse (2012), Palestra di botta e risposta. Per una formazione al dibattito (2018).


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