di Giuseppe Sergio*

Ci sono pochi dubbi che gli italiani, da Guglielmo Marconi a seguire, abbiano una particolare predisposizione per la radio. Si stima che oggi in Italia le stazioni radiofoniche superino il migliaio e che, dati Istat alla mano, vengano ascoltate regolarmente da più del 60% della popolazione. Che il medium non solo goda di buona salute, ma che stia attraversando una fase espansiva, è dimostrato dalla sua attrattiva come bacino di raccolta pubblicitaria, che ha portato all’ingresso o al rafforzamento nella radiofonia di grandi gruppi editoriali, come L’Espresso, Class e più recentemente Mediaset. Dunque, per la radio, niente di più lontano dall’idea del forgotten medium, della cenerentola messa in un angolo dalla sorella cattiva TV: oggi è cambiata, rispetto al passato, «l’immagine di una radio come un mondo la cui gloria è soprattutto in ciò che è stato, un mondo da celebrare sempre più spesso nei numerosi anniversari, a cui la TV sembra riservare il rispetto che si deve agli anziani e l’onore concesso agli sconfitti» (Simonelli 2012: 144).

Colonizzazione di altri media

L’espansione radiofonica si può cogliere non solo nel grande ritorno di preferenza da parte del pubblico e nella ripresa dell’iniziativa editoriale, ma anche nella sua colonizzazione di altri media. Oltre che grazie alle tradizionali onde elettromagnetiche, la radio si può infatti fruire su web (anche nella portabilità dello smarphone) e su canali televisivi digitali e satellitari: «La radio, si può dire scherzosamente, diventa solo una delle vie per ascoltare la radio» (Cordoni et al. 2006: 63). Facendosi indipendenti dai ripetitori, le radio italiane possono diffondersi in tutto il mondo e le radio del mondo, con le loro lingue, possono arrivare anche in Italia, e non è cosa da poco.

Alcune proiezioni

Quanto al futuro prossimo della lingua della radio, si possono seguire le attuali tendenze del cambiamento e quindi tentare, pur con tutte le cautele riservate ai fenomeni in evoluzione, alcune proiezioni.

Meno musica, più parlato

La prima e più rilevante previsione riguarda il rapporto fra musica e parlato. Quest’ultimo appare destinato a crescere quantitativamente e, soprattutto, ad acquisire un peso specifico sempre più determinante. La radio, italiana e non solo, nasceva come contenitore musicale e la musica o meglio un certo tipo di musica era stata il cavallo di Troia della radiofonia privata: basti ricordare che il primo motto di Radio DeeJay recitava, non a caso, “In poche parole tanta musica”. Oggi però la possibilità di ascoltare, selezionare o scaricare la propria musica preferita in modi alternativi e per lo più gratuiti mette la radio nella condizione di dover puntare anche su altro. Perciò anche nelle radio commerciali il parlato tende e tenderà sempre più a emanciparsi, perdendo o ridimensionando la funzione di cornice rispetto alla musica.

La parola, da Radio 24 a Radio Maria

Pur variando in relazione ai format radiofonici e ai pubblici cui si rivolgono, appare evidente come la quota parlata risulti in progressivo aumento, anche perché particolarmente apprezzata dai radioascoltatori. Lo dimostrano il rapido e crescente successo di Radio 24, emittente News & Talk che fa a meno della musica; la solidità di radio politiche come Radio Popolare e Radio Padania e di radio confessionali come Radio Maria e Radio Mater; il seguito di programmi culturali trasmessi da reti nazionali, fra cui si possono ricordare, in onda su Rai Radio 3, Fahrenheit, La lingua batte e, dedicata alla lettura di classici, Ad alta voce.

Il primato dei contenuti

Il «parlato messo in forma» o di accompagnamento, che punta «a far assorbire il parlato stesso nel ritmo complessivo del flusso della radio, senza interruzioni, assorbendo la naturale discontinuità tra parlato e musica» (Moneglia 1997: 540), lascerà sempre più luogo al parlato di contenuto. Da ciò si può anche ragionevolmente prevedere che la format radio (quella a flusso continuo, con centralità dell’intrattenimento musicale) tenderà sempre più ad avvicinarsi alla radio a palinsesto, fatta di programmi parlati e differenziati fra di loro. Si può così ipotizzare che si verificherà un processo di “solidificazione”, cioè opposto a quello di fluidificazione, tipico delle radio a palinsesto, come la Rai, che nel tentativo di svecchiarsi avevano puntato al modello della format radio. Nella lingua radiofonica potrebbe ridursi la forbice diafasica fra le radio cosiddette di contatto (cioè quelle commerciali), che selezionavano contenuti e linguaggio omologandoli al ribasso, e quelle di contenuto sempre più indirizzate verso un «italiano serio complesso» (Gualdo e Telve 2012: 13) e, grazie all’ulteriore segmentazione dell’ascolto e dell’offerta resa possibile dal web, potrebbero favorire una specializzazione della lingua.

Ancora e sempre il personaggio di richiamo

Come le marche commerciali e più che le reti televisive, le radio si fanno riconoscere grazie alla loro individuata personalità, detta, in termini tecnici, stationality. La cifra distintiva della radio è frutto di precise decisioni editoriali che mirano alla riconoscibilità della radio a tutti i livelli, dalla programmazione alla scelta musicale, dalla pubblicità al filtro sulle telefonate da casa al linguaggio dei conduttori (il tono, l’atteggiamento nei confronti dell’ascoltatore, la voce). Per quest’ultimo rispetto continuerà la corsa ad accaparrarsi il personaggio di richiamo, purché sia, oltre che piacevole, anche in grado di intrattenere in modo intelligente. Della missione che la radio delle origini si era prefissata, cioè Educare, informare, divertire, la radio odierna si è specializzata nei due ultimi poli e in particolare, meglio, nella loro unione (infotainment). Il successo della formula appare corroborato dal fatto che le conduzioni radiofoniche vengono in genere affidate a una coppia formata da un giornalista (polo dell’information) e da un personaggio di richiamo, in genere pescato dal mondo dello spettacolo (polo dell’entertainment).

Info brevi

È plausibile che il parlato radiofonico – di per sé molto eterogeneo, variando in base al format (All-news, Talk, Sports ecc.) e al genere di trasmissione (giornale radio, radiocronaca, pubblicità, informazione culturale, fiction ecc.) – tenderà a frangersi in unità informative sempre più brevi. Diminuendo, anche per influenza dei new media, la nostra soglia minima di attenzione, le informazioni verranno servite in porzioni più ridotte e con maggiore e più rapido alternarsi dei turni di parola fra gli interlocutori.

La diversificazione in rete

I maggiori cambiamenti in atto, forieri di sviluppi futuri, sono comunque legati al web. Il web ha ridonato una “nuova vita” alla radio, ricatapultandola nel clima sperimentale e spontaneistico degli anni Settanta, quando la liberata emittenza radiofonica aveva ospitato il pieno corso di quella «collettiva “presa della parola” che aveva segnato la vita italiana degli anni Sessanta» (De Mauro 2014: 93). L’attuale proliferazione di web radio, agevolata dalle basse soglie di accesso, permette e permetterà alla radio di segmentare il pubblico attraverso l’offerta di canali sempre più diversificati tematicamente e linguisticamente.

La moltiplicazione delle web radio

Oltre ai siti delle stazioni radiofoniche già esistenti, che trasmettono anche in streaming, esistono e sono in espansione moltissime realtà che esistono unicamente come web radio. Si pensi alle web radio di enti pubblici e privati (università, associazioni, catene commerciali e alberghiere, aziende, partiti ecc.), a quelle locali, che tornano a insediarsi nel territorio, a quelle che, all’insegna della crossmedialità (Menduni 2016: 119-120), si legano a testate giornalistiche, come ad esempio Radio Novella 2000, o a quelle interamente dedicate ad argomenti specialistici, come RadioLibri, o persino a un personaggio, come nel caso di Radio Madonna (la cantante).

Il parossismo dell'interattività

In tutti i casi risulta molto bene come la radio rivesta un importante ruolo di aggregazione, reso ancora più significativo dalle maggiori possibilità di interazione. Se la radio italiana è, almeno dagli anni Sessanta, un medium partecipativo, che cioè si fa insieme, animato dai conduttori in studio e da chi telefona da casa, oggi questo aspetto appare teso al parossismo grazie all’interazione continua e in tempo reale permessa dai social network e dai sistemi di messaggistica. Al di là delle innovazioni tecnologiche, da considerare come onde di superficie di fenomeni più profondi, forse l’ultima previsione potrebbe riguardare il rafforzamento della tradizionale vocazione della radio a ospitare le voci di tutti.

Bibliografia

Cordoni et al. 2006 = Giovanni C. et alii, Le onde del futuro. Presente e tendenze della radio in Italia, Milano, Costa & Nolan.

De Mauro 2014 = Tullio De M., Storia linguistica dell’Italia repubblicana dal 1946 ai nostri giorni, Roma-Bari, Laterza.

Gualdo e Telve 2012 = Riccardo G. e Stefano T., Linguaggi specialistici dell’italiano, Roma, Carocci.

Menduni 2016 = Enrico M., Televisione e radio nel XXI secolo, Roma-Bari, Laterza.

Moneglia 1997 = Massimo M., La lingua delle radio locali giovanili: sondaggi in alcune aree linguistiche italiane, in Gli italiani trasmessi. La radio, Firenze, Accademia della Crusca, pp. 525-578.

Simonelli 2012 = Giorgio S., Cari amici vicini e lontani. L’avventurosa storia della radio, Milano, Bruno Mondadori.

*Giuseppe Sergio insegna Linguistica italiana e Lingua italiana per stranieri all’Università degli Studi di Milano. Si è occupato di lingua letteraria novecentesca, anche nelle sue manifestazioni più popolari, di italiano contemporaneo e dei linguaggi settoriali della pubblicità, della radio e della moda.

Immagine: Guglielmo Marconi

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