di Rinaldo Rinaldi*

“È difficile resistere alla fascinazione dei rapporti,

anche se alcuni possono essere del tutto casuali.”

Umberto Eco, Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione

L’idea di pubblicare una rivista dedicata esclusivamente alla citazione è nata dalla lettura di un libro: lettura prolungata, dispersa negli anni, continuamente interrotta e continuamente ripresa, lettura disagevole e incerta, mai conclusa, piena di esitazioni ed errori. Il libro è un classico del Novecento ma è anche un’opera per definizione ‘illeggibile’, poiché impedisce calcolatamente al lettore ogni certezza di interpretazione e addirittura di letterale decifrazione: Finnegans Wake, che James Joyce scrisse in un linguaggio ‘notturno’ mescolando all’inglese di partenza tutti i linguaggi e riscrivendo l’intero patrimonio della cultura occidentale. Finnegans Wake è infatti anche un montaggio, un infinito sovrapporsi di citazioni: parole, formule, frasi, titoli, immagini, figure, frammenti già noti e vertiginosamente rimescolati. E la presenza di virgolette, come ironicamente e lapalissianamente suggerisce Joyce, non è certo indispensabile per inserire nel proprio testo la citazione di un testo altrui; poiché in ogni testo certamente si commette un errore

« […] inferring from the nonpresence of inverted commas (sometimes called quotation marks) on any page that its author was always constitutionally incapable of misappropriating the spoken words of others».

Deformare e trasformare

Citare significa sempre deformare e trasformare lo spunto di partenza, farne in qualche modo la parodia o riscriverlo agonisticamente. Per questa medesima ragione, tuttavia, il frammento citato dovrebbe essere riconoscibile, permettendo ogni volta al lettore di misurare la distanza fra l’originale e la copia, fra il tema e la variazione.

Perciò il titolo della nostra rivista, Parole rubate. Rivista internazionale di studi sulla citazione / Purloined Letters. An International Journal of Quotation Studies, riecheggia il titolo di un famoso racconto di Edgar Allan Poe: per suggerire che la pratica del furto (come imitazione, riscrittura, calco, variazione, eco, ripresa) forma l’essenza stessa della letteratura ma anche di ogni altra espressione umana, e lungo una cronologia molto ampia che va dal classicismo umanistico agli esperimenti del postmoderno e oltre.

Perciò le lingue e le aree di interesse di Parole rubate / Purloined Letters sono molteplici: per imitare l’onnicomprensività del modello joyciano, che giocava non solo con la molteplicità della dimensione verbale ma anche con il vertiginoso puzzle della musica, dell’arte, del cinema, del teatro e perfino della televisione.

Perciò Parole rubate / Purloined Letters non è pubblicata nella tradizionale forma cartacea ma in forma elettronica sulla rete (sul sito www.parolerubate.unipr.it): perché la rete è lo spazio per eccellenza del già scritto e del già espresso, dove ogni parola e ogni figura può essere recuperata, ripetuta, modificata, rubata all’infinito, con un margine di indeterminazione che oscilla fra autentico e inautentico e forma l’essenza stessa della citazione.

Fra detto e non detto

Chi legge si sforza ogni volta di ritrovare le tracce dell’autore, di ripercorrere le sue orme: per ristabilire le virgolette nascoste dalla maschera della riscrittura, per attribuire il nome del legittimo proprietario a pagine ‘rubate’ ed esibite con beffarda ambiguità, come se quel nome non fosse più decifrabile. Non l’aperta confessione, del resto, ma proprio la reticenza forma il nucleo profondo di quest’oscuro gioco: citare è sempre oscillare fra detto e non detto, fra sapere e non sapere, sul filo di una tecnica indiziaria che costituisce l’essenza d’ogni scrittura e d’ogni lettura.

La necessità di esibire la propria fonte si accompagna dunque alla necessità di modificarla, in un gioco di confessione e occultamento che forma l’ambiguo fascino dell’arte. Il vero problema, allora, è proprio il grado di riconoscibilità della citazione: relativo, e dipendente in egual misura dalla competenza del lettore e dalla reticenza dell’autore. Le strategie di mascheramento, infatti, possono spostare lo statuto della citazione verso i confini più incerti dell’allusione o dell’eco, sempre attentamente calcolati ma rintracciabili con maggiore difficoltà: la citazione perfettamente trasparente può trasformarsi così in un indizio opaco, oscurato, che conserva tuttavia al suo interno la scintilla potenziale del riconoscimento.

L’anormale norma

Una citazione seria, misurata e fedele, come ricorda André Compagnon, anche quando implicita è teoricamente sempre riconoscibile, comprensibile e interpretabile. I casi irregolari tuttavia, a partire dalla crisi del classicismo rinascimentale e dal grande esempio di Montaigne, sono così numerosi da trasformarsi a loro volta in ‘regola’ paradossale. Quella che lo stesso Compagnon ha definito citazione “brouillée” proprio perché confonde le sue tracce e rende difficilmente percorribili le piste della lettura, citazione incompleta o truccata, alterata o infedele, indistinguibile o inflazionata, deviante o capricciosa, non si può insomma relegare ai margini del sistema come una semplice anomalia: essa è diventata una sorta di anormale norma, e anche in questo caso l’illeggibilità è solo relativa poiché molto spesso i testi contengono degli strumenti di certificazione, che in gradi diversi garantiscono la pertinenza dei riferimenti occultati o deformati, in una sorta di autolegittimazione del gesto di chi ha citato.

Certo, come capita di perdersi per le vie di una città un tempo familiare ma abbandonata da molti anni, o di non ravvisare le fattezze di un volto ben noto ma trasformato dal tempo o dal maquillage, siamo spesso condannati a leggere frasi che non s’illuminano, che non ci rivelano il loro enigma: passiamo attraverso le parole come degli estranei, poiché abbiamo dimenticato ciò che sapevamo sulla loro origine. Le citazioni sono fatte per essere riconosciute, ma per tutti noi leggere significa anche prendere una cosa per un’altra, sbagliare strada, trascurare una possibile agnizione.

Furti bibliografici

James Joyce, Finnegans Wake (1a ed. 1939), London, Faber & Faber, 1975.

Antoine Compagnon, La seconde main ou le travail de la citation, Paris, Seuil, 1979.

*Rinaldo Rinaldi, nato a Torino nel 1951, ha insegnato Lingua e letteratura italiana dal 1978 al 1994 presso la Rijksuniversiteit di Groningen (Olanda). Dal 1995 è professore ordinario di Letteratura Italiana presso l’Università degli studi di Parma. Si occupa di Umanesimo e Rinascimento, di letteratura dell’Otto e Novecento, di letteratura comparata. Ha pubblicato, fra l’altro, monografie su Leon Battista Alberti, Niccolò Machiavelli, Filippo Tommaso Marinetti, Carlo Emilio Gadda, Pier Paolo Pasolini, Georges Perec.

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