di Daria Motta*
Di contro all’attenzione dedicata alla lingua del doppiaggio cinematografico (Maraschio, Salibra), l’italiano doppiato della fiction televisiva non ha suscitato adeguato interesse nei linguisti. Eppure la sua incidenza sociolinguistica è ben più ampia, non solo per le diverse proporzioni di pubblico dei due fondamentali media audiovisivi: i programmi televisivi doppiati raggiungono un pubblico più ampio e indifferenziato di quello cinematografico, e quindi verosimilmente più permeabile al modello a cui è esposto. Il doppiaggio filmico, eseguito su un testo singolo, è certamente più sorvegliato dal punto di vista metaculturale e linguistico, e dunque meno esposto a interferenze, mentre quello del piccolo schermo, soggetto a ritmi serratissimi di elaborazione, rende più facile ottenere un risultato finale meno sorvegliato.
L’influsso che sta esercitando sulla nostra lingua la fiction doppiata, dai telefilm alle soap operas, riguarda anche il cambiamento nella tipologia dei prestiti tra l’italiano e l’inglese: ai prestiti lessicali, immediatamente riconoscibili dai parlanti, si vanno aggiungendo proprio grazie al doppiaggio cinematografico e poi ancor più intensamente grazie a quello televisivo, le interferenze e i calchi morfosintattici o idiomatici, che si camuffano agevolmente nell’adattamento rapido dei testi angloamericani da somministrare quotidianamente al consumo televisivo. Qualsiasi telespettatore si trovi oggi a guardare uno dei serial americani dei decenni passati tuttora riproposti dalla nostra tv e lo paragoni a quelli più recenti, come CSI, Cold case, Doctor House o Grey’s Anatomy, noterà come l’interferenza inglese in italiano appaia ora molto più massiccia anche negli elementi più vistosi, come i titoli mantenuti oggi in lingua originale, o le scritte nelle inquadrature. Nel 1983, ad esempio, quando fu trasmessa dalla Rai la prima serie di Saranno Famosi, compariva in sovrimpressione la traduzione del nome della scuola frequentata dai futuri artisti, la High school of arts di Manhattan. Invece, chi dalla fine degli anni Novanta guarda X-Files vede comparire sullo schermo una serie di elementi importanti per la comprensione della storia, come F.B.I. Headquarters o One week later. Conseguenza non tanto della frettolosità di cui sopra, ma soprattutto della maggior competenza e assuefazione del pubblico italiano rispetto alla lingua inglese, sentita sempre più come varietà di prestigio che si lega ad ambienti medici (ER; Dr House), anche con risvolti investigativi (X-Files; CSI; Cold case).
L’inglese, incredibilmente dolce
A influire più profondamente sulle nostre abitudini linguistiche sono comunque le interferenze sintattiche, lessicali o fraseologiche prodotte da traduzioni approssimative. Si pensi ai costrutti avverbiali o determinativi che intaccano l’uso abituale italiano, e in particolar modo agli avverbi assolutamente, incredibilmente, esattamente: in una puntata della soap opera Beautiful, ad esempio, si dice “Io sono assolutamente convinta che…” (traduzione automatica di “I’m absolutely convinced that…”), quando invece sarebbe stato più naturale dire “sono del tutto certa che…”. E ancora, “questa crema che ho fatto è assolutamente fuori del mondo” nel cartone animato Spongebob. Valga come ulteriore esempio la frase, tratta ancora una volta da Beautiful, “Lui può essere incredibilmente dolce”, traduzione letterale dell’inglese incredibly sweet, che in italiano si sarebbe reso più efficacemente col semplice superlativo dolcissimo.
Per non dire di alcune reggenze preposizionali tipiche dell’inglese, ormai sempre più frequenti in italiano. Così il nostro ringraziare di è sempre più spesso rimpiazzato da ringraziare per, che traduce to thank for (in ER: “la ringrazio per essersi occupata dei miei pazienti”, dall’originale “I just want to thank you for looking after one of my favourite families”). Sempre dal modello inglese derivano i casi in cui l’aggettivo è anteposto al sostantivo (spasmi di filiale rimorso nella Signora in giallo, o i suoi piccoli inutili polsi in Grey’s Anatomy) e quelli in cui si abbonda nell’uso dei pronomi personali, obbligatori in inglese ma non in italiano, o nell’aggettivo possessivo: “stai rovinando la mia vita” per mi stai rovinando la vita (Beautiful).
Batti il cinque, l’internazionalizzazione funziona
Il lessico della fiction doppiata pullula di calchi impropri: è il caso dell’allocutivo signore, dall’inglese sir, transitato dai film di guerra o dai Western del grande schermo alle serie ospedaliere come ER, in cui gli specializzandi si rivolgano al primario chiamandolo signore e non, più credibilmente, professore. Così da Saranno Famosi alle serie giovanili americane di Italia1 i corsi sono definiti classi, secondo un uso tipico del mondo anglosassone, ma non dell’università italiana; o, ancora, capita di sentir dire manipolare al posto del più congruo fare il lavaggio del cervello, o “avere una visione di una persona” per avere un’immagine o una certa idea (italiano avere una visione evoca piuttosto le estasi mistiche).
Nel campo dei modi di dire e delle frasi idiomatiche l’apporto del modello inglese appare ancora più evidente. Abbondano strutture che magari sono facilmente comprensibili dal contesto, ma che riproducono troppo fedelmente modelli stranieri. Oltre agli ormai diffusissimi modi colloquiali fa’ la cosa giusta, non c’è problema, dammi un’altra chance o un’altra occasione, batti il cinque, essere al posto giusto al momento giusto, non ci posso credere, possiamo citare vere e proprie frasi proverbiali, come non è come andare in bicicletta, invece del nostrano non è semplice come bere un bicchier d’acqua; o l’ha imparato sulle ginocchia di sua madre per l’ha succhiato con il latte. Di particolare rilievo per la spinta convergente di doppiaggio della fiction e linguaggio dei quiz importati il caso di una domanda da un milione di dollari per una domanda impossibile. Sembra proprio che i parlanti italiani non accorgano di ricalcare il modello inglese quando dicono qual è il tuo nome? invece di come ti chiami?, qual è o dov’è il problema? per c’è qualcosa che non va?, o datemi ancora cinque minuti invece di mi serve più tempo. O ancora, ho una domanda, invece di devo chiederti una cosa, o pensi di poter fare questo per me? al posto di puoi farmi questo favore?; si rilassi, invece di stia calmo.
Non è detto che interferenze fraseologiche di questo genere riescano a intaccare così a fondo il sistema da portare a quello che a volte è stato definito un “itangliano”. Piuttosto, se il processo di adattamento è ben controllato e governato, esse potrebbero persino avere un benefico effetto di rinnovamento sul patrimonio fraseologico italiano, cosicché anche il doppiaggio televisivo possa agire come fattore di arricchimento e di internazionalizzazione della nostra lingua.
*Daria Motta ha conseguito il dottorato di ricerca in Filologia moderna presso l’Università di Catania, dove collabora alla didattica ed è docente a contratto nell’ambito della Linguistica italiana. La tesi di dottorato, dal titolo Il tessuto linguistico di Vita dei campi tra grammatica e retorica, è in corso di pubblicazione. Ha inoltre pubblicato saggi sull’italiano settoriale contemporaneo, sull’italiano letterario ottocentesco e sulla lingua della comunicazione televisiva.