di Mirko Tavosanis*

Nel fumetto italiano Andrea Pazienza (San Benedetto del Tronto, 1956 - Montepulciano, 1988) è stato un mito per più di una generazione. Un po’ per il fascino della sua biografia: il successo a poco più di vent’anni, la fama di autore “alternativo”, il collegamento con il Settantasette bolognese, la morte a soli trentadue anni (verosimilmente per overdose di eroina). Soprattutto, però, per il semplice fatto che era bravissimo. I suoi lavori rappresentano uno dei punti più alti del fumetto italiano, e anche uno dei più innovativi.

1977, un gruppo “cannibale”

Certo, Pazienza, pur essendo un genio, non veniva dal nulla e non era isolato. Un recente libro di Simone Castaldi (2010) dedicato ai fumetti italiani degli anni Settanta e Ottanta si apre con il racconto autobiografico dello shock provato dall’autore vedendo in edicola, nel 1978, la copertina del terzo numero di «Cannibale» – una delle riviste-simbolo del periodo, fondata nel 1977 da Stefano Tamburini e Massimo Mattioli, cui si erano rapidamente aggregati Filippo Scòzzari, Tanino Liberatore e, appunto, Andrea Pazienza. Questo, più o meno, è il gruppo che fece la differenza nel fumetto dell’epoca, tra «Cannibale» e «Frigidaire», passando per «Il Male». Più avanti Pazienza acquistò una fama maggiore rispetto ai colleghi, e una maggiore circolazione presso il pubblico, ma nei primi anni lo scambio di idee e trovate era strettissimo, a tutti i livelli: “storie”, contenuti, grafica...

Prima: lingua comune e passività

Concentrandosi solo sull’aspetto linguistico, per apprezzare la novità si può riprendere in mano un giudizio apparso solo sei anni prima dell’uscita di «Cannibale». Scrivendo l’introduzione al solido volume dedicato da Lorenzo Becciu (1971) al fumetto in Italia, il già allora illustre linguista Giovanni Nencioni aveva infatti notato nel fumetto italiano «il prevalere della lingua comune nella sua maggiore passività (frasi fatte, metafore d’uso, associazioni convenzionali) e nella sua elementarità sintattica», constatando quanto fossero «scarsi (...) se non a scopo di mimesi ambientale o di ermetismo o di tecnicismo, l’elemento dialettale e straniero o la deformazione linguistica» (Nencioni 1971, p. 11). Diagnosi, all’epoca, del tutto ragionevole.

La rottura dello standard

Il lavoro di Pazienza e dei suoi compagni rappresentò una rottura drastica rispetto a questo standard. Molte delle vignette di Pazienza vengono chiaramente da un altro mondo, rispetto all’italiano di «Tex». Quali erano però, in dettaglio, le componenti linguistiche di questa novità? Intanto, appunto l’uso del dialetto, che nei fumetti italiani è stato piuttosto circoscritto (Tavosanis 2009). Commentando i fumetti di Pazienza, Omar Calabrese ha motivato questo cambiamento facendo riferimento al contesto dell’Università di Bologna, che attirava studenti da tutta la costa adriatica. «La lingua dei giovani, soprattutto universitari, e soprattutto provenienti da aree lontane» viene secondo Calabrese riprodotta sotto forma di «una lingua parlata, che anzi sottolinea il proprio essere orale, immediata, semplificata, fortemente espressiva» (Calabrese 1991, p. 13).

Il “napoletano estremo” di Tra’s

Il che è senz’altro vero, ma vanno precisate due cose. Innanzitutto, che Pazienza conosceva bene, per diritto di nascita, il modo di parlare della Puglia settentrionale, tra San Severo e il Gargano. Sul resto, però, le sue competenze erano meno sistematiche. Fabio Rossi ha illustrato, per esempio, le caratteristiche del “napoletano estremo” usato da Pazienza per raccontare la storia di Tra’s, «il rifiuto di San Giorgio a Cremano (NA)». In questa storia che rimanda alla città natale di Massimo Troisi spesseggiano la metafonesi, anche abnorme (murt per morto), l’uso della sorda o della sonora invertito rispetto all’italiano (ciofane, decitere, gualungua), i malapropismi da italiano popolare (efettamente, perisempio, la vorassi) e le forme inventate (laureanzo). Siamo lontani mille miglia dal napoletano canzonettistico, annacquato e stereotipato della tradizione cinematografico-televisiva degli anni Ottanta (Rossi 2012).

In buona parte le deformazioni erano volute. In molti altri casi però Pazienza, cercando di riprodurre qui e altrove un dialetto che non conosceva bene, procedeva probabilmente a naso – se mette in bocca al suo personaggio una parola come “piescie” forse fa la caricatura dei dittonghi campani, ma se scrive l’articolo “o” senza un apostrofo iniziale lo fa probabilmente solo per una svista, eccetera.

Su e giù per i livelli della lingua

Il secondo punto è che le componenti per cui Calabrese parla di «nuovo volgare», dal dialetto alla bestemmia, pur essendo vistose non erano affatto le uniche. Pazienza si divertiva infatti a riprodurre un bel po’ di livelli di lingua assenti nel legnoso linguaggio tradizionale dei fumetti – ma anche del cinema, della televisione, della letteratura eccetera. La sua sensibilità linguistica, da questo punto di vista, è eccezionale e ha ben pochi paragoni nel fumetto (in epoca recente, solo Leo Ortolani ha fatto qualcosa di simile, limitandosi però quasi solo all’italiano standard). In una celebre tavola della storia Giorno (1981), per esempio, viene rappresentato in questo modo l’italiano formale, ma parlato, di un esame universitario al DAMS di Bologna:

- Continuiamo. Dicevamo di Astruc. Un Astruc cineasta lirico...

- Sì

- … e un Astruc architetto

- Sì

- E il referente cosa diventa...?

- E il referente, sì, … gioco dell’assenza presenza intorno al fuoco dell’assenza. Godard propone il trigono Astruc – Ophuls – Muzil. Valori veri e valori falsi...

Anche senza passare al dialetto o alle lingue straniere, quindi, l’italiano di Pazienza è molto più “vero” e libero rispetto a quello del fumetto tradizionale. In piena corrispondenza, su altri livelli, con le caratteristiche del suo disegno, o delle sue storie.

Bibliografia

Becciu, Leonardo. 1971. Il fumetto in Italia, Sansoni, Firenze.

Castaldi, Simone. 2010. Drawn and Dangerous. Italian comics of the 1970s and 1980s, University of Minnesota Press, Jackson.

Calabrese, Omar. 1991. L'eterno rinnovamento del “volgare”, in Andrea Pazienza, a cura di Marina Comandini Pazienza e Mauro Paganelli, Editori del Grifo, Montepulciano, pp. 12-15.

Nencioni, Giovanni. 1971. Prefazione a Becciu 1971, pp. 7-14.

Rossi, Fabio. 2012. Dannate lingue del Paz! Osservazioni linguistiche sui fumetti di Andrea Pazienza, in Die Sprache(n) der Comics, a cura di Daniela Pietrini, Martin Meidenbauer, München.

Tavosanis, Mirko. 1998. Andrea Pazienza e la lingua del fumetto, «Il Rogiolo: rivista telematica», 1 <http://www.humnet.unipi.it/rogiolo/rivista/pazienza.html>.

Tavosanis, Mirko. 2009. Der Dialekt im Italienische Comic, «Zibaldone. Zeitschrift für italienische Kultur der Gegenwart», 48, Herbst 2009, pp. 154-167.

*Mirko Tavosanis (Karlsruhe, 1968) è ricercatore in Linguistica italiana all’Università di Pisa e direttore del Consorzio ICoN per l’insegnamento della lingua e cultura italiana via Internet. Nel 2011 ha pubblicato uno studio su L’italiano del web. Nel 2002 ha pubblicato un’edizione del manoscritto autografo delle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo. Dal 2003 insegna per i corsi di studio in Informatica umanistica dell’Università di Pisa. Il suo blog è dedicato a questioni di linguaggio e scrittura, all’indirizzo http://linguaggiodelweb.blogspot.com/.

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