Cent'anni fa, allo scoppio della Prima guerra mondiale, che cosa era la nostra lingua? Invece di affidarci alle statistiche, abbiamo deciso di proporre alcuni quadri fotografici per inquadrare la stessa scena da angoli visuali differenti, a volte intrecciati o sovrapposti. L'Italia dei primi vent'anni del Novecento, letta attraverso la lente della lingua, trova un punto di inedita e drammatica fusione nel calor bianco delle fiamme belliche. Ma, nell'uso della parola, esiste un fronte interno che frattura il nucleo bollente e colloca su sponde opposte l_'élite_ colta e benestante e la massa ignorante e povera. Da una parte, la lingua letteraria attraversa sperimentalismi raffinati - dai Vociani all'avanguardia futurista -, si muove tra passato e futuro con l'estetismo dannunziano e approda alla scarnificazione del verso in Ungaretti. Dall'altra, l'italiano comune fa le prime prove di popolarità, arrangiandosi sulla bocca e nelle lettere dei semicolti gettati in trincea, in una animata contesa e compresenza col padrone incontrastato della parola, il dialetto (una dinamica colta con acutezza, decenni dopo, dal Monicelli del capolavoro filmico La Grande guerra). Intanto, i giornali sportivi accomunano e mitologizzano eroismo militare e valentìa agonistica, mentre la nascente letteratura di consumo, pur mandando Pinocchio al fronte, punta a funzionare come arma di distrazione di massa.