di Maria Catricalà*

Tra la wearable technology con scarpe intelligenti lechal (‘portami là’ in hindi) e guanti interattivi h__i-call (così detti perché sostituiscono il cellulare), da una parte, e le riproposte in ethno-style di fogge e abiti tradizionali come il dirndl (‘ragazza’ nel tedesco del sud) , il cheongsam (‘camicia lunga’ in cinese), il khanga (‘gallina faraona’ in swahili, codi) o lo huipil (‘mia coperta’ in guatemalteco), potrebbe sembrare un’impresa impossibile riuscire a delineare, senza forestierismi, la specifica impronta della lingua italiana della moda di oggi. È però, soprattutto, fra i titoli e le didascalie delle riviste di moda e dei cataloghi di vendita in cartaceo, fra i tweet e i vari altri tipi di microtesti che accompagnano foto e video in rete, che si registra un numero crescente di grafie e termini esotici (come il russo babushka o l’arabo haik, indicanti rispettivamente il ‘tipico fazzoletto copricapo russo’ e il ‘velo bianco in uso in Algeria e Marocco’), di neoformazioni e d’inusitate parole macedonia, come burkini (burqa+bikini) o jorts (jeans+shorts). Infatti, fra vetrine e negozi resta pressoché impossibile sentir parlare di clutch di vernice effetto matelassé, blazer slim fit in jearsy zig zag o infrabijoux ultraflat in vernice flou. Si tratta di costruzioni estranee agli usi del parlato-parlato e anche se in tv out-fit per il sabato sera, stile vintage e tocco glamour sono di certo molto frequenti in alcuni canali tematici, italianissime forme come abito da sera, borsetta, camicia, doppio-petto, fazzoletto, gonna, infradito, lobbia, maglione, nido d’ape, opalina, pastrano, rasatello, spolverino, tubino, ventiquattrore, zucchetto continuano a prevalere negli usi e a volte anche oltre confine, come nel caso di borsalino (hat), ballerina (shoes), brocade, casentino, costume, jeans, muslin, organza, parasol, stiletto (per ‘needle heels’, tacchi a spillo’), umbrella, valise o pantalone, che è presente in francese come in turco, a Malta come in molti paesi dell’est europeo, ad Haiti, nelle Filippine e oltre.

Da bengalina a jersey: parole dal mondo

D’altra parte, com’è ben noto, il contatto fra le lingue più diverse ha sempre caratterizzato il codice di sarti, artigiani tessitori, modiste, ricamatrici e velettaie che nelle più diverse fasi ed epoche della nostra lingua hanno visto affiancarsi composti (come V+N, guardacore o prendisole; N+N, gonna-pantalone e gonna tulipano; Agg+N frescolana e millerighe), prefissati e suffissati (come bicolore e minigonna, rasatello e barchetta), denominali e deverbali con conversione o retroformazione (come scamiciato o doppiato), deverbali a suffisso zero (come rammendo o risvolto), sintagmi e locuzioni (come giacca a vento e abito a clessidra), in ultimo, ma non per ultimi, un gran numero di toponimi internazionali. Ricordando solo i tessuti, vanno elencati almeno: dall’Estremo Oriente il nanchino, il pechino; dall’India la bengalina_,_ il cachemire, il madopalan (dal nome del sobborgo Mādhavapālam, noto centro manifatturiero della Compagnia delle Indie), il madras, il surah; dal mondo arabo il damasco e la mussola (< Mossul), il satin (< Zaitum); dal Turkestan l’organza; dall’Egitto il makò; dalla Svizzera il sangallo; dalla Francia il denim, dalla Gran Bretagna il jersey, il melton, dagli Stati Uniti la carolina, ecc.

Nel segno del vestito-scritto

Né avrebbe potuto essere diversamente, essendo alla base del sistema della moda due fenomeni ben noti agli studiosi di sociologia e di terminologia sociocognitiva, fenomeni che favoriscono entrambi le più diverse forme di scambio e di ibridazione. Il primo è la necessità del rinnovamento continuo, che consente a stilisti e a piccoli e grandi marchi di soddisfare il desiderio contraddittorio di appartenenza e distinzione, di identità e individualità, di intere generazioni di modanti e modaioli, d’ogni genere, status ed età. Il secondo è che, in particolare le riviste e i media, al vestimento-reale e a quello-immagine, come diceva Barthes, affiancano il vestito-scritto, quello connotante, che serve a trasmettere comportamenti e una visione del mondo ben precisi. Non a caso proprio lì si annidano, con maggiore frequenza che altrove, i chiari segnali del cambiamento più rilevante, quello che non vede più lo spazio del corpo e intorno al corpo essere il fulcro della costruzione linguistico-semantica dell’oggetto vestimentario.

Varie reti semantiche

Dal lessico basico che impiega, come in cavigliera, sottoveste, coprispalle e in molte altre lingue (per es.: ingl. leggings, overall, wrap-over cardigan; ted_. Kopfbedeckung, Unterrock, Büstenhalter_; fr. bustier, sous-vêtements, soutien-gorge; sp. puño, sobretodo, cubrecorsé; come già in greco periknumís, upodútes, períbelma e in latino ventrālis, sublĭgācŭlum, rĕdĭmīcŭlum) nomi di parti del corpo e marcatori spaziali, a quello retoricamente elaborato, il filo del discorso si è a lungo dipanato attraverso le più varie reti semantiche. Basti pensare ai toponimi (come nel caso dei tessuti sopra citati o dei cappelli come basco_,_ fez, panama, homburg) e ai tanti eponimi connessi a personalità molto note: per esempio, ufficiali come per montgomery e per la manica raglan; personaggi storici, come per la camicia alla garibaldina o la cravatta alla Robespierre; inventori, come per il jacquard, ‘tessuto prodotto con l’omonima macchina che porta il nome del suo ideatore’ e quello mercerizzato ‘tessuto reso lucido col procedimento messo a punto dal chimico John Mercer’; personaggi teatrali, come per fedora, dal nome dell’omonimo spettacolo di Victorien Sardou, e stiffelius, personaggio di un’opera lirica di Verdi.

Corolla di metafore

E ancora, si può rinviare alle metafore classificabili in base all’area di riferimento del significato denotativo primario: il mondo degli artefatti (abito a botte, a campana, a sacco, a ruota, a portafoglio), anche commestibili (abito a uovo); il dominio delle piante, sia perché si fa riferimento al materiale del tessuto da esse ricavato (canapa, rafia, agave), sia per la sagoma di alcuni abiti (gonna a corolla, manica a calla); i fenomeni naturali (abiti a onde, ad arcobaleno, a cascate d’acqua); l’universo zoomorfico, che viene imitato in alcuni particolari (manica a pipistrello, pantaloni a zampa d’elefante, giacca a petto d’anatra, farfalla o papillon per cravattino, giacca con code di rondine, coda di cavallo, tasca canguro).

La giuntura dello spazio del corpo

Ma per quanto estese e variegate queste reti possano sembrare, lo spazio del corpo e intorno al corpo fa sempre da punto di giuntura. Anche nel caso estremo di classificazione e concettualizzazione dell’oggetto vestimentario per gesto, come per esempio nel caso della baguette (borsa di un famoso marchio italiano indossata, per l’appunto, come il noto pane francese, sotto il braccio), la sua affordance, cioè le qualità fisiche che suggeriscono le azioni appropriate per manipolarla, sono fortemente vincolate all’ambiente.

Dalle lingue del mondo alla regione-mondo

È proprio questo, invece, che si sta perdendo negli spazi linguistici globali della moda e fra un gran numero termini stranieri deterritorializzati, di espressioni tecniche banalizzate, di tanti abiti ibridati e non più identificativi di una qualunque appartenenza di genere, età o altro, le possibilità di accesso alla usabilità degli oggetti, sembrano ridursi rapidamente. Non è solo la questione della vestibilità a preoccupare i neo apocalittici, quanto quella della conoscenza, sia in termini di memoria storica e comunicativa dell’abito, sia in termini di sapere linguistico-simbolico e di padronanza dei processi creativi della moda italiana. Contro ogni allarmismo, gli integrati ribattono che nel cuore artistico di Londra è la italianissima Francesca Rosella ad aver progettato con Genz la hug shirt, il galaxi dress e il #twitter dress, all’avanguardia della sperimentazione mondiale in fatto di vestibilità interattiva. Più convincente, però, è chi - a questo importante traguardo e ai successi dei grandi stilisti del made in Italy - affianca l’iniziativa di tante neonate aziende regionali, come Cangiari, che realizza nel Sud d’Italia capi d’alta qualità con tecniche tradizionali e filati biologici. Il loro stilista è nato in Portogallo e cresciuto in Svezia; la filosofia dell’azienda è eco-etica ed ethical fashion; il loro slogan è in inglese (beauty is different); il marchionimo è il dialetto calabrese per ‘cambiare’, ma lo spazio in cui si lavora, oltre ad essere plurilinguistico, è un bene confiscato alla mafia.

Immagine: Sartoria teatrale, scatto di Valentino Favero.

Bibliografia

Barthes, R., Système de la mode, Seuil, Paris 1967 (trad. it. Sistema della moda, Einaudi, Torino 1970).

Enciclopedia della moda, diretta da T. Gregory e G. Puglisi ,  3 voll., Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, Roma 2005.

Gibson J. The ecological approach to visual perception, Houghton Mifflin, Boston, 1979 ( trad. it. Un approccio ecologico alla percezione visiva, Il Mulino, Bologna, 1999).

Rak M.-Catricalà M., Global fashion. Spazi, linguaggi e comunicazione della moda senza luogo, Mondadori Università, Milano 2013.

*Maria Catricalà è professore ordinario di Linguistica presso l’Università Roma Tre, dove dal 2006 insegna Linguistica e comunicazione e Linguistica e giornalismo. Esperta di storia della grammatica, delle dinamiche di apprendimento linguistico e del ruolo dei media nei processi di unificazione delle comunità di parlanti, ha dedicato le sue ricerche più importanti alle costruzioni retoriche (Sinestesie e monoestesie, Franco Angeli 2012), allo studio della pianificazione linguistica italiana ed europea (L’italiano tra grammaticalità e testualizzazione. Il dibattito linguistico postunitario, Accademia della Crusca 1995) e a diversi linguaggi settoriali, come quello dei brevetti (L'italiano brevettato delle origini, Aida 1996), della cucina (Tra i gustemi del pane e quelli del vino, in Fabbri P.- Falassi A., a cura di-, De gustibus, Protagon Editori Toscani, 1994, 85-109; Cibo, linguistica e retorica: modelli di analisi a confronto tra gustemi e Word Design_,_ in Ghiazza S., Cibo e/è cultura_,_ 93-115.) e del giornalismo (Linguistica e giornalismo, Aracne 2015). Tra i suoi studi inerenti alla moda, oltre ad aver curato il progetto Per filo e per segno della Università La Sapienza di Roma (Le scritture della moda di ieri e di oggi, Rubbettino, 2004; Habitus in fabula, Rubbettino, 2006), ha pubblicato varie ricerche. Tra le più recenti: Marchi "di moda" italiani; un'indagine mirata tra il 1900 e il 1950_, in Mascio, A., (a cura di)._ Visioni di moda_, Franco Angeli, 39-57;_ Global Fashion_, con M. Rak , Mondadori Università 2013;_ From the vesteme to the Word Design Theory: the linguistic constructions of fashion_, con A. Guidi,_ in Sádaba T., Torregrosa M.,Sánchez-Blanco C. (eds), Digital Development in the Fashion Industry_:_ Business, Communication and Culture, Universidad de Navarra, Pamplona 2014: <http://www.unav.edu/centro/isem/actas_congreso>.