di Ranieri Polese*

"Nelle canzoni sono praticamente scomparsi i baci" scriveva Edmondo Berselli nel 1999 (Canzoni. Storie dell'Italia leggera, il Mulino). Un fenomeno che, cominciato negli anni Sessanta con i primi cantautori, avrebbe cambiato nei decenni successivi il lessico del nostro canzoniere. Se andiamo a leggere i testi delle edizioni di Sanremo dal 2000 in poi, le canzoni dove si dice bacio/baciare sono una ridottissima minoranza. Per esempio, sui 28 testi di Sanremo 2016, il bacio compare solo due volte. Dieci anni prima, nel 2006, tre volte su 25. E ancora, nel 2000 abbiamo 3 canzoni con bacio su 32; nel 2010, 3 su 25. In realtà i baci, come le lucciole, non sono scomparsi del tutto (del resto Sanremo non esaurisce tutta la produzione di canzoni). Il bacio, però, ha perso la sua centralità nel discorso amoroso per parole e musica, quella che ha avuto nel periodo 1930-1970, quando non c'era quasi canzone d'amore senza bacio. E invece, nelle due più intense canzoni d'amore di questi ultimi vent'anni, La cura di Franco Battiato, 1996, e A te di Jovanotti, 2008, il bacio non c'è proprio.

Carnale, erotico, peccaminoso nel primo Novecento

Forse, magari senza saperlo, aveva ragione il giovane Adriano Celentano quando, nel 1959, cantava "i tuoi baci non son semplici baci". La storia del bacio nella canzone italiana è infatti complessa. E non solo per la varietà: baci di passione, baci peccaminosi; e poi: il primo bacio e l'ultimo, bacio piccolissimo, dolcissimo, amaro; baci che fanno vedere mille bolle blu, che danno il knock-out, che fanno sognare il paradiso ecc. ecc. È una storia complicata anche perché dalla romanza Musica proibita, 1881 (praticamente il primo bacio cantato in italiano) a oggi, il bacio assume diversi significati. Assente nella grande stagione del melodramma ottocentesco (Violetta e Alfredo, Leonora e Manrico non si baciano mai), compare nel 1876 (La Gioconda di Ponchielli) e da lì prenderà un posto importante nel teatro d'opera. Raggiungendo con Puccini il massimo di sensualità: "O dolci e baci e languide carezze / mentr'io fremente / le belle membra disciogliea da' veli", Tosca, 1900. Anche i baci delle prime canzoni italiane, quelle del Café Chantant, del Varietà e dei Tabarin (per intendersi, da fine '800 a tutti gli anni Venti del '900) sono carnali, fortemente erotici, peccaminosi. "Bocca a bocca la notte e il dì" (La spagnola, 1906); "Nei gorghi del piacer con folli baci / ella mi trascinò" (Come una coppa di champagne, 1921); "Son baci di passion / l'amor non sa tacere" (Tango delle capinere, 1928).

Dissolvenze amorose

Intorno al 1930, tutto cambia. Finita l'epoca delle sciantose, del tabarin, delle donne fatali, degli scettici blu, la canzone si rivolge a un pubblico di massa. Grazie alla radio (nata nel 1924, nel '38 conta un milione di abbonati e circa otto milioni di ascoltatori) e al cinema che, a partire dal primo film sonoro - La canzone dell'amore, Gennaro Righelli, 1930 – diventa il maggior strumento di lancio delle canzoni. Si canta per persone comuni, che sognano di avere mille lire al mese, una casettina piccola e carina, un matrimonio felice. Niente più amori torbidi, baci e carezze audaci, follie e voluttà. Si opera una censura che crea un codice che resterà valido per molti decenni. Il bacio, dunque, diventa un'esperienza per cui si può dare la vita, sogno divino, estasi, il destino che si compie. Un bacio che racchiude in sé tutto l'amore possibile, o meglio tutto l'amore dicibile. Oltre quel bacio, infatti, non è dato vedere, su quello che succede dopo non si dice nulla. Certo, si può alludere ma senza mai dire. Vige il principio della dissolvenza (quella che Woody Allen descrive ne La rosa purpurea del Cairo). Negli anni Trenta si cantava così: "Un'ora sola ti vorrei / per dirti ancor nei baci miei / che cosa sei per me (...) ed in quest'ora donerei / la vita mia per te" (Un'ora sola ti vorrei, 1938). Certo, Rabagliati ridimensionava queste visioni paradisiache con lo swing di Ba-ba-baciami piccina, 1940, ma la tendenza dominante era quella esemplificata da Ti dirò, 1939: "Ti dirò / che nei tuoi baci / si nasconde il mio destino / il sogno mio divino" (la donna amata del resto è la speranza che non muore, la gioia infinita che dona la vita e fa credere nel paradiso).

Come le fragoline o come un rock?

La fine della guerra e la nascita dell'Italia repubblicana, com'è noto, non incidono minimamente sulla canzone italiana. Se per cinema, letteratura, arti visive il 1945 segna un effettivo spartiacque, non è così per la musica cosiddetta leggera. Il Festival di Sanremo, che nasce nel 1951, certifica e consolida la continuità con gli anni Trenta/Quaranta. La quantità di baci nel canzoniere sanremese e non solo è sterminata. Magari ci sono testi in cui, grazie anche all'interpretazione fortemente sensuale, con il bacio si allude a qualcosa di molto più carnale: Tua di Jula De Palma fece scandalo nel Festival del 1959. Ma già negli anni '40 si osava molto: Il mio nome è donna, 1946; Addormentarmi così, 1948. Poi, nel 1958, il teorema metafisico del bacio va a infrangersi contro l'irrompere del nuovo. A Sanremo, Modugno (Nel blu dipinto di blu: non c'è mai la parola bacio nel testo) sbaraglia Nilla Pizzi (L'edera) e Claudio Villa. Villa che, fra le tre canzoni interpretate, proponeva la sintesi assoluta – e ormai ridicola – dell'ancien régime canzonettistico: Fragole e cappellini ("Ogni fragola un bacin d'amor"). Anche la giovanissima Mina si diverte in quegli anni a prendere in giro la mistica del bacio: Bum, ahi, che colpo di luna, Le mille bolle blu, Coriandoli, Renato. L'industria musicale punta sui nuovi cantanti/autori. Ovvero Gino Paoli e gli altri. Con Paoli soprattutto l'amore non è più un sogno divino ma qualcosa che si fa per esempio su un letto sotto un soffitto viola. E il suo bacio (Sapore di sale, 1963) è il primo bacio dove si sente il sapore del corpo. Anche Sergio Endrigo non crede più all'estasi divina: "ma quando io la bacio / lei ride o pensa ad altro / o mangia noccioline" (Via Broletto 34, 1962).

Ora "l'importante è finire"

Certo, negli ultimi anni Cinquanta e nel decennio Sessanta ci si bacia ancora tanto (Tony Dallara, Per un bacio d'amor, 1959; Adriano Celentano, Il tuo bacio è come un rock, 1959, e Ventiquattromila baci, 1961; Johnny Dorelli, Meravigliose labbra, 1960; Bruno Martino, Estate, 1960; Edoardo Vianello, Pinne, fucile ed occhiali, 1961; Mina, Un anno d'amore, 1965). Duro a morire, il canto sentimentale non può fare a meno del bacio: Mino Reitano, Era il tempo delle more; Massimo Ranieri, Se bruciasse la città; Ricchi e Poveri, Che sarà. Ma con i giovani come Rita Pavone si bacia di meno; e anche con Morandi (In ginocchio da te, Non son degno di te, Se non avessi più te) che parla solo di carezze. Zero baci per Patty Pravo e i complessi beat (Camaleonti, Nomadi, Equipe 84 ecc). In Battisti-Mogol il bacio compare solo rarissimamente. Si fa strada un linguaggio molto più esplicito (L'importante è finire di Cristiano Malgioglio per Mina). Insomma, non ci si bacia più, si fa l'amore.

Recuperi vintage

Superati gli anni della contestazione, dei cantautori impegnati, del rock demenziale, il bacio sopravvive. Anche se non sostiene più l'idea di un amore assoluto e disincarnato (il corpo della donna non esisteva, c'erano solo bocca occhi capelli). Il più fedele e tenace è Claudio Baglioni, da Questo piccolo grande amore, 1972, a Vivi, 1990, i baci si sprecano. Anche Gianna Nannini, periodicamente, riscopre i baci: da Bello e impossibile, 1986, a Meravigliosa creatura, 1995 a Ti voglio tanto bene, 2011. Niente baci o quasi per Cocciante e Venditti. C'è un Bacio sulla bocca, 2003, per Ivano Fossati. Baci rock con Vasco Rossi: "Vorrei (...) baciarti, / baciarti dappertutto". Baci neoromantici con Laura Pausini: "prendi le mie mani e baciami", Innamorata, 2015; "un bacio in fronte e dopo sulle labbra", Simili, sempre 2015.

Sono baci un po' così, baci che hanno un sapore vintage, come testimoniano le canzoni dei due film di Gabriele Muccino, L'ultimo bacio, 2001, e Baciami ancora, 2010. Nella canzone-titolo del primo, Carmen Consoli cita abbondantemente “un malinconico Modugno”, cioè Piove, 1959, (“mille violini suonati dal vento”, “pioggia d'argento” ecc.). Jovanotti, tradizionalmengte refrattrario ai baci, in Baciami ancora mixa Gino Paoli (“un cielo, una stanza”) con Fotoromanza di Gianna Nannini (“una stella che esplode ai confini del cielo”). Ma forse proprio per l'alto tasso di rimandi alla musica di ieri, queste due canzoni esprimono la nostalgia di un passato non più recuperabile.

*Ranieri Polese è nato nel 1946 a Pisa; ha studiato Filosofia e, dalla fine degli anni Settanta, è membro del sindacato Critici Cinematografici. Dal 2004 al 2007 ha fatto parte della Commissione selezionatrice della Mostra di Venezia. Ha scritto per le pagine culturali di diversi giornali (“La Nazione”, “L’Europeo”). Nel 1995 ha pubblicato per Rizzoli Il film della mia vita_. Ha scritto l'introduzione al libro_ Vasco Rossi. Le mie canzoni_, Mondadori 2005. Dal 2006 ha curato l'"Almanacco Guanda": il primo numero era dedicato a_ La musica che abbiamo attraversato. È stato caporedattore Cultura e inviato del “Corriere della sera”, a cui ancora collabora. Sta preparando una Storia del bacio nella canzone italiana per le edizioni Archinto.

Immagine: Adriano Celentano

Crediti immagine: Nikita Kozyrev [CC BY-SA 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)]