di Francesca Dragotto*
Chi nasce dall’eponimo Descrivere e spiegare le modalità attraverso le quali del lessico possa essersi originato a partire da nomi propri: questo l’ambito di indagine della deonomastica, branca dell'onomastica strettamente interrelata alla morfologia – il settore della linguistica interessato principalmente alle modalità della formazione delle parole – ma anche alla psicologia, almeno per quanto concerne le motivazioni che spingono il parlante a esercitare la propria spinta creativa in molte ma non in tutte le direzioni. Volta alla classificazione di tutte quelle forme della lingua originatesi a seguito del passaggio di un nome proprio (il nome-base, cui ci si riferisce col termine di eponimo, almeno nella tradizione italiana, dal momento che in quella anglosassone, ad esempio, il termine è impiegato a comprendere anche il risultato stesso della lessicalizzazione) a nome comune, aggettivo, verbo, avverbio, ecc. Rientrano, al contempo, tra i fattori presi in considerazione in questo ambito di analisi linguistica, le motivazioni - storiche, sociali, linguistiche ecc. - e le modalità (per antonomasia, metafora, metonimia; derivazione, composizione, ecc.) operanti nel processo di creazione dei deonimici, termine col quale si rinvia alle (neo)forme lessicalizzate dette anche deonomastiche.
Il respiro della lingua Per esemplificare i processi operanti nella formazione dei deonimici si prenderà in esame un gruppo di neoformazioni piuttosto recenti attestate in numero considerevole in special modo nei registri informali dell’oralità e in alcuni generi di testi scritti: testualità caratterizzate, tutte, dall’assenza di confini netti rispetto all’oralità. Scrivono Giovanni Adamo e Valeria Della Valle ad incipit della prefazione metodologica ad un volume apparso lo scorso anno (Adamo G., Della Valle V., 2006 parole nuove. Un dizionario di neologismi dai giornali, Sperling & Kupfer Editori, Milano 2006) e dedicato alla raccolta di neologismi apparsi sui giornali italiani successivamente al 2003 che «Se si pensa ad una lingua come a un organismo vivo, immagine di una società nella sua storia e nel suo continuo divenire, le parole nuove che si formano quotidianamente sono il respiro vitale di quella lingua» (p. V).
Psicologia delle meteore Motore, tra i principali, del rinnovamento e del rinvigorimento della lingua, il neologismo consente alla lingua di esaltare la sua plasticità attraverso una serie di procedimenti, determinando, all’occhio del linguista o comunque dell’osservatore accorto, uno scenario paragonabile a ciò che potrebbe essere il cogliere l'attimo di un'infinitezza: quella della creazione linguistica, incessante e inarrestabile come la vita dei parlanti che della lingua si servono per i più disparati scopi, imprevedibile alla stregua dei loro comportamenti. Originato da una parola già in uso, ispirato da un modello straniero o colto, per lo più classico, mutuato da un dialetto o da un ambito specialistico, il neologismo rifluisce nel lessico rinnovandolo, con un’evidenza tanto più sensibile quando coinvolge e investe l’uso comune. Che si tratti di creazioni occasionali - vere e proprie meteore destinate ad esaurirsi col tacitarsi del fatto o dell’evento connesso con la creazione della nuova forma –, di modismi, o di forme destinate col tempo ad insediarsi nel sistema linguistico (o in uno dei tanti sottosistemi di cui il sistema risulta consistere), ciò che in questo processo appare incontestabile è il ruolo strategico spettante all’emotività e in generale ad un complesso di fattori di natura psicologica rispetto ai quali il neologismo costituisce la controparte linguistica. Consegue allora, dal ruolo strategico detenuto dalla sollecitazione esercitata sul parlante da un fatto inatteso, percepito di straordinaria importanza (quand’anche relativa all’hic et nunc) per la vita sociale della comunità, l’importanza attribuibile ai media, vecchi e nuovi, nella ricerca di nuovo lessico: i media, infatti, oltre che come generico veicolo di diffusione sintetizzano e riflettono, ciascuno con le proprie peculiarità, la condizione e le attività linguistiche di una società in perenne fermento, a maggior ragione quando il processo della creazione lessicale pur riguardando ambiti linguistici teoricamente limitati risulta invece in grado di dilagare nel linguaggio quotidiano.
La lingua nel pallone Così come avviene per il linguaggio del calcio, foriero di una molteplicità di stimoli per la tendenza, ad esso connaturata, a intrattenere rapporti osmosici e con la lingua cosiddetta comune, e con linguaggi settoriali altri. Lingua tecnica che molto impresta alla lingua corrente (es. essere in palla, giocare in casa, salvarsi in angolo, o in zona Cesarini ecc.) ma che, soprattutto, molto prende a prestito da questa con l’intento di intervenire sulla semantica originaria modificandola nel senso della specificità (es. distendersi, insaccare, imbeccare, servire, infilare, incornare, bloccare, suggerimento ecc.), essa è più caratterizzata rispetto ad altre forme di linguaggi specialistici dalla diffusione trasversale rispetto alla stratificazione sociale (Beccaria G. L., Per difesa e per amore. La lingua italiana oggi, Garzanti, Milano, 2006, p. 69). Difficilmente si potrebbero infatti individuare altri linguaggi nei confronti dei quali la competenza (meta)linguistica del parlante – intesa sia come padronanza della stratificazione semantica dei singoli segni e dei costrutti nei quali i segni ricorrono, sia come pertinenza con i contesti d’uso – si dimostri così raffinata e soprattutto ben attestata nel repertorio della comunità parlante. Accade, anzi, sovente di osservare proprio come parlanti generalmente in possesso di una non spiccata competenza nell’uso delle strutture linguistiche dimostrino invece nei confronti dei tecnicismi calcistici una notevole perizia e accuratezza, la cui diretta conseguenza è la capacità di astrazione, dalle forme note, degli schemi formativi sottostanti e di riuso degli schemi stessi in presenza di situazioni concrete che si prestino ad essere descritte attraverso di essi.
Cassanate e vierate… berlusconate e prodate Emblematico appare in tal senso il caso di quel filone di neoformazioni caratterizzate dalla presenza del formante –ata, che, applicato a basi antroponomastiche, consente di derivare nomi di azione semanticamente caratterizzati dal rimando a ‘gesti o azioni non ordinarie compiute dalla persona indicata dalla base e connotati per lo più in senso spregiativo o comunque ironico’: cassanata sarà pertanto ‘l’atto impulsivo e poco ragionevole, generalmente portatore di conseguenze negative per la squadra, compiuto da Antonio Cassano’, e successivamente, in senso antonomastico, ‘il gesto alla Cassano’, così come la vierata lo sarà in riferimento a Vieri e tottata lo sarà per Totti, sebbene in questo ultimo caso, a differenza dei precedenti, la semantica negativa si trovi ad essere spesso decisamente attenuata a vantaggio di una idea di furbizia che talora rasenta la naïveté. Di amplissima diffusione negli ultimi anni, le formazioni in –ata sono letteralmente dilagate nel linguaggio comune in conseguenza di una sorta di effetto-replica innescato dall’impiego massiccio delle forme stesse da parte dei giornalisti, dapprima nella cronaca di ambito sportivo e, successivamente, nella cronaca tout-court (anche in funzione dell’alto rendimento funzionale in titoli e occhielli), passando però attraverso una fase intermedia che ha trovato una mirabile fonte ispiratrice per la coniazione delle nuove occorrenze nei palazzi della politica. Di qui la berlusconata o la prodata, ma anche la cavalierata o la professorata muovendo non dalla base onomastica personale bensì dai titoli con cui il nome proprio alterna in riferimento, rispettivamente, a Berlusconi e Prodi; ma anche la mastellata, la castellata, la maronata e la bossata, unitamente a decine di altre forme, tutte pertinenti col contesto di gesta stigmatizzate compiute dai soggetti in questione. A questo rapidissimo excursus in estensione sulle potenzialità insite nello schema formativo dei denominativi in –ata – un cui antecedente storico va senz’altro ravvisato nell’americanata datato dal GRADIT (GRADIT, Grande dizionario italiano dell’uso, a cura di Tullio De Mauro, Torino, UTET 2000, 20032) agli inizi del Novecento (1905), ma per il quale un passaggio obbligatorio appare essere stato senz’altro costituito dalla mandrakata prima fumettistica, poi filmistica (eventualità che corroborerebbe l’ipotesi di una iniziale marcatezza diatopica riferita a Roma confluita nel serbatoio della stratificazione verticale del repertorio linguistico italiano proprio in conseguenza dell’impiego nella cronaca giornalistica di queste forme) – se ne potrebbe affiancare un altro, per così dire in intensione, per mezzo del quale cogliere tutte le forme originatesi a partire da una singola base.
È tutto un tottume Che, se fosse costituita da Totti, fornirebbe come corpus complessivo per una diacronia relativa individuata nei testi presenti nella rete Internet spogliati per mezzo dell’analisi autoptica dei risultati prodotti dall’interrogazione del motore di ricerca Google tra la fine di gennaio 2007 e la fine di aprile dello stesso anno, almeno le seguenti forme: tottata, tottesco/-a (per lo più ad indicarne lo stile o particolari abilità: cfr. cucchiaio tottesco, dal pallonetto detto “a cucchiaio” in riferimento all’effetto della modalità con cui è tirato, stile tottesco, sorriso tottesco, predominio tottesco, accento tottesco, linguaggio tottesco, forma questa che, a seguito dell’ellissi del sostantivo, ha prodotto per sostantivazione il tottesco, glottonimo che indica ‘la lingua di Totti’), tottoso/-a, (il) tottone (accrescitivo connotato affettuosamente), tottaro, tottoloso, (il) tottino, tottare, tottissimo, supertotti, tottato/ -a, tottume (connotato negativamente come di prassi per le basi nominali o aggettivali nominalizzate con il tratto + umano, del tipo bastardume, criticume, ecc.; cfr. Grossmann M., Rainer F., La formazione delle parole in italiano, Niemeyer, Tübingen, 2004, p. 246-247), (i) tottari (‘quelli che si comportano alla Totti’), totterare (anche nelle forme flesse totterai, totterà), tottaccio (spregiativo bonario che riecheggia monellaccio), tottacci (da distinguersi ripetto a tottaccio dal momento che non si tratta del plurale di questo bensì di una forma assonante con l’insulto marcatamente romanesco mortacci), tottaggine (formazione che per certi versi ricalca le modalità di formazione di tottata, dal momento che semanticamente sottintende l’evidente richiamo a lessemi quali stupidaggine o imbecillagine, così come tottata e le altre forme in -ata riecheggiano boiata, stupidata, cazzata), altotti, tottina/-e (in cui la forma plurale riecheggia la semantica di veline, così che le tottine sono le starlet di Totti), tottiniamo, tottiamo, totterello, totteria (scarsamente attestato e dalla semantica affine a quella dei collettivi derivati in –eria – non tutti semanticamente connotati in senso negativo – esprimenti in genere oltre al significato collettivo ‘insieme di N’ altri significati metonimicamente collegati, come nel caso di avvocateria, fucileria, segreteria… che rimandano a ‘azioni, atteggiamenti, modi di comportarsi tipici della classe di referenti designati dalla base’; cfr. Grossmann M., Rainer F., La formazione delle parole in italiano, Niemeyer, Tübingen, 2004, p. 247-248), tottiade e totteide (recuperando lo schema formativo dell’Iliade e dell’Eneide, alle gesta dei cui protagonisti le gesta tottiane sono assimilate).
L’attivismo deonomastico Diverse per schema formativo impiegato e per facilità di accesso allo stesso attraverso il processo della segmentazione (la semantica di una forma come altotti, ad esempio, risulta accessibile solo attraverso l’unità semantica con l’elemento in coordinazione e bassotti, riferito evidentemente alla banda cartoonistica disneyana, banda bassotti, reimpiegata dal parlante ricorrendo alla segmentazione [bass- + -otti] e sostituendo il primo elemento con il suo contrario dando così luogo ad una forma scherzosa contenente il nome del capitano della Roma), queste neoformazioni appaiono diverse anche per vitalità (il numero di occorrenze registrate varia sensibilmente tra l’una e l’altra) e per cronologia e di prima attestazione (l’epoca cui risale la prima occorrenza individuabile) e di riferimento per l’uso del termine. Che si tratti di creazioni occasionali, quand’anche di veri e propri hapax legomena, a uso e consumo della situazione comunicativa che li ha generati, oppure di formazioni provviste di quel grado di ricorrenza necessario a consentire l’annessione di un termine nel lessico consolidato della lingua (ossia di neoformazioni destinate a passare allo stato di neologismi e poi, nei casi più fortunati, di lessico consolidato), l’osservazione delle formazioni deonomastiche, dei processi che hanno condotto alla loro creazione e degli effetti derivanti dall’uso delle stesse nelle dinamiche interazionali, mostrano chiaramente come il parlante detenga, nei confronti della lingua, un ruolo attivo, di vera e propria primazia, rivendicando per sé, a scapito del sistema, la lingua stessa, quell’onnipotenza semantica che sembra caratterizzare la lingua tra tutti i sistemi simbolici. *Francesca Dragotto, ricercatrice nel settore Glottologia e Linguistica presso l’Università di Roma “Tor Vergata”, ha interessi nell’ambito classico per la grammatica tardo-antica e le questioni connesse col cosiddetto latino volgare e, in ambito moderno, per lo studio degli effetti dell’interdizione linguistica in italiano e per i processi di creazione e modificazione del lessico.