di Giovanni Bianconi*

In tempi di riforme più annunciate che realizzate, più improvvisate che studiate, capita spesso che l’analisi dei fenomeni su cui si vorrebbe incidere venga artificiosamente adattata al risultato inseguito; o piegata alla necessità di far credere che il problema abbia dei connotati tali da suggerire una soluzione anziché un’altra. Di solito la più “popolare”, quella che si può riassumere nello slogan più accattivante e che assicura maggior presa sull’opinione pubblica.

Denunciare la stortura giusta per la cura

Prima ancora di affrontare il merito delle modifiche da introdurre, insomma, si denuncia una presunta stortura che tutti (o quasi) possano identificare come tale, per poi propagandare la cura più facile e immediata. È quel che è accaduto e accade, ad esempio, con le riforme istituzionali affrontate a colpi di frasi a effetti del tipo “aboliamo il Senato per dare un taglio netto ai costi della politica”, salvo poi impantanarsi in complicazioni e contraddizioni quando si tenta di agire in concreto (o accapigliarsi su questioni come l’immunità da garantire o meno ai senatori non più eletti dal popolo, sorvolando sul fatto che l’immunità disegnata dai costituenti e la relativa autorizzazione a procedere non esistono più dal 1993, mentre sono rimaste delle guarentigie che sarebbe curioso mantenere per un membro del Parlamento in seduta comune e non per un altro). E rischia di accadere ancora, ad esempio, con le riforme in materia di giustizia.

Contro i giudici, con candore

“Il giudice che sbaglia deve pagare”, si dice per sollecitare una rapida e drastica introduzione della responsabilità civile diretta dei magistrati. Chi può non essere d’accordo con una simile affermazione di principio? Chi può non condividere il principio che ognuno deve rispondere delle proprie azioni? Il quesito da risolvere – un po’ più complesso, purtroppo – riguarda il come realizzarlo, in un settore delicato come quello giudiziario, e a questo proposito è tutto un fiorire di improponibili paragoni con i medici o gli ingegneri che si possono citare in giudizio se curano male un paziente o costruiscono un palazzo che poi crolla. “Perché un magistrato no?”, ci si domanda con ostentato candore, senza considerare che – a differenza di medici o ingegneri – un giudice chiamato a dirimere una controversia deve necessariamente dare ragione a una parte e torto all’altra, così che ci sarà sempre qualcuno che potrà lamentarsi di essere stato danneggiato rivendicando l’errore del giudice.

Immediato, superficiale, propagandistico

La questione dovrebbe essere, allora, quella di rendere più efficace il sistema della responsabilità indiretta previsto da una legge in vigore da circa un quarto di secolo (si può citare e far pagare lo Stato rappresentato dal giudice, qualora vengano riconosciuti i presupposti dell’errore e del danno procurato per dolo o colpa grave) e successivamente della rivalsa dello Stato sul proprio funzionario. Ma si entrerebbe nel campo di tecnicalità e rimedi più seri, e però meno utili alla propaganda, dunque poco spendibili nel dibattito pubblico dove s’impongono immediatezza e superficialità. Meglio allora limitarsi ad enunciazioni generiche ancorché fuorvianti, come l’inesistente richiesta europea di introdurre la responsabilità diretta dei magistrati, buone al massimo a far salire il gradimento in un dibattito televisivo.

Strane riletture di Tangentopoli e Mani Pulite

Altro tema e altro luogo comune ricorrente nei talk show e nelle polemiche che ci inseguono da oltre un ventennio: in Italia la sinistra ha scelto di andare al potere – meglio: di sbarazzarsi degli avversari per provare ad andare al potere – attraverso la via giudiziaria anziché la legittima via elettorale. E giù analisi “storiche” su Tangentopoli e Mani Pulite che ha tagliato via un intero sistema di partiti per lasciare campo libero al Pci-Pds-Ds-Pd. Tralasciando il più delle volte particolari come i seguenti: a) se c’è un esponente politico, fondatore di un nuovo partito, che s’è avvantaggiato del vuoto creato dalle inchieste ribattezzate Mani Pulite questi è Silvio Berlusconi, che prima ha sostenuto e poi utilizzato a proprio favore il lavoro dei magistrati (non a caso, al momento di formare il suo primo governo nel 1994, offrì incarichi ministeriali ai pubblici ministeri in servizio Antonio Di Pietro e Piercamillo Davigo, ma di questo quasi nessuno si ricorda più); b) le cosiddette “toghe rosse” sono una minoranza all’interno della magistratura, come dimostrano i dati elettorali nella categoria nonché la distribuzione dei posti nell’organo di autogoverno e negli uffici giudiziari, e dunque poco si comprende come possano incidere in maniera così decisiva sul piano politico sugli esiti di inchieste e processi, senza che gli altri abbiano da ridire; c) è abbastanza plausibile ritenere che sul risultato delle ultime elezioni politiche abbia pesato anche, e forse in modo determinate, l’inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena che ha coinvolto in primo luogo uomini e ambienti vicini al Partito democratico.

Scrivere la storia senza conoscerla

Sono tutti argomenti sui quali sarebbe utile discutere in maniera approfondita e “laica”, perché pure le argomentazioni appena esposte possono essere contraddette e analizzate nei dettagli fino a raggiungere conclusioni diverse. Ma si tratterebbe di leggere e studiare i fatti per quello che sono, non piegarli alle proprie esigenze. Invece si va avanti tra slogan e controslogan, poiché non c’è più solo lo schieramento di chi demonizza l’azione giudiziaria per difendere una certa classe politica o un certo modo di fare politica; ha preso corpo anche uno schieramento uguale e contrario, composto da chi demonizza l’azione politica per difendere un certo modo di condurre indagini e processi su cui pure ci sarebbe molto da dire. In più, si registra il fenomeno di giovani o giovanissimi osservatori e opinionisti che affrontano la storia recente non più per averla vissuta o appresa in diretta, o anche solo studiata seriamente, bensì per come viene divulgata da saggi e articoli di giornali contrapposti. Per cui, consequenzialmente, Mani Pulite non è stato altro che l’anticamera della «via giudiziaria al socialismo» (o all’antiberlusconismo, che però è frutto del berlusconismo favorito da Mani Pulite come s’è accennato, e dunque certi conti non tornano); e il processo sulla presunta trattativa Stato-mafia al tempo delle stragi viene dipinto o come una «boiata pazzesca» (così ha titolato un quotidiano strumentalizzando l’analisi critica di un noto e stimato giurista) oppure, sul fronte opposto, come «la Norimberga italiana» che dovrebbe svelare gli indicibili accordi su cui sarebbe sorta la Seconda Repubblica.

I fatti all'ultimo posto

I destini degli imputati e il raggiungimento della prova dei fatti passano così dal primo all’ultimo posto, il che la dice lunga sui guasti provocati da certe interpretazioni e strumentalizzazioni dei fenomeni giudiziari, e sulla pubblicistica che hanno prodotto. Da cui deriva, con le inevitabili storture che quei guasti si portano dietro, il dibattito sulla riforma della giustizia, e magari sulle più ampie riforme istituzionali. Fino allo slogan successivo, e alle successive proposte di riforma.

*Giovanni Bianconi è giornalista del «Corriere della sera».