03 settembre 2013

Ripensare la linguisticità attraverso le lingue dei segni

di Sabina Fontana*

Le lingue dei segni emergono dai bisogni comunicativi dei sordi che, per essere soddisfatti, richiedono un canale integro e per questo naturale. Si potenziano così le funzioni comunicative dei gesti manuali e non manuali, che si strutturano per significare in modo convenzionale, sistematico e arbitrario e che diventano successivamente lingua attraverso l’intervento di una poderosa base sociale cioè di una comunità.
 
Parole fatte di cheremi
 
Lingue dei segni e lingue vocali condividono proprietà specifiche dei linguaggi umani come la doppia articolazione, l’arbitrarietà, la produttività, la combinatorietà regolata o sintassi, la mutabilità nel tempo e nello spazio. Sono codici semiologici che si basano sull’associazione convenzionale di una certa materia espressiva con un dato significato. Sono doppiamente articolati, cioè sono strutturati sistematicamente in segni, cioè unità dotate di significato (di prima articolazione), che sono a loro volta composte da unità sublessicali (di seconda articolazione), i cheremi o parametri. In particolare, mentre nelle lingue vocali una parola è composta da suoni (per es. p-e-s-c-e), nelle lingue dei segni, le unità significative sono costituite dai cheremi e cioè dal luogo in cui viene articolato il segno, dalla configurazione, dal movimento e dall’ orientamento della mano. La combinazione ricorrente di questi quattro parametri obbligatori costituisce un segno  esattamente come la combinazione di un dato numero di fonemi struttura una parola. Nella diversa organizzazione delle unità sublessicali e lessicali, si riscontra una prima influenza della modalità di espressione. Infatti, l’uso degli articolatori manuali e non manuali (espressione facciale, postura, direzione dello sguardo, componenti orali) per veicolare significati, determina fenomeni di simultaneità sconosciuti alle lingue vocali. Un’ulteriore differenza tra le due lingue si riscontra al livello morfofonologico: infatti a differenza dei fonemi delle lingue vocali che sono privi di significato, nelle lingue dei segni i parametri possono contribuire al significato.
 
Simboli visivi e cultura di appartenenza
 
Per esempio, il luogo di esecuzione del segno MANGIARE è inequivocabilmente collegato all’azione di portare il cibo alla bocca così come il movimento del segno TAGLIARE-CON-FORBICI ricorda l’azione. Il ruolo delle mani nella quotidianità influisce nella creazione dei segni sin dal livello sublessicale con evidenti esiti iconici. Tuttavia, a dispetto di tanta iconicità, come nelle lingue vocali, la sostanza segnica viene scelta arbitrariamente, cioè liberamente rispetto al contesto extralinguistico. Le lingue dei segni operano una selezione di simboli o di metafore visive sulla base della griglia della cultura di appartenenza, come per esempio nel caso di CAMBIARE o di ALBERO .
 
Le lingue dei segni cambiano nel tempo e nello spazio
 
Una conseguenza dell’arbitrarietà delle lingue storico-naturali è la mutabilità nel tempo e nello spazio, proprio perché non esiste un legame della lingua con la realtà extralinguistica. Le lingue dei segni cambiano nel tempo poiché si modificano gradualmente i valori dei singoli segni, dei gruppi di segni e quindi dell’intero sistema per rispondere ai mutevoli bisogni della comunità. Cambiano nello spazio, perché esprimono significati, cioè idee mentali di come è e come funziona il mondo. Esistono, perciò, diverse lingue dei segni e persino varietà dialettali che si ricollegano a realtà storiche, sociali e culturali differenti. Secondo Ethnologue, il database internazionale delle lingue, esistono 121 diverse lingue dei segni. Alcune sono state più studiate di altre. Molte, forse, non sono state neanche censite. Nelle lingue dei segni studiate sinora, si è visto che non tutti i segni sono iconici: alcuni sono arbitrari , altri iconici e altri sono translucidi , cioè diventano trasparenti solo quando si conosce il significato del segno. Questo mostra come l’iconicità possa rendere comprensibile il segno solo parzialmente.
 
Come una macchina da presa
 
Lingue dei segni e lingue vocali sono ugualmente produttive: attingendo alle risorse del sistema, possono costruire unità o strutture che gli utenti sono in grado di decodificare pur non avendole mai viste prima. Un nuovo segno verrà creato, sfruttando luoghi, configurazioni, movimenti e orientamenti già presenti nel sistema attraverso procedimenti di derivazione analoghi alle lingue vocali. Nei meccanismi di organizzazione delle risorse linguistiche e di espansione del lessico, diventa evidente l’influsso della modalità. Si tratta di lingue che dispongono di risorse semiotiche diverse rispetto alle lingue vocali, poiché utilizzando simultaneamente gli articolatori manuali e non manuali, possono ampliare le potenzialità del lessico convenzionale, mostrando oggetti, situazioni o eventi, e costruendo immagini visive con un effetto che solo la macchina da presa è in grado di ottenere.
 
La lingua dei segni italiana (LIS)
 
Nella lingua dei segni italiana (LIS) sono state individuate 56 configurazioni, 16 luoghi, 6 orientamenti e 40 movimenti. I parametri sono soggetti a dei vincoli di natura percettiva e articolatoria. Per esempio, il parametro del luogo non va oltre il bacino o il capo per motivi di facilità di esecuzione e di percezione e i segni coinvolgono prevalentemente il polso e le mani ma non le due braccia a meno che non si voglia deliberatamente ottenere un effetto enfatico. La modalità visivo-gestuale influisce anche sull’espressione delle informazioni morfologiche (tipicamente genere, numero, caso, aspetto etc.) e sulla sintassi. In LIS la differenza tra nomi e verbi non è sempre marcata morfologicamente, come d’altra parte avviene in alcune lingue vocali. Alcune volte l’identificazione del verbo e del nome è affidata alla posizione sintattica e al contesto dell’enunciato. Altre volte, nomi e verbi sembrano essere differenziati sulla base di sottili alterazioni morfologiche nel parametro del movimento e cioè un movimento breve e stazionario per il nome e movimenti ripetuti, prolungati e distribuiti ampiamente nello spazio per il verbo.
 
I nomi articolati nello spazio
 
Per quanto riguarda i nomi, sono state distinte due classi a seconda del luogo di realizzazione del segno. I nomi articolati nello spazio neutro e i nomi che sono eseguiti a contatto con il corpo del segnante realizzano il plurale in modo diverso e cioè rispettivamente mediante la  reduplicazione nello spazio neutro o un segno quantificatore .
 
Le tre classi dei verbi
 
I verbi si suddividono in tre classi secondo il loro luogo di articolazione: rientrano nella prima i verbi articolati sul corpo, nella seconda i verbi articolati nello spazio neutro direzionali (con due punti di articolazione) e infine nella terza, i verbi articolati nello spazio neutro non direzionali (con un punto di articolazione). Il primo gruppo di verbi non presenta alcuna flessione per esprimere l’accordo con il soggetto e con il complemento ma soltanto per esprimere condizioni aspettuali come azioni improvvise o persistenti. La seconda classe raggruppa quei verbi che subiscono delle alterazioni flessive per esprimere il soggetto e l’oggetto e le esprimono attraverso i due punti di articolazione. La terza classe riguarda, invece, quei verbi che hanno un unico punto di articolazione e che quindi non sono direzionali come per esempio ROMPERE .
 
L'ordine degli elementi
 
L’ordine degli elementi non corrisponde a quello dell’enunciato in italiano poiché la modalità visivo-gestuale e quindi l’uso di articolatori manuali e non manuali consente un’espressione simultanea di informazioni rispetto alla forzata sequenzialità delle lingue vocali. In generale, l’ordine degli elementi in un enunciato è subordinato al significato del verbo, al contesto dell’enunciato, al duplice uso dello spazio in senso morfosintattico o in senso topografico.
 
L'espressione facciale
 
Anche gli articolatori non manuali veicolano informazioni importanti sul piano semantico e morfosintattico. Per esempio, l’espressione facciale, in concomitanza ad altri articolatori manuali e non manuali, veicola informazioni avverbiali e aspettuali, disambigua la natura dell’enunciato, cioè se interrogativa, negativa o affermativa, esprime la posizione del segnante rispetto a ciò che dice, segnala i passaggi di ruolo, è fondamentale nel fenomeno dell’impersonamento, cioè della caratterizzazione espressiva dei protagonisti di una data storia, sia essa una favola, sia essa una storia del quotidiano.
Lo studio delle lingue dei segni ha avviato una riflessione sulla natura del linguaggio e delle lingue umane, mostrando la necessità di ripensare la linguisticità in relazione alla natura multimodale della comunicazione .
 
Bibliografia essenziale
Cuxac, C., Antinoro Pizzuto, E., Émergence, norms et variations en langues des signes: vers une redéfinition conceptuelle, in «Langage et Société», 131, 2010, pp.37-54.
Mottinelli, M. e Volterra, V., Le lingue dei segni nel mondo, in Enciclopedia Treccani XXI Secolo. Comunicare e Rappresentare, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2009, alle pp. 361-372.
Radutzky, E. (a cura di), Dizionario bilingue elementare della Lingua Italiana dei Segni, Edizioni Kappa, Roma 1992 .
Russo Cardona, T. e Volterra, V., Lingue dei segni: storia e semiotica, Carocci, Roma 2007.
Volterra, V., La lingua italiana dei segni. La comunicazione visivo-gestuale dei sordi, Il Mulino, Bologna 2004.
 
*Sabina Fontana insegna Linguistica Generale e Pragmatica presso l’Università di Catania (sede di Ragusa) e collabora con l'Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR. Tra le sue pubblicazioni, Linguaggio e Multimodalità (2009) e Tradurre Lingue dei segni (2013). Ha, inoltre, curato I Segni Parlano (2008), I Segni Raccontano (2009), Segnare, Parlare, Intendersi. Modalità e forme (2012).
 

 


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