La sordità viene definita come una riduzione più o meno grave dell’udito. In Italia l’incidenza di sordità infantile grave o profonda, congenita o acquisita in epoca precedente allo sviluppo della lingua verbale, è stimata intorno all’1/1.000 della popolazione.

Le cause della sordità sono ancora oggi uno degli aspetti meno chiari della diagnosi, questa incertezza è determinata dalla varietà di fattori che possono intervenire. Esistono sordità prenatali ereditarie (ad es., il gene GJB2 all’interno del cromosoma 13) o acquisite (malformazioni congenite, malformazioni tossiche dovute ad es. all’assunzione di alcuni farmaci, malformazioni endocrine-dismetaboliche dovute ad esempio al diabete, o malformazioni infettive come ad esempio la toxoplasmosi). Vi sono sordità perinatali, insorte cioè alla nascita, come ad esempio traumi ostetrici, ittero, ipossia, prematurità, anossia. E in ultimo sordità postnatali come le sordità ereditarie e genetiche progressive che non si manifestano alla nascita ma con il passare degli anni, traumi cranici, malattie infettive (otite media, meningite, encefalite, parotite, morbillo, toxoplasmosi), intossicazioni da farmaci, malattie dell’orecchio medio (perforazione della membrana timpanica, otosclerosi).

Da famiglie udenti

Oltre al grado, alle cause e all’età di insorgenza della sordità, vi sono altri fattori che la rendono un fenomeno molto eterogeneo. Primo fra tutti la/le lingua/e utilizzata/e da ogni persona sorda. La maggior parte dei genitori udenti sceglie per i propri figli sordi una logopedia (cioè un’educazione al linguaggio) di tipo oralista che non comprende quindi l’uso della lingua dei segni (si ricordi che il 95% dei bambini sordi nasce da genitori udenti). Uno sguardo superficiale quindi potrebbe far pensare che la Lingua dei Segni Italiana (LIS) sia usata soltanto dalla piccola minoranza di sordi con genitori sordi (5%). Ma chiunque conosca la situazione italiana, sa che la realtà è molto diversa: la grande maggioranza dei sordi segnanti proviene da famiglie udenti, e impara la LIS alle età e nelle situazioni più disparate, entrando in contatto con questa lingua grazie ad altre persone sorde segnanti a prescindere dalla logopedia effettuata (Mottinelli, Volterra, 2009). Non è raro il caso di giovani sordi che, pur possedendo una buonissima padronanza dell’italiano parlato e scritto, scelgono di imparare la LIS e di diventare così bilingui, sviluppando profondi rapporti umani e culturali con altre persone sorde, pur mantenendo relazioni altrettanto intense con la comunità di udenti da cui provengono.

Accanto alle lingue vocali e scritte

Un pregiudizio purtroppo ancora diffuso è che la conoscenza della LIS, o anche semplicemente l’uso di forme di gestualità spontanea, possa ostacolare più o meno gravemente l’apprendimento o l’uso della lingua parlata e scritta. I dati forniti da numerose ricerche su questo argomento mostrano che tale opinione non ha alcun fondamento scientifico. Ad esempio, uno studio pubblicato su «Nature», una delle riviste scientifiche più prestigiose del mondo (Mayberry, Lock, & Kazmi, 2002), ha mostrato che l'apprendimento di una lingua dei segni non interferisce negativamente con l'apprendimento della lingua orale, al contrario, le lingue dei segni possono essere un aiuto efficace per apprendere le lingue vocali, facilitando in particolare i processi di comprensione linguistica. Questi risultati hanno rafforzato l’idea che le lingue dei segni possano venire utilizzate a fini educativi accanto (e mai in sostituzione) alle lingue vocali e scritte. Ad esempio alcune logopediste utilizzano la LIS nell’educazione all’Italiano parlato grazie al metodo chiamato bimodale.

Poche scuole bilingui in Italia

I dubbi che i genitori incontrano nella scelta dell’iter logopedico più idoneo per i loro figli sono gli stessi che incontrano di fronte alla scelta del tipo di scuola in cui inserire il proprio bambino. Attualmente in molti Paesi europei (ad esempio Danimarca, Francia, Spagna e Svezia) ed extraeuropei (Stati Uniti, Canada e Paesi dell’America Latina) si è andato affermando un modello di educazione bilingue. In Italia alle famiglie è data la possibilità di scegliere fra scuola ordinaria e scuola bilingue (pochissime!). Nella scuola ordinaria (tutti alunni udenti e solitamente solo uno studente sordo) grazie alla L. 104/92 le famiglie possonorichiedere, dal nido alla scuola superiore, un assistente alla comunicazione che, in affiancamento all’insegnante di sostegno, favorisca l’apprendimento dell’alunno sordo utilizzando anche la LIS se la famiglia lo desidera. Le poche scuole bilingui che invece esistono in Italia hanno l’obiettivo di integrare i bambini sordi e quelli udenti, di modo che i primi acquisiscano la LIS come lingua naturale insieme ai secondi che la imparano invece come seconda lingua il più precocemente possibile (cioè partendo dalla scuola dell’infanzia). Le attività didattiche vengono quindi tutte svolte nelle due lingue e le classi sono formate da udenti e sordi insieme (non più un solo bambino sordo in una scuola di udenti come invece avviene nella scuola ordinaria).

LIS e senso di identità

Attualmente c’è un grosso dibattito politico intorno al riconoscimento della LIS nel nostro Paese, e troppo spesso le motivazioni che sento, sia a favore che soprattutto contro, sono unicamente legate ad aspetti linguistici, e non tengono minimamente conto di quanto questa lingua concorra a costruire un senso di identità profondo e radicato in moltissime persone sorde. Tutelare una minoranza linguistica e culturale non significa imporre la lingua dei segni a chi non la vuole utilizzare, significa invece riconoscerne il valore e lo status di lingua che merita, per tutti coloro che, in diversa maniera e per differenti ragioni, interagiscono con la comunità sorda o ad essa appartengono per nascita o, come me, per scelta.

Testi citati

Mayberry, R. I., Lock, E. & Kazmi, H., Linguistic ability and early language exposure in «Nature», 417, 38, 2002.

Mottinelli, M. e Volterra, V., Le lingue dei segni nel mondo, in Enciclopedia Treccani XXI Secolo. Comunicare e Rappresentare, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2009, alle pp. 361-372.