18 ottobre 2012

Questo è il punto

di Francesca Serafini *

Quando ho pubblicizzato su Facebook la presentazione del libro, impressionato dai nomi degli ospiti, Stefano Bartezzaghi ha subito commentato che mancava soltanto il Patrocinio del Presidente della Repubblica. In effetti, considero un privilegio la disponibilità di Concita De Gregorio, di Luca Serianni e di Sandro Veronesi, e li ringrazio molto per il tempo che hanno dedicato al libro e per l’occasione che hanno offerto a me di un confronto, qui, con le tre figure più coinvolte nella trattazione: quella del linguista, per cui la punteggiatura è oggetto di studio; e quelle del giornalista e dello scrittore, per cui punti e virgole costituiscono uno strumento essenziale nella pratica del loro mestiere.
 
L'italiano del maestro
 
Luca Serianni, oltre a essere stato il mio maestro, è un punto di riferimento ineludibile per gli appassionati di storia della lingua, non solo per le cose che dice ma per come le dice. Per me, e so per certo anche per altri suoi allievi, le sue lezioni sono state prima di tutto una fruizione estetica. Non ci andavi per imparare delle cose: anche se poi, naturalmente, ne imparavi molte; ci andavi per ascoltare il suo italiano.
 
L'informazione dopo l'emozione
 
Gli articoli di Concita De Gregorio, poi, sono tra i primi che vado a cercare la mattina quando apro il giornale. Per quell’abilità che ha lei di legare sempre all’informazione spunti emotivamente forti, dandole un respiro narrativo più ampio della cronaca tradizionale; da cui in realtà sempre più nel tempo, anche grazie ai suoi contributi e a quelli di altre grandi firme, ci si aspetta proprio questo tipo di approfondimento, visto che alla notizia in sé si può accedere con mezzi più immediati del quotidiano.
 
Tutto in racconto
 
Per quanto riguarda Sandro Veronesi, è impossibile per me non fare riferimento all’esperienza dell’Accademia degli Scrausi, che peraltro di questi tempi festeggia il suo ventennale. Si tratta di un’associazione di studiosi di storia della lingua italiana nata all’università e che ha all’attivo molti convegni, alcuni libri e un Premio Strega vinto nel 2006 in qualità di presentatori proprio di Caos calmo. Anche Veronesi, suo malgrado, per me rappresenta un maestro. Quando abbiamo cominciato a frequentarlo, con gli Scrausi, aveva una trentina d’anni, e colpiva già allora la potenza narrativa della sua scrittura, la sua capacità di trasformare tutto in racconto, grazie alla specialità del suo sguardo. All’epoca aveva pubblicato ancora pochi libri, e anche per questo dalla critica veniva etichettato come “giovane scrittore”; per quanto a noi sembrasse già chiaro di avere a che fare con uno scrittore e basta. Uno bravo, bravissimo. E la storia infatti ci ha dato ragione, con i successi che sarebbero arrivati grazie ai libri molte volte citati anche nel mio.
 
Consigli di lettura
 
Nel quale, tra l’altro, contrariamente a una regola non scritta della saggistica linguistica – che è quella di non esprimere mai giudizi di valore sul “repertorio” analizzato – mi prendo la libertà di fare delle scelte nette, specie in positivo: e non certo per paura di espormi con giudizi negativi, ma semplicemente perché, se ho a disposizione uno spazio, preferisco usarlo per far conoscere qualcosa di bello anziché per denigrare qualcosa di brutto. Sempre, naturalmente, secondo me. Per questo il libro, dovendo scegliere esempi significativi per la trattazione, finisce anche per offrire una serie di consigli di lettura di opere che ho apprezzato negli ultimi anni. L’idea era quella di riportare nella scrittura la mia esaltazione di lettrice, nella speranza di contagiare altri lettori. Proprio per questo spesso attingo gli esempi alle opere di Sandro Veronesi. Un autore che nel frattempo, oltre allo Strega, ha vinto il Campiello e altri premi letterari, e che tuttavia non ha mai smesso di sperimentare e di ricercare, tant’è che secondo me la sua cosa più bella è proprio l’ultima, e cioè il racconto Profezia (contenuto nella raccolta Baci scagliati altrove): e questo, per fortuna, crea ulteriori aspettative sulla sua produzione futura.
 
La responsabilità dell'ultimo boccone
 
Io, nel frattempo, non vorrei aggiungere altro, qui, rispetto a quello che – per chi fosse interessato – si può trovare direttamente in Questo è il punto. Anche perché la collocazione del mio intervento alla fine, come capita di tradizione agli autori nelle presentazioni, rischia di portare acqua al mulino di mio marito rispetto a una vecchia questione aperta tra noi. Succede così. Quando stiamo mangiando e ci troviamo nel piatto diverse pietanze, abbiamo un approccio completamente diverso: io mi avvento con voracità su quella che mi piace di più, per la curiosità di sapere subito se alle attese corrisponde il sapore sperato; lui invece, più compassato, si lascia la cosa più buona per il gran finale. Intanto perché è convinto che dopo, nel confronto, non apprezzerebbe appieno le altre; e poi perché vuole andarsene da tavola con il gusto migliore. E allora, se ha ragione lui, in questo contesto mi sento anche in colpa ad avere la responsabilità dell’ultimo boccone. E siccome non posso far altro – tenendo conto delle “portate” che mi hanno preceduta – che abbassare il livello, vorrei assecondare questo destino ineluttabile lanciando un appello colpevolmente auto-referenziale. È rivolto a tutte le persone che mi conoscono e che, da quando è uscito il libro, hanno sviluppato una sorta di terrore nello scrivermi: terrore che venga giudicato il loro uso della punteggiatura. Ecco allora comparire in decine di email e di sms lo stesso identico poscritto: “cerca di non far caso a come ho messo punti e virgole, mi raccomando”.
 
Un manifesto dell'indulgenza
 
Anche se, a pensarci, il libro è il manifesto programmatico dell’indulgenza; e, in particolare, invita alla consapevolezza, anche e soprattutto del contesto. Quindi non bacchetta nessuno, specie se l’àmbito di scrittura è quello della comunicazione personale ed espressiva. Per questo vorrei tranquillizzare tutti, anche perché non vorrei che alla fine, per timore del giudizio, nessuno mi scrivesse più. Non vorrei trovarmi insomma nella posizione della ex moglie di un noto pornodivo così come emergeva in un’intervista di qualche tempo fa. In quell’occasione, questa signora raccontava come, per molto tempo, dopo la fine del suo matrimonio, non riuscisse ad avere una relazione serena con nessuno perché tutti gli uomini che le suscitavano un qualche interesse erano terrorizzati, al dunque, dal confronto con il loro predecessore. Si potrebbe dire un caso estremo e paradigmatico di ansia da prestazione, che però, davvero, non avrebbe senso nel caso della punteggiatura. I cui segni – se sono visti con gli occhi del congolese analfabeta raccontato da Veronesi: se sono amati, quindi, né rifiutati, né temuti – in definitiva sono tutto quello che abbiamo, insieme alle parole, per affrontare «il problema della vita», secondo Cesare Pavese (nel libro citato più volte): «come rompere la nostra solitudine, come comunicare con gli altri». Perché, in un contesto o nell’altro, il punto vero resta sempre questo.
 
*Francesca Serafini (Roma, 1971) sceneggiatrice (in produzioni Rai, Mediaset, ecc.) ed editor freelance, ha già scritto sull'argomento Storia regole eccezioni, secondo volume di Punteggiatura (Rizzoli 2001). Ha curato con Giordano Meacci il terzo volume della Storia della lingua italiana per immagini. L'italiano letterario: poesia e prosa (Edimond 2011) diretta da Luca Serianni. Da diversi anni alterna la scrittura creativa con quella saggistica; e con l'attività didattica, tenendo corsi di drammaturgia per minimum fax e lezioni universitarie in Italia e all'estero.

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