Esiste una vasta zona in cui la punteggiatura è comunque usata secondo il galateo tradizionale. Uno dei luoghi in cui ciò avviene in modo tipico è il giornale, nel quale sembra di poter dire in generale che la punteggiatura sia adoperata in modo adeguato. Questa premessa consente di fare alcune riflessioni sulla punteggiatura in termini di comunicazione.
Babel', il testo all'osso
Il libro di Serafini parte da una brillante citazione di Babel', scrittore che è passato alla storia per l'ossessione di ridurre il testo all'osso, ai fini della concentrazione espressiva: «Non c'è ferro che possa trafiggere il cuore con più forza di un punto messo al punto giusto». La punteggiatura, tutto sommato, serve anche a questo, a sottolineare gli aspetti centrali di un enunciato.
Il destino del punto e virgola
Questo accade anche quando ci si serve del punto a virgola, segno talvolta negletto o, a torto, considerato obsoleto. Mi sento di contestare il fatto che il punto e virgola sia destinato, in una sorta di triste declino, a raffigurare esclusivamente l'espressione ammiccante di una “faccina” elettronica. In realtà, il punto e virgola è ancora utilizzabile e di fatto viene realmente utilizzato, come si dimostra proprio in Questo è il punto. Francesca Serafini, nel suo libro, tratta e adopera il punto e virgola perché, con garbo e precisione, l'autrice lo riconosce come uno strumento fondamentale per regolare il traffico all'interno di un enunciato. Traggo solo un esempio dal testo: «Per alcuni studiosi, infatti, l'interpunzione serve soprattutto a indicare le pause del respiro durante la lettura; per altri è uno strumento logico-sintattico». In questo caso, invece del punto e virgola si sarebbe potuta usare la virgola, confortando chi stimi inevitabile la decrescita inesorabile del punto e virgola. Il punto e virgola, però, dimostra, qui come altrove, la capacità di introdurre un'informazione aggiuntiva, sottolineando lo stacco che porta il lettore a soffermarsi proprio sulla seconda parte di un'argomentazione. Andando avanti nella lettura del testo di Serafini, scopriamo per l'appunto che proprio la funzione logico-sintattica dei segni d'interpunzione è preminente: non si tratta di congegni per scandire l'andamento del respiro, ma di funzionali indicatori degli snodi logico-sintattici, in questo modo messi in rilievo sulla pagina. L'autrice, nella prassi della propria scrittura, ci mostra come la punteggiatura sia un meccanismo che gerarchizza le informazioni.
La libertà che la punteggiatura mantiene rispetto ad altre strutture della lingua più codificate è legata al fatto che chiunque parla o scrive ha la possibilità, per sua fortuna, di gerarchizzare l'argomento secondo direttrici diverse.
La punteggiatura non è libera
Tale libertà si fonda, naturalmente, sulla possibilità di coltivarne un esercizio consapevole. Come si insegna a usare la punteggiatura a partire dalla scuola dell'obbligo ? Per quel che so, la punteggiatura veniva e viene insegnata nelle scuole elementari con il corretto obiettivo di raggiungere, per l'appunto, un dominio dei principi elementari che ne regolano l'uso ( " non si deve mettere la virgola tra soggetto e predicato " e simili): invece , veniva e viene trascurata durante le medie inferiori e superiori, perché si dà corso innanzi tutto all'idea che la punteggiatura, andando oltre un drappello di regole elementari, non possa essere insegnata, essendo del tutto libera – cosa senz'altro contestabile –; in secondo luogo, in base a una considerazione pragmatica : di fronte a una prova scritta che fa acqua da tante parti, l'insegnante stabilisce inevitabilmente una gerarchia e dà più importanza ad altri aspetti, che suscitano una maggiore sanzione sociale (per esempio, scrivere raggione con due g) o che, come nel caso del classico “tema” senza capo né coda, compromettono l'intera tenuta ideativa di un componimento. Questo fa sì che la punteggiatura sia alquanto sacrificata, nella scuola di oggi come in quella di ieri.
Le prove scritte negli esami di Stato
Colgo l'occasione per esprimere l'auspicio che, nell'ambito degli esami di Stato, si cambi l'attuale somministrazione delle prove scritte, disarticolando la prova d'italiano in una serie di prove che servano a mettere in evidenza competenze e abilità varie. Di fatto, il tema o saggio breve, così come viene impartito, non serve a saggiare le reali capacità dei discenti. Vedrei benissimo, invece, una prova di riassunto, in grado di testare abilità fondamentali di focalizzazione, gerarchizzazione e sintesi; e vedrei pure bene, tra le altre possibili, anche una prova di controllo della punteggiatura, pur non dimenticando che si tratta solo di uno dei tanti requisiti (non del più importante, lo riconosco) tra quelli che garantiscono il buon funzionamento di un testo.
L'Etna, Bembo, il punto e l'Europa
Per chiudere, voglio avanzare un'altra riflessione. La scuola si occupa non solo di prassi, ma anche di teoria. Quanto alla punteggiatura, mi piacerebbe che ci fosse spazio per qualche considerazione storica. Vorrei, per esempio, che se ne sottolineasse l'italianità, il fatto cioè che la punteggiatura moderna nasce (come ricorda Serafini nel suo poliedrico libro) in un resoconto, redatto in latino, scritto dal ven e ziano Pietro Bembo nel 1496, in cui si dà conto di un'ascensione sull'Etna. Nel raffinato incunabolo, il grande umanista introduce il famoso punto e virgola, l'apostrofo, la virgola di segno moderno e gli accenti. Possiamo forse immaginare oggi, in Francia, in Germania o in Romania, un atto pubblico, un testo letterario, una pagina di diario scritti senza ricorrere a questi segni? Diamo dunque il giusto spessore storico alla punteggiatura all'interno della tradizione scritta occidentale. Anche per questo, noi italiani possiamo dirci europei, mentre l'Europa delle diverse culture può riconoscersi italiana in una parte della matrice culturale comune.