Nelle prime pagine del suo Presi nella rete. La mente ai tempi del web (Garzanti, 2012), Raffaele Simone menziona un fatto incontestabile, condiviso sia dagli entusiasti sia dai detrattori di internet, ossia che «il web ha modificato radicalmente il nostro modo di pensare e di comportarci».

Questa verità può essere letta in una duplice accezione. In una prima, quel “nostro” coglie un mutamento storico-culturale e cognitivo-antropologico, introdotto dall’ampliarsi della mediasfera e dagli inediti rapporti che essa intrattiene con la noosfera. Altrimenti, può riguardare la nostra esperienza individuale, di persone nate e formate nel mondo pre-digitale e successivamente tradotte, con maggiore o minore convinzione, nell’universo del web.

Se partiamo da quest’ultima prospettiva, e considerando le implicazioni che questo insieme di trasformazioni sta introducendo nella pratica dell’insegnamento, sarà lecito domandarsi se e come possa ancora l’insegnante, in particolare quello formatosi prima dell’espansione di internet, accompagnare nel suo percorso di apprendimento lo studente ormai “nativo digitale”.

I costi e i benefici dell’“irretimento”

Una riflessione su questo quesito richiede alcune brevi ma non trascurabili premesse. La prima corrisponde al fatto che dalla cultura digitale oggi è impossibile prescindere: la mediasfera è ormai un ecosistema che permea ogni ambito della nostra esistenza, da quello lavorativo a quello affettivo-relazionale a quello ludico. In una frase, i web-apocalittici (e gli insegnanti ne contano diversi tra le proprie file) si devono rassegnare: il rifiuto o l’opposizione radicale al web è un atteggiamento estraneo al principio di realtà.

In secondo luogo, il web favorisce particolari modalità di elaborazione del sapere e ne sfavorisce altre. Più nello specifico, usare i media digitali contribuisce all’attivazione di un’intelligenza simultanea, che è quella che consente l’elaborazione e la gestione delle informazioni secondo una modalità olistica. Per contro, il web deprime l’intelligenza sequenziale, che è quella che consente di analizzare e gerarchizzare le informazioni disposte in forma lineare (Simone 2000). L’intelligenza sequenziale è propria della cultura alfabetica: ne deriva che le competenze più profondamente coinvolte dai mutamenti introdotti dalla mediasfera siano la lettura e la scrittura.

A fronte di questi fatti, si deve comunque evitare il rischio di mitizzazione del passato. Soltanto mezzo secolo fa oltre il 40% degli italiani non era ancora in possesso della licenza elementare (De Mauro 2014) e ancora nel 2000 la maggior parte delle persone, al di fuori della scuola, non aveva nessuna pratica reale della scrittura. Almeno secondo un approccio statistico-quantitativo, l’affermazione della cultura digitale ha dunque favorito tanto la lettura quanto la scrittura.

Da valutare con attenzione saranno invece gli effetti del web da un punto di vista qualitativo: l’insegnante dovrà essere consapevole dei benefici apportati dalla comunicazione mediata al computer, ma soprattutto, citando ancora Simone (2000), dovrà saper riconoscere le forme di sapere che stiamo perdendo.

Dimmi il supporto e ti dirò come leggi

L’attività della lettura non è sempre la stessa in tutte le situazioni. Quando si legge un romanzo o un saggio tradizionale, si esercita la cosiddetta lettura globale: il testo viene letto con continuità, anche se non in modo approfondito, con l’occhio che si muove in orizzontale seguendo la direzione delle parole. Quando si legge sul web, invece, la maggior parte dei lettori adotta una lettura orientativa (skimming), che serve a trovare e a selezionare le informazioni più utili, oppure una lettura selettiva (scanning), che serve a trovare una parola o un’espressione su cui si vogliono avere più informazioni: in entrambi i casi l’occhio si muove in diagonale o in verticale (Rigo 2005).

Ne consegue che la lettura dei testi sul web attiva abilità diverse da quella dei testi in formato cartaceo: modella alcune abilità cognitive, aiuta a reagire più velocemente a molteplici stimoli visivi, insegna a gestire una grande quantità di informazioni in modo simultaneo e anche a prendere decisioni in modo rapido (Fiorentino, in c.s.). Presenta però anche alcuni svantaggi, come l’eccesso di frammentarietà dei contenuti acquisiti, la difficoltà di una selezione qualitativa delle fonti e la verifica della loro autenticità.

A questo si aggiungono limiti legati intrinsecamente al supporto usato: i device digitali offrono dei vantaggi per la lettura dei testi di consultazione (come ad esempio le enciclopedie o gli orari ferroviari) ma non sembrano ancora davvero efficienti per la lettura di testi sequenziali complessi (per leggere Dostoevskij o Proust, ad esempio, è ancora preferibile il supporto cartaceo).

Scrivere ai tempi del web

Almeno per i generi tipicamente frequentati dai ragazzi e caratterizzati da una tendenziale “spontaneità”, si parla – prendendo spunto dal titolo di un noto saggio di Baumann (Modernità liquida, 2002) – di scrittura sul web nei termini di scrittura liquida (Fiorentino 2013). Anche la scrittura liquida presenta non pochi vantaggi: per gli scopi che si prefigge, sa essere molto efficace, inoltre è rapida e ad accesso pressoché globale. Oltretutto, ha contribuito a riportare l’attività della scrittura al centro della vita sociale e affettiva dei ragazzi, come dimostra la ben nota pervasività dei social network.

Da un punto di vista linguistico, appare però come una scrittura scarsamente pianificata (i connettivi sono pochi, nel numero e nella varietà), ha una sintassi “traballante” (sono comuni le ripetizioni e gli anacoluti), è frettolosa e a rischio di sciatteria a livello ortografico e interpuntivo (contiene molti errori nell’impiego di apostrofi e accenti; tende all’abuso di puntini sospensivi e di punti esclamativi). In sintesi, è una scrittura che difetta di pianificazione, di approfondimento e di cura formale.

Questo significa che la scrittura liquida può funzionare molto bene in numerose circostanze, ma che non può né deve essere adottata in tutti i casi: non è adatta, ad esempio, nei contesti d’uso formali e ufficiali. In prospettiva didattica, sarà dunque necessario evitare che resti l’unica modalità di comunicazione a disposizione agli studenti.

Se non puoi batterlo (il web), alleati con lui

Fatte queste considerazioni, e scartando per le ragioni dette il rifiuto della “modernità liquida”, per il docente non sembra esserci altra soluzione, usando le parole di Recalcati (2014), se non quella di «provare a trasformare l’impasse in un punto di rilancio e di rinnovamento» (p. 33).

Per questo, il fatto che la lettura e la scrittura siano tornate ad essere indispensabili per la vita sociale dei ragazzi può essere un ottimo punto di partenza. Molti esercizi di scrittura tradizionali, infatti, restano ancora lontani dai testi reali (ad esempio lo è il classico “tema”), nonostante da tempo sia noto il potenziale motivazionale delle attività didattiche prossime alle esperienze vissute.

La scelta di partire dai problemi reali, inoltre, consente di ottimizzare le risorse: piuttosto che confermare quanto già si conosce e si padroneggia bene, è più efficace affrontare per primi i nodi critici che ostacolano la realizzazione di un compito (Cignetti e Fornara 2014).

Tra gli esempi di attività coerenti con queste riflessioni si può citare la proposta di Lavinio (2011), che suggerisce la produzione da parte degli allievi di ipertesti relativi ad argomenti di studio, mobilitando in questo modo più abilità linguistiche e cognitive, in cui «il lavoro preparatorio sarà un lavoro di lettura, comprensione, prelievo di informazioni da fonti (in genere scritte) diverse, un lavoro di sintesi e di costruzione di schede, da immettere tutte o in parte nell’elaborato finale, seguendo un ordine “ideale”, seppure entro percorsi aperti a diramazioni e itinerari di vario tipo» (p. 216).

Bibliografia

Z. Bauman, Modernità liquida, Roma-Bari, Laterza, 2002 [2000].

L. Cignetti e S. Fornara, Il piacere di scrivere. Guida all’italiano del terzo millennio, Roma, Carocci, 2014.

T. De Mauro, Storia linguistica dell’Italia repubblicana. Dal 1946 ai nostri giorni, Roma-Bari, Laterza, 2014.

G. Fiorentino, «Ti auguro tanta fortuna, ma non dov’esse esser così...»: norma liquida tra Internet e scrittura accademica, in S. Lubello, a c. di, Lezioni d’italiano. Riflessioni sulla lingua del nuovo millennio, Bologna, Il Mulino, 2013, pp. 179-202.

G. Fiorentino, Lingua italiana: irretimento irreversibile?, in c.s.

C. Lavinio, Comunicazione e linguaggi disciplinari. Per un’educazione linguistica trasversale, Roma, Carocci, 2011.

M. Recalcati, L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento, Torino, Einaudi, 2014.

R. Rigo, Didattica delle abilità linguistiche. Percorsi di progettazione e di formazione, Roma, Armando, 2005.

R. Simone, La terza fase. Forme di sapere che stiamo perdendo, Roma-Bari, Laterza, 2000.

R. Simone, Presi nella rete. La mente ai tempi del web, Milano, Garzanti, 2012.

*Luca Cignetti insegna didattica dell’italiano alla Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana (SUPSI). È stato ricercatore per il Fondo Nazionale Svizzero all’Università di Losanna e ha insegnato linguistica italiana e storia della lingua all’Università di Basilea. Si è occupato soprattutto di didattica dell'italiano, di linguistica testuale e di grammatica. È membro di numerose società scientifiche, tra cui la Società Linguistica Italiana (SLI), la Società Internazionale di Linguistica e Filologia Italiana (SILFI) e il Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell'Educazione Linguistica (GISCEL). È membro del comitato direttivo della Società Dante Alighieri di Lugano e collabora con la pagina culturale del «Corriere del Ticino». Tra le sue pubblicazioni recenti, L’inciso. Natura linguistica e funzioni testuali (Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2011) e Il piacere di scrivere. Guida all’italiano del terzo millennio (Roma, Carocci, 2014), scritto con Simone Fornara.

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