Nel V secolo a.C. si sviluppa ad Atene in modo straordinario un nuovo genere poetico che, dopo aver preso le mosse da origini remote e per noi ancora misteriose, raggiunge vertici che non saranno mai più eguagliati. Collocato all’interno delle feste religiose del dio Dioniso, legato a doppio filo con le controverse vicende della vita politica cittadina, fornito di una notevole dimensione spettacolare, il teatro ateniese comprende non solo le tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripide, ma anche le commedie di Aristofane prima e di Menandro poi, che arrivano fino alle soglie dell’età ellenistica.
Gli esecutori della poesia corale sono un gruppo di persone (un coro) che racconta, cantando e danzando, una storia. Se un personaggio esce da quel coro e, dopo aver assunto un’identità diversa sia da quella (immaginaria) dei suoi compagni sia dalla sua (reale) identità, si mette a dialogare, cantando e danzando, con il coro, abbiamo un primo, elementare abbozzo di teatro. Se poi i personaggi che escono dal coro sono due, e non solo dialogano (cantando) con il coro, ma parlano anche, e soprattutto, tra di loro, abbiamo allora il teatro greco dei primi anni del V secolo a.C.
Secondo le notizie degli antichi, è Eschilo che, all’inizio del secolo, porta il numero degli attori da uno a due; qualche anno dopo Sofocle alza il numero a tre, aumentando così il ritmo e la vivacità dell’azione drammatica. Con questi autori (e con Euripide, di poco più giovane di Sofocle), il teatro tragico greco vive il suo periodo d’oro; contemporaneamente, con poeti come Cratino, Aristofane ed Eupoli, anche la commedia conosce nel V secolo a.C. il momento di maggior fulgore.
Tutto questo riguarda, però, una sola città: Atene. Perché, se anche altre città si attribuiscono l’onore di aver contribuito alla nascita del teatro, è solo ad Atene che il teatro acquista una dimensione unica, non esclusivamente legata alla valenza letteraria: nel capoluogo dell’Attica il teatro è infatti un fenomeno religioso, che riveste una particolare importanza politica e ha un forte carattere agonistico.
L’organizzazione degli spettacoli teatrali è complessa: molte sono le persone coinvolte, pesanti le responsabilità, alta la posta in palio. Il compito di scegliere quali tragedie e quali commedie rappresentare ogni anno alle Grandi Dionisie tocca all’arconte eponimo: i poeti si recano da lui qualche mese prima dell’inizio della festa, leggono alcuni passi dei loro drammi e gli “chiedono un coro” – una frase (choron aiteisthai) che indica la formale richiesta di designare una persona che si accolli i costi dell’allestimento scenico. Dal momento che la messa in scena di uno spettacolo è un’operazione assai onerosa, bisogna trovare qualcuno che faccia fronte a tutte le spese, dal reclutamento dei coreuti alla scelta del loro istruttore, dall’acquisto dei costumi e delle maschere all’affitto della sala dove si fanno le prove, dall’allestimento della scenografia all’onorario dell’auleta, il musicista che esegue l’accompagnamento musicale suonando l’aulos. Questa persona facoltosa è il “corego”, una figura simile a quella del nostro sponsor; la coregia è una delle forme di tassazione indiretta alle quali sono sottoposti gli Ateniesi più ricchi. Per quanto onerosa, però, questa spesa ha anche un risvolto positivo: i cittadini ambiziosi possono sfruttare simili occasioni per guadagnarsi la benevolenza del popolo e, nello stesso tempo, farsi un po’ di pubblicità. Nelle epigrafi ufficiali che registrano le generalità dei vincitori, il nome del corego non manca mai; spesso il corego fa addirittura costruire un monumento per celebrare il proprio successo.
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