Filosofo del XIII secolo, ricordato da Dante nel passo di Pd X 136, nel gruppo degli spiriti sapienti.
I dati della sua giovinezza sono molto oscuri; e, in realtà, sappiamo soltanto che all'università di Parigi egli fece parte della ‛ Nazionale piccarda ', mentre è illazione del tutto ipotetica, anzi scarsamente fondata, che fosse discepolo di Alberto Magno. Più probabile è la supposizione che Sigieri diventasse ‛ maestro delle arti ' negli anni tra il 1264 e il 1267, benché la prima notizia documentata risalga soltanto al 26 agosto del 1266, quando egli viene indicato come fautore di tumulti e conflitti studenteschi. Comunque, anche queste date hanno un loro valore: perché ci dimostrano la presenza di S. a Parigi in un momento molto delicato della vita universitaria, allorché erano già largamente diffuse nella facoltà delle Arti quelle concezioni, ispirate non solo ad Averroè ma anche ad autori e scritti di tradizione neo-platonica (il Liber de causis, Avicenna, Proclo, ecc.), alle quali viene spesso impropriamente attribuita l'etichetta di ‛ averroismo latino '. Secondo una tradizione che sembra ben fondata e difficilmente contestabile, Sigieri sarebbe stato uno dei battaglieri sostenitori della tendenza più radicale dei ‛ maestri delle arti ', decisi ad accettare integralmente le dottrine aristotelico-averroistiche, la scienza di origine greco-araba e le novità sconvolgenti che essa portava nel tessuto dottrinale della tradizione scolastica, e a distinguere, nel modo più reciso, l'ambito dell'indagine filosofico-scientifica da quello proprio della teologia e dell'esegesi della verità rivelata. Di questa tendenza (che ebbe tra i suoi rappresentanti anche Boezio di Dacia, Berniero di Nivelles e Gosvino de la Chapelle) sono rimaste tracce indubbie ed evidenti nella polemica universitaria ed ecclesiastica di quegli anni; e si sa che ben presto cominciarono a correre sul conto di Sigieri e dei suoi amici accuse molto gravi e pericolose. Già infatti nel 1267 e '68 Bonaventura da Bagnoregio prendeva posizione contro le dottrine esposte nei commenti aristotelici di quei maestri; due anni dopo, alla vigilia del diretto intervento delle autorità ecclesiastiche parigine, anche Tommaso d'Aquino pubblicava il De Unitate intellectus contra averroistas, il cui principale bersaglio era probabilmente Sigieri. Infine, nello stesso anno 1270, il vescovo di Parigi, Stefano Tempier, condannava e vietava una serie di proposizioni filosofico-teologiche tra le quali alcune sostenute nei commenti e nelle lezioni dei maestri ‛ averroisti '. Nonostante la condanna, Sigieri (il cui nome peraltro non era indicato esplicitamente nelle polemiche e condanne parigine) continuò a insegnare con molto successo alla facoltà delle Arti, come testimoniano il celebre ‛ pubblicista ' e ‛ regalista ' Pierre Dubois e il maggior teorico della teocrazia, Egidio Romano, concordi nel riconoscere la sua autorità magistrale e l'acutezza e profondità del suo pensiero. Ma, certo, il rinnovarsi delle polemiche e degli attacchi (come quelli mossi ancora da Bonaventura, nelle Collationes in Hexaemeron, 1273) rese sempre più difficile la sua permanenza sulla cattedra parigina, minacciando addirittura l'autonomia delle facoltà delle Arti, sempre guardata con sospetto dai maestri della facoltà teologica. Non è qui possibile entrare nei particolari di un conflitto universitario che divise anche la stessa facoltà delle Arti e che, dietro forme e apparenze disciplinari e accademiche, celava, in realtà, l'urto più profondo di concezioni filosofiche ormai inconciliabili. Basterà quindi ricordare che, nonostante la sentenza di compromesso emanata il 7 maggio del 1275 dal legato pontificio Simone de Brion, la posizione di S. divenne presto insostenibile. Dové così lasciare Parigi e la sua cattedra in una data non precisabile, ma certo antecedente al 23 ottobre 1276, quando l'inquisitore di Francia, Simone du Val, lo citò a comparire, con la formula usata per gli assenti. Poco dopo, l'intervento dello stesso pontefice Giovanni XXI, portava, il 17 marzo 1277, alla solenne condanna da parte del vescovo Tempier e dell'università di Parigi di un gruppo più nutrito di tesi (nel quale, insieme a dottrine tipiche di S., figuravano però alcune proposizioni tomiste e concezioni di origine e significato assai diverso), con l'espresso divieto di sostenerle anche soltanto come ipotesi vere dal punto di vista della ragione, ma false dal punto di vista della fede. Anche questa condanna non nominava però esplicitamente S. né alcuno dei suoi amici o seguaci.