Se la madre d’Amor dall’acque uscìo
e vanta in mezzo all’acque il suo natale,
alla madre d’Amore io fatta eguale
dall’acque vanto il nascimento mio.
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Se di Venere il figlio, il cieco dio,
ha sugli omeri vanni e porta strale,
anch’io su le mie spalle innalzo l’ale,
e sono di saetta armata anch’io.
Labro che in due coralli appar diviso
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piacemi di baciar; e mio conforto
stimo libar le rose in un bel viso.
Co’ miei sussurri alle vigilie esorto;
e se l’uomo ferisco, e pria l’avviso,
delle ferite mie si lagna a torto.
Se la madre di Amore (Venere) uscì dalle acque e si vanta d’esser nata nell’acqua, io, resa uguale a lei, mi vanto d’essere nata dalle acque. Se il figlio di Venere (Amore), il dio bendato (cieco), ha le ali sulle braccia ed è armato di dardo, anch’io alzo le ali sulle mie spalle e anch’io sono armata di freccia. Mi piace baciare labbra che appaiono divise in due coralli, e considero un mio piacere assaggiare le rosee gote (le rose) in un bel viso. Con i miei ronzii induco a stare svegli, e se ferisco un uomo, ma prima lo avverto, ha torto se si lamenta delle mie punture.
Questo sonetto ha un certo interesse perché nel tono e nel soggetto differisce dalla maggior parte delle rime del Battista: un poeta tardo-marinista di stretta osservanza, ma di animo malinconico e portato a un moralistico pessimismo. Il soliloquio della zanzara, che si vanta con allegra irriverenza d’essere simile sia a Venere Anadiomene per l’origine acquatica, sia a suo figlio Amore per le ali e il pungiglione, e che confessa di trovar piacere nel baciare le labbra coralline e le guance rosate d’una fanciulla, nel disturbare il sonno e nel punzecchiare qualcuno, ma dopo averlo avvisato, è ravvivato dall’ambiguità del tono tra sentenzioso e burlesco. Le simmetriche ripetizioni delle due quartine, con le analogie tra le doti delle due divinità e quelle dell’insetto, sono parte integrante di un barocchismo letterario che procede programmaticamente per antitesi e per iperboli artificiose, cui va tuttavia riconosciuta la fragile e luminosa leggerezza d’un vetro soffiato, animata da un’indubbia abilità compositiva.
Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli