Superficialissimamente un sasso
segnare è il significato,
sotto la polvere incerta traccia,
della parola: tra sfarsi
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o confondersi, velata o ambigua, tra me
e la natura, sostanza. Marini
su boschi a picco limpidi
specchi remoti
nuvole d’orli accesi
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che all’occhio risalgono da un alito basso
di fumo da radici di pini,
da domestico crepitìo: e si sfa
sotto volumi d’ombra. Improvviso
comunicare non disordine dal linguaggio
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dello spazio, da mobili
umili esemplari forme
oltre uno sfarsi
perenne
istantaneo. Né altrimenti
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all’aria vetta
di ramo, sull’orizzonte
rocce d’isola in precipizi, in pianura
la piattezza pur armonica
abbassa, scudo di luce, il cielo: specchio, o
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umido confuso telaio
le nuvole, le strade
di pianura, nelle loro vene,
svarianti forme, e, correnti
sottomarine, d’attenuato
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colore vie del mare a rovescio
immediatamente
d’ogni terra, a perdita di cielo. Aperti
raggi nel golfo,
prossimo, tanto
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quasi tra noi insiste, fissa
la prima partenza del mattino,
e quasi sulle cupole di pini, una sirena, tra svoli
che a un colloquio s’appuntano
insistente col farsi del calore,
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dei colori. Voluta
di luci e forme remota in cielo,
muta, si specchia nella dimensione
più intima, e non più qui
muta, del passar delle ore
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in terra in faccia a noi: a notte
conservano impronta solo
in altre forme, nel ventaglio
d’un albero, in profili alti
di case, in una costante
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facoltà di commuoversi
della mente. Lontano, fuga, sfarsi:
continuità inventiva d’ogni
elemento che spontaneo inquadri
l’umano sospiro, nella
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natura, nel tempo.
Questa poesia XIV della penultima produzione lirica di Aldo Borlenghi (1958-1965) ne presenta le caratteristiche più evidenti: uno sguardo e un ascolto dei fenomeni viventi e di quelli inanimati: un sasso, un focherello, oggetti simbolici della natura e delle stagioni, e le suggestioni surreali e misteriose di immagini, suoni, luci, colori. I movimenti apparentemente arbitrari dello stile, affidato a una sintassi complessa, che rende ardua la lettura, tendono invece a riprodurre con esattezza l’ambiguità di una realtà esistenziale: si è parlato, in proposito, di “una ricchezza così telescopica di immagini da rasentare a volte il virtuosismo, la magia”. In questa sorta di "puzzle" da ricostruire, in cui echeggia un’aura leopardiana, fluiscono paesaggi, lo scorrere del tempo, la lontananza, la notte, il tutto dominato da “una costante / facoltà di commuoversi / della mente”. "Muta" due volte e "sfa, sfarsi" quattro volte, sembrano le parole-mantra di quella che si direbbe, per ossimoro, una immutabile metamorfosi.
Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli