Belle rose porporine,
che tra spine
sull’aurora non aprite;
ma, ministre degli Amori,
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bei tesori
di bei denti custodite;
dite, rose prezïose,
amorose;
dite, ond’è, che s’io m’affiso
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nel bel guardo vivo ardente,
voi repente
disciogliete un bel sorriso?
è ciò forse per aita
di mia vita,
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che non regge alle vostr’ire?
O pur è perché voi siete
tutte liete,
me mirando in sul morire?
Belle rose, o feritate,
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o pietate
del sì far la cagion sia,
io vo’ dire in nuovi modi
vostre lodi;
ma ridete tuttavia.
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Se bel rio, se bell’auretta
tra l’erbetta
sul mattin mormorando erra;
se di fiori un praticello
si fa bello,
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noi diciam: “Ride la terra”.
Quando avvien che un zefiretto
per diletto
bagni il piè nell’onde chiare,
sicché l’acqua in sull’arena
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scherzi appena,
noi diciam che ride il mare.
Se giammai tra fior vermigli,
se tra gigli
veste l’alba un aureo velo,
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e su rote di zaffiro
move in giro,
noi diciam che ride il cielo.
Ben è ver, quando è giocondo
ride il mondo,
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ride il ciel quando è gioioso:
ben è ver; ma non san poi
come voi
fare un riso grazioso.
Belle rose rosse (le labbra dell’amata) che sul far dell’aurora non vi schiudete tra le spine, ma, come sacerdotesse dell’amore, custodite i bei tesori dei vostri bei denti, dite, o rose preziose, amorose, dite per quale ragione se io contemplo il bello sguardo, vivo e ardente, voi d’improvviso vi sciogliete in un bel sorriso? Lo fate forse per soccorrere la mia vita, che non può sostenere la vostra collera? Oppure perché siete tutte contente vedendomi in punto di morte? Belle rose, sia crudeltà oppure sia pietà la causa del vostro modo di fare, io voglio cantare le vostre lodi in modi nuovi, ma intanto continuate a ridere. Se la mattina un bel ruscello, un delicata brezza vanno mormorando qua e là tra l’erba, se un prato si abbellisce di fiori, noi diciamo “Ride la terra”. Quando un venticello leggero, per diletto, tuffa il piede nelle limpide onde, in modo tale che l’acqua sembra quasi giocare con la sabbia, noi diciamo che ride il mare. Se talora tra i fiori rossi e tra i gigli l’alba si veste di un velo dorato su ruote (del carro dell’Aurora) di un azzurro scintillante, e percorre il suo giro, noi diciamo che ride il cielo. E' proprio vero, quando è gioioso il mondo ride, quando è allegro il cielo ride; però poi loro non sanno ridere in modo pieno di grazia come (sapete fare) voi.
Come, dopo di lui, Giambattista Marino, il Chiabrera cerca la novità e la “meraviglia”; ma il suo è un ‘classicismo barocco’ rarefatto e sofisticato, lontano dal petrarchismo, che cerca più le forme che le immagini. Riprende e adatta i metri greco-latini di Pindaro, Anacreonte, Orazio, Catullo; non però in linea diretta, ma attraverso l’opera del francese Pierre de Ronsard (1524-1585), il massimo esponente della Pléiade. La sua maggiore novità sta nella sperimentazione metrica di ogni tipo di verso, da cui deriva la sua musicalità leggera, geometrica, cantabile, apparentemente facile ma frutto di grande perizia tecnica. Le sue rime e i suoi ritmi inconfondibili imprimono anche a questa canzonetta di sei ottonari e quadrisillabi (il secondo e il quarto) una cadenza fonico-ritmica quasi minimalista, ma di gusto euforicamente strepitoso.
Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli