Dal Detto del gatto lupesco

       

       Sì com’altr’uomini vanno,
       ki per prode e chi per danno,
       per lo mondo tuttavia,
       così m’andava l’altra dia
5        per un cammino trastullando
       e d’un mio amor già pensando
       e andava a capo chino.
       Allora uscìo fuor del cammino
       ed intrai in uno sentieri
10      ed incontrai duo cavalieri
       de la corte de lo re Artù,
       ke mi dissero: “Ki sse’ tu?”
       E io rispuosi in salutare:
       “Quello k’io sono, ben mi si pare.
15      Io sono uno gatto lupesco,
       ke a catuno vo dando un esco,
       ki non mi dice veritate.
       Però saper vogl[i]o ove andate,
       e voglio sapere onde sete
20      e di qual parte venite”.
       Quelli mi dissero: “Or intendete,
       e vi diremo ciò che volete,
       ove gimo e donde siamo;
       e vi diremo onde vegnamo.
25      Cavalieri siamo di Bretagna,
       ke vegnamo de la montagna
       ke ll’omo apella Mongibello.
       Assai vi semo stati ad ostello
       per apparare ed invenire
30      la veritade di nostro sire
       lo re Artù, k’avemo perduto
       e non sapemo ke ssia venuto.
       Or ne torniamo in nostra terra,
       ne lo reame d’Inghilterra.
35      A Dio siate voi, ser gatto,
       voi con tutto ’l vostro fatto”.
       E io rispuosi allora insuno:
       “A Dio vi comando ciascheduno”.


Parafrasi

Come altri uomini vanno girando il mondo, chi per guadagnare e chi per rimetterci, così l’altro giorno io me n’andavo per una strada, immerso in lieti pensieri, e andavo pensando a un mio amore e camminando a capo chino. A questo punto uscii dalla strada e imboccai un sentiero e incontrai due cavalieri della corte di re Artù, che mi dissero: Tu chi sei?”. E io, salutandoli, risposi: Chi io sia è ben chiaro. Io sono un gatto lupesco, che a ciascuno tendo un’esca, (per vedere) chi non mi dice la verità. Perciò voglio sapere dove andate, e voglio sapere di dove siete e da dove venite”. E loro mi dissero: “Ascoltate, e vi diremo ciò che volete, dove andiamo e da dove veniamo. Siamo cavalieri della Bretagna, e veniamo dal monte che si chiama Mongibello (l’Etna). Vi abbiamo a lungo dimorato per apprendere e per scoprire la verità sul notro sire, re Artù, che abbiamo perduto e di cui non conosciamo la sorte. Ora torniamo alla nostra città, nel regno d’Inghilterra. Addio, signor gatto, a voi e ai vostri affari”. E subito risposi: “Raccomando a Dio ognuno di voi”.

Commento

Alla poesia didattica dell’Italia Centrale nel Duecento, sotto l’egida di Brunetto Latini, il maestro di Dante, e dei suoi poemi Tresor, in francese, e Tesoretto, in fiorentino, appartiene anche questo testo, di 144 versi in distici rimati o assonanzati di novenari-ottonari e decasillabi, di cui qui è presentato l’inizio. Testo alquanto enigmatico, che presenta due diversi aspetti: quello della queste, la ricerca simbolica e allegorica della retta via, attraverso l’incontro del “gatto lupesco” (una lince, ma in realtà un essere umano abbastanza spavaldo) con due cavalieri di re Artù e poi con un eremita, che gli indica come meta una croce; poi con un’evocazione dell’Ebreo errante e di una serie di elementi eterogenei (letterari, religiosi, storici e geografici) e con l’ostacolo costituito da una galleria di animali selvaggi e pericolosi, reali o leggendari, simboli dei vizi umani, dai quali il protagonista si salva “per maestria” in un finale improvviso e sbrigativo: rivelatore, questo, dell’altra autentica vena, quella “comica” e giullaresca, del verseggiatore, che da “gatto lupesco” umanizzato risponde alla domanda dei cavalieri con un’altra domanda e, con tutta la naturalezza del mondo, ne riceve una risposta sensata. Nel suo discorso vagamente iniziatico e volutamente strampalato, che ricorda l’allure di certe filastrocche popolari, l’autore sembra abbia mirato, con un certo successo, a realizzare una sorta di parodia delle narrazioni di viaggio e di pellegrinaggio tanto care al Medio Evo romanzo.
Il testo anonimo del Detto del gatto lupesco, contenuto in un codice della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, è attribuito a un rimatore fiorentino e databile agli ultimi decenni del XIII secolo.

Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli