L’assenza

      Un bacio. Ed è lungi. Dispare
       giù in fondo, là dove si perde
       la strada boschiva, che pare
       un gran corridoio nel verde.
5        Risalgo qui dove dianzi
       vestiva il bell’abito grigio:
       rivedo l’uncino, i romanzi
       ed ogni sottile vestigio...
       Mi piego al balcone. Abbandono
10        la gota sopra la ringhiera.
       E non sono triste. Non sono
       più triste. Ritorna stasera.
       E intorno declina l’estate.
       E sopra un geranio vermiglio,
15        fremendo le ali caudate
       si libra un enorme Papilio...
       L’azzurro infinito del giorno
       è come seta ben tesa;
       ma sulla serena distesa
20        la luna già pensa al ritorno.
       Lo stagno risplende. Si tace
       la rana. Ma guizza un bagliore
       d’acceso smeraldo, di brace
       azzurra: il martin pescatore...
25        E non sono triste. Ma sono
       stupito se guardo il giardino...
       stupito di che? non mi sono
       sentito mai tanto bambino...
       Stupito di che? Delle cose.
30        I fiori mi paiono strani:
       Ci sono pur sempre le rose,
       ci sono pur sempre i gerani...

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NOTE

7 l’uncino: l’uncinetto per il lavoro a maglia.
8 sottile vestigio: labile segno di lei.
16 Papilio: una farfalla, forse il Papilio machaon.
24 martin pescatore: l’alcedine (Alcedo atthis), un uccello azzurro lungo circa 16 cm.

COMMENTO

Abbandonato ben presto il modello di Gabriele D’Annunzio, e piuttosto incline alla poetica del “fanciullino” di Giovanni Pascoli, Guido Gozzano è da un lato il cantore dimesso e nostalgico di un tempo che fu, delle rose non colte, delle vecchie cose “di pessimo gusto”, e dall’altro il descrittore infallibile e ironico della società del suo tempo. Come dice acutamente Eugenio Montale, che per certi aspetti gli è collegato, è il primo “che abbia dato scintille facendo cozzare l’aulico col prosaico”. In queste quartine di novenari a rima alternata (da I colloqui) la partenza e la breve assenza della donna amata fanno indugiare il poeta nella contemplazione delle cose, che gli suggerisce una lieve meraviglia - o meglio una perplessità - quasi infantile. Con grazia quasi settecentesca, sommessa ma psicologicamente assai ricca di riflessi, la sua lirica abbandona per sempre il liberty e il simbolismo e assume un carattere del tutto ‘moderno’, rinnovando la poesia italiana.

Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli


Guido Gozzano (Torino 1883-1916), di famiglia borghese benestante, frequenta la facoltà di giurisprudenza ma non giunge alla laurea, preferendo le lezioni di Arturo Graf, i teatri, le sale da concerto, e soprattutto i caffè; i circoli letterari torinesi gli fanno conoscere i poeti crepuscolari, dei quali secondo Emilio Cecchi “è il vero Messia”, e le esperienze internazionali del decadentismo franco-belga. Vive tra la città e il Canavese, oppure in Liguria, cercando invano di curare la tisi che lo condurrà alla morte precoce. Dopo i versi de La via del rifugio (1907), collabora a giornali e riviste, scrive fiabe per bambini, inizia il poemetto didascalico incompiuto Le farfalle, ha un legame sentimentale con la poetessa Amalia Guglielminetti. Nel 1911 pubblica il secondo libro di versi, I colloqui. Nel 1912 intraprende un viaggio in India e Ceylon (le prose di Verso la cuna del mondo, apparse su La Stampa e su La donna nel 1914-1916, sono pubblicate postume nel 1917).