Di nubi tra molle sfacelo
io vidi nel cielo una falce:
la falce era lucida, il cielo
d’un crudo biancore di calce.
5
Negli orti né frasca né tralce;
Sui campi né fiore né stelo...
Che tronca, che miete la falce,
La falce ch’io vidi nel cielo?
Non trema nell’ombra di gelo
10
La trista canzone del salce?...
È notte. Fa freddo. Nel cielo
Io vedo rotare una falce.
1 molle sfacelo: il disfarsi di fiocchi di nuvole.
2 una falce: di luna, ma simile alla falce della Morte.
3 lucida: scintillante.
5 tralce: tralcio.
10 salce: salice piangente, che mormora una canzone triste.
12 rotare: roteare.
Professore e poeta di profonda cultura positivistico-romantica, Arturo Graf è animato da una vena pessimistica e notturna, nella quale confluiscono immagini medievali e sentimenti angosciosi, legati ai temi del male, del mistero e della morte, frammisti a impulsi amorosi spesso avvolti in una luce funebre. Vi si avvertono anche una componente religiosa, tra decadente e crepuscolare, e un’attenzione ispirata e raffinata, di tipo quasi pascoliano, per i particolari, anche minimi e fugaci. La falce, in tre quartine di novenari con due sole rime alternate e incrociate, tratta da Le Danaidi, è un chiaro esempio dell’atmosfera ambiguamente cimiteriale e vagamente onirica che domina molti suoi paesaggi.
Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli