Dal pigro e grave sonno

GIOVANNI GUIDICCIONI

       

       Dal pigro e grave sonno, ove sepolta
       sei già tanti anni, omai sorgi e respira;
       e disdegnosa le tue piaghe mira,
       Italia mia, non men serva che stolta.
5        La bella libertà, ch’altri t’ha tolta
       per tuo non sano oprar, cerca e sospira;
       e i passi erranti al cammin dritto gira
       da quel torto sentier, dove sei volta.
       Che se risguardi le memorie antiche,
10      vedrai che quei che i tuoi trionfi ornaro,
       t’han posto il giogo e di catene avvinta.
       L’empie tue voglie a te stessa nemiche,
       con gloria d’altri e con tuo duolo amaro,
       misera, t’hanno a sì vil fine spinta.


Parafrasi

Dal sonno pigro e pesante nel quale già da tanti anni sei sepolta sorgi finalmente e ricomincia a respirare, e guarda con sdegno le tue ferite, Italia mia, non meno serva che stolta. Cerca e desidera la bella libertà, che ti è stata tolta da altri a causa della tua condotta sbagliata, e volgi alla strada giusta i tuoi passi incerti, da quel tortuoso sentiero nel quale ti sei inoltrata. Se infatti volgi lo sguardo alle memorie del lontano passato, vedrai che quegli stessi (nemici) che resero più splendidi i tuoi trionfi ti hanno sottomessa al giogo e incatenata. Le tue insane brame (di potere), per te stessa dannose, o misera, con gloria di altri e con tuo amaro dolore, ti hanno spinta a una fine tanto miserabile.

Commento

Nonostante la relativa esiguità della sua produzione, Giovanni Guidiccioni è considerato nel suo tempo uno dei poeti più prestigiosi; lo prova la pubblicazione nel 1567, ventisei anni dopo la sua scomparsa, di un volume miscellaneo con il corpus poetico di tre ‘grandi’: Bembo, Della Casa, Guidiccioni. Il suo canzoniere raccoglie componimenti sia politici sia amorosi, morali, di corrispondenza e spirituali. In particolare sono notevoli quelli politici (14, posti all’inizio della raccolta), che in uno stile severo e nobilmente oratorio lamentano la triste situazione della penisola. Ne è un esempio questo sonetto, il quarto, composto tra la fine del 1527 e l’inizio del 1528 - il periodo del terribile Sacco di Roma da parte dei lanzichenecchi di Carlo V - , nel quale l’esortazione a svegliarsi dal torpore mortale in cui l’Italia è caduta è accompagnata dalla lucida accusa di una classe politica che ha ridotto il Paese in una condizione tanto miseranda.

GIOVANNI GUIDICCIONI

Giovanni Guidiccioni (Lucca 1500 - Macerata 1541) studia a Bologna, a Pisa, a Padova - dove conosce Pietro Bembo - e a Ferrara, dove nel 1525 si laurea in giurisprudenza. Nel 1527 lo zio, Bartolomeo, gli lascia il proprio impiego a Parma alla corte del cardinale Alessandro Farnese; nel 1530, per l’incoronazione di Carlo V da parte di papa Clemente VII, a Bologna, conosce Giangiorgio Trissino, Francesco Maria Molza e Veronica Gambara. Nel 1534, quando Alessandro Farnese diviene papa Paolo III, Giovanni è nominato vescovo di Fossombrone e, l’anno seguente, nunzio apostolico alla corte di Carlo V. Nel 1537 è presidente della Romagna; suo segretario è Annibal Caro. Oltre alle Rime (madrigali, una satira, sonetti) scrive un’Orazione alla Repubblica di Lucca (postuma,1557).

Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli