Le maniere fiabesche e dolcemente infantili sotto le quali Vivian Lamarque sembra contrabbandare con umoristica gentilezza i temi più seri dell’esistenza - l’amore, la morte, il mistero - sono realizzate attraverso parole facili e apparentemente puerili, con le finte rime e le allitterazioni di scherzose filastrocche, iridescenti e fragili come bolle di sapone. Invece, immediatamente dopo la lettura, un retrogusto lievemente amaro vi rivela la presenza durevole della vera poesia. Queste due quartine minimaliste (da Una quieta polvere, 1996) - sul presente spensierato, sul tempo che passa, su chi va e chi resta, sul destino dei nostri affetti in un arcano futuro - bastano a distillare quella che potrebbe definirsi una calma inquietudine, avvolta in un velo di malinconica leggerezza.
Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli